ROLAND GARROS – Novak Djokovic gioca la partita migliore nel momento del bisogno: quarta finale a Parigi. Poco spettacolo ma un mucchio di solidità contro un Thiem un po’ arruffone. Abbattuto il tabù del Campo Lenglen, dove aveva incassato una delle sconfitte più brutte, proprio contro un austriaco. Adesso può superare Laver davanti ai suoi occhi.

I conti iniziano a quadrare, per Novak Djokovic. Corsi e ricorsi storici sembrano il simbolo di un argine che sta per cadere. La pioggia gli ha fatto giocare la sua semifinale sul campo intitolato a Suzanne Lenglen, dove sette anni colse la sua ultima sconfitta davvero grave in uno Slam. 2009, terzo turno, perse da Jurgen Melzer. Un austriaco. Sullo stesso campo, è ancora un austriaco a dargli il lasciapassare per la finale parigina, la quarta. Cancellati i ricordi di quel pomeriggio fallimentare, Nole ha giocato la sua miglior partita parigina nel momento più importante. Via le paure dei primi turni, via i sudori freddi dello scatto d’ira del giorno prima. Meno di due ore per infiocchettare un 6-2 6-1 6-4 che rende ancora più impressionanti le sue statistiche. In un campo che trasudava tifo e passione (i biglietti a 20 euro hanno dato il là agli appassionati più genuini), il ringhiante Dominic Thiem è stato rinchiuso nella gabbia. Come a dirgli che è ancora presto per spadroneggiare nello zoo del grande tennis. Djokovic ha giocato una partita perfetta, almeno per i suoi standard. Il fatto è che non tutti condividono il suo ideale di perfezione. Grandi botte da fondocampo, massima intensità, saette che atterrano rigorosamente negli ultimi due metri di campo. Nessuno spazio alla fantasia, salvo una storica debolezza: la palla corta. Gli piace da matti giocarla, anche quando non è necessaria, anche quando non ne ha bisogno. E’ come un bambino che vede un negozio di caramelle mentre passeggia per il centro commerciale. Sa che non dovrebbe entrarci, ma lo fa lo stesso. Il serbo sa che porterà a casa al massimo un punto su due, ma vuole togliersi lo sfizio. Il problema, per tutti gli altri, è che la debolezza non influisce sull’esito finale. Nel punto importante, quando il punto vale doppio, Nole farà sempre la scelta giusta.


Purtroppo non è un mostro di spettacolo. Avanti due set a zero e 3-3 nel terzo, 15-30 sul servizio di Thiem, sapeva di dover intascare quel punto. Chiamato a rete da una smorzata dell’austriaco, è stato scavalcato da un pallonetto. Avrebbe potuto cercare la giocata a effetto, magari un tweener, ma non ci ha pensato neanche per un attimo. Pallonetto a volare nel cielo di Parigi, poi drittone vincente schiaffato in faccia a Thiem, con tanto di esultanza plateale. Mancavano giusto le tre dita, simbolo estremo del patriottismo serbo. Fateci caso: Djokovic è l’unico top-player che non ama giocare il tweener. E’ un colpo bello, ci mancherebbe, ma non è funzionale ai traguardi, agli obiettivi. Nole aveva bisogno di quel punto e se lo è preso nel modo più sicuro. In quello scambio è racchiuso un bel pezzo di questa semifinale, comandata dalla prima all’ultima palla. Nole ha dominato i primi due set mettendo Thiem nelle condizioni di sbagliare. E mettendone a nudo ogni singola debolezza. Gioca bene, l’austriaco, ma è ancora disordinato e arruffone. Riesce a nascondere le lacune contro quasi tutti, ma Nole ha evidenziato un gesto tecnico un po’ macchinoso con il rovescio (ha chiuso il match con tre errori consecutivi da quella parte) e ci ha fatto capire che, al di là di un poderoso forcing, il suo tennis non ha così tante varianti. Ne tennis di oggi non è peccato mortale, ma se vuoi vincere gli Slam o diventare numero 1, lo può diventare. Ringhiava come un leone in gabbia, Thiem, ma per ogni bel punto commetteva 3-4 errori. Impossibile pensare di giocarsela. Sotto di due set, ha sciolto le briglie in avvio di terzo e ha trovato un break con un dritto steccato ma rimasto in campo. 2-0, 3-0, qualche boato del pubblico che era quasi tutto per lui…ma Djokovic non aveva voglia di andare sopra le due ore di gioco. Ha alzato il livello, quel tanto che basta per effettuare aggancio e sorpasso, e si è preso la vittoria.

Non ci fosse stata la partitaccia contro Wawrinka all’Australian Open 2014, oggi Nole avrebbe superato il record di Federer sulle semifinali consecutive in uno Slam. Ma con i “se” e con i “ma” non si scrive la storia, quindi prosegue nella caccia ai quarti consecutivi. Federer si era fermato a 36, lui è già a quota 28. Ma sono cifre accessorie, secondarie rispetto alla necessità di vincere il Roland Garros. Un desiderio incontenibile, quasi fisico, che lo porterebbe a quota 12 Slam. Come Roy Emerson, ma soprattutto davanti a Bjorn Borg e Rod Laver. Quel Rod Laver che in questi giorni è sbarcato a Parigi ed è stato premiato sul Campo Chatrier prima della semifinale Murray-Wawrinka per i suoi successi nel 1962 e 1969. La storia si consuma anche con questi piccoli dettagli. Prima l’abbattimento del tabù Lenglen, proprio contro un austriaco, adesso la possibilità di superare Laver proprio davanti ai suoi occhi. Un po’ come è accaduto a Federer a Wimbledon, quando superò il numero di vittorie di Borg con l’orso appollaiato nel Royal Box. One More Time, Nole.


Novak Djokovic (SRB) b. Dominic Thiem (AUT) 6-2 6-1 6-4