Intascando il titolo a Parigi, Novak Djokovic si è messo alle spalle un gruppo di campioni incapaci di vincere almeno un grande titolo. Il suo Career Grand Slam cancella gli incubi che hanno devastato le carriere di Sampras, Lendl, Connors, Borg e altri ancora. Spesso il tabù è stato rappresentato da Parigi o da Wimbledon.

La vittoria al Roland Garros ha aperto tante prospettive a Novak Djokovic. Il Calendar Grand Slam (vedrete, sarà il tormentone nelle prossime settimane), la possibilità di agganciare Nadal e Sampras a quota 14 Major…e magari Federer a 17. Ma gli ha anche permesso di entrare nella ristretta elite di chi ha vinto per almeno una volta tutte le quattro prove del Grande Slam. Erano soltanto quattro fino al 1999, adesso sono otto dopo l’ingresso nel club di Andre Agassi, Roger Federer, Rafael Nadal e – appunto – Novak Djokovic. Il serbo, dunque, si è tolto lo sfizio di abbandonare la lista dei giocatori più forti che invece hanno sempre fallito il trionfo in uno o più Major, restando così campioni un po’ incompiuti. I tedeschi di “Tennis Net” li hanno elencati e vale la pena segnalarli, visto che si tratta di figure che hanno fatto la storia del tennis. Ma che resteranno sempre un po’…zoppi.

PETE SAMPRAS
Ha vinto 14 Slam ed è rimasto in vetta al ranking per 286 settimane. Record che sembravano imbattibili, invece è bastato un decennio affinché Roger Federer li ritoccasse. Pistol Pete si è aggiudicato 7 Wimbledon, 5 Us Open e 2 Australian Open. Il suo incubo è rimasto il Roland Garros, dove si è sempre incagliato con gli specialisti fino a “sbracare” negli ultimi anni, quando ha dato gloria a carneadi o poco più. Il suo miglior risultato resta la semifinale del 1996, anno in cui i campi erano particolarmente veloci. Batté Bruguera, poi Courier, ma trovò un grande Kafelnikov, futuro vincitore (in finale su Stich). Arrivò un po’ scarico, ma la verità è che Pete non aveva la solidità per domare Parigi.

IVAN LENDL
Wimbledon è stato il suo cruccio. A inizio carriera diceva che l’erba è buona solo per le vacche, ma poi ha capito che senza un titolo ai Championships sarebbe rimasto un campione incompleto. Le ha provate tutte, ingaggiando Tony Roche e saltando addirittura un Roland Garros per prepararsi al meglio. Niente da fare: due finali e cinque semifinali sarebbero un gran bottino per chiunque, ma non per Ivan. Il treno buono è passato nel 1987, con la prematura eliminazione di Boris Becker per mano di Peter Doohan. L’anno successivo sarebbe arrivato Edberg e per lui non ci sarebbe stato più spazio. Sembrava tutto pronto….e invece è spuntata la bandana a scacchi di Pat Cash.

BORIS BECKER
Più che il Roland Garros, il suo problema era la terra battuta. Ha domato l’erba di Wimbledon, il cemento australiano e pure quello americano, ma tra i suoi 49 titoli non ne figura neanche uno sulla terra battuta. Ha buttato via un paio di successi a Monte Carlo, non ha mai fatto faville ad Amburgo (“Che è il mio salotto di casa”) e ovviamente ha sempre fallito anche a Parigi, dove pure ha centrato tre semifinali. Non giocava male sul rosso, Boris. I numeri dicono che ci ha vinto 120 partite. “Solo Dio sa come mai non ho mai vinto un torneo sulla terra” ha scritto nella sua biografia. La risposta è semplice: perché si è intestardito a giocare da fondocampo contro gli specialisti. Voleva batterli sul loro terreno. Una follia.

STEFAN EDBERG
Sei Slam come per Becker, equamente divisi tra Melbourne, Londra e New York. Il suo serve and volley funzionava anche sulla terra, e nel 1989 è arrivato a tanto così dal successo. Avanti due set a uno e di un break nel quarto contro Michael Chang, ha finito la benzina sul più bello. Un po’ come Lendl a Wimbledon: l’anno in cui sembra tutto pronto, sbuca dal niente un guastafeste che rovina ogni progetto. “Dopo quella sconfitta ero convinto che avrei avuto un’altra chance di vincerlo. Invece non è mai successo”. Avrebbe poi detto lo svedese, che nell’ultimo anno di attività (il 1996) colse uno splendido quarto di finale, prendendosi la rivincita proprio su Chang. Ma ormai il treno buono era passato.



MATS WILANDER
Non ha ballato una sola estate, perché il suo palmares parla di sette Slam, uno in più di Becker ed Edberg. Però il buon Mats è ricordato soprattutto per il suo grande 1988, in cui ha centrato tre quarti di Slam. Fu il penultimo (prima di Courier nel 1992 e Djokovic quest’anno) a vincere Melbourne e Parigi nello stesso anno. Ha fallito a Wimbledon, ma non è mai neanche andato vicino a vincerlo. E pensare che aveva vinto un paio di volte sull’erba di Kooyong prima che l’Australian Open passasse al cemento. Ma a Londra non è mai andato oltre i quarti. Nel 1988 fu letteralmente travolto da Miloslav Mecir. E se non arrivi in semifinale nemmeno nel tuo anno di grazia, beh, vuol dire che non è aria…

ARTHUR ASHE
Il grande Arthur è ricordato soprattutto per il suo contributo allo sviluppo del tennis, ma ha trovato il modo di vincere tre Slam. Us Open nel 1968 (prima edizione aperta ai professionisti), Australian Open nel 1970 e, soprattutto, il grande successo a Wimbledon 1975, quando diede una lezione di tattica a un ringhiante Jimmy Connors (del quale odiava il manager Bill Riordan). Ma il suo serve and volley era troppo leggero per il tennis fatto di rotazioni portato da Borg e Vilas. E infatti a Parigi non è mai andato oltre i quarti. Nel 1988 scoprì di avere l’AIDS e cinque anni dopo sarebbe morto: nel 1997, gli hanno intitolato il nuovissimo campo centrale di Flushing Meadows.

JIMMY CONNORS
109 titoli e 1243 partite vinte. In 20 anni di carriera, Jimbo ha vinto tutto….tranne il Roland Garros. Il grande rimpianto risale al 1974, anno in cui ha completato tre quarti di Slam ma non ha potuto giocare a Parigi perché aveva firmato (lui e Billie Jean King) un contratto con il neonato World Team Tennis americano, le cui date coincidevano con Roma e Parigi. Philippe Chatrier negò la loro partecipazione, tanto che qualche mese dopo i due gli fecero causa per 200.000 dollari. Resta una mancata partecipazione che pesa tantissimo. Non lo avrebbe giocato fino al 1978, dopodiché non sarebbe mai andato oltre le semifinali. Nei primi anni 80 l’avrebbero vinto Wilander e Noah, dunque forse avrebbe potuto fare qualcosa di più. Ma la verità è che il suo dritto, sulla terra rossa, non faceva male.



KEN ROSEWALL
Ogni volta che si parla di “Muscle” vengono in mente quei 44 Slam persi tra il 1957 e il 1968 perché accettò le sirene dei professionisti. Chissà quanti ne avrebbe vinti. Ha vinto quattro volte in Australia, due a Parigi e a New York, ma gli è sempre sfuggito Wimbledon, dove comunque è stato finalista a 20 anni di distanza. Non ci sono dubbi che negli anni 60 ne avrebbe vinti almeno un paio, invece i libri di storia – crudeli – attribuiscono 12 Slam a Roy Emerson e soltanto 8 a lui. Una profonda ingiustizia.

JOHN NEWCOMBE
E’ stato l’ultimo grande australiano prima che anche i canguri entrassero in crisi. Grande specialista del serve and volley, condivide con Rod Laver un curioso primato: sono gli unici ad aver vinto Wimbledon sia da dilettanti che da professionisti. “Vincere Wimbledon è come fare l’amore con le 100 donne più belle che tu abbia mai visto”. Si sarebbe imposto due volte anche in Australia e a New York, ma come tutti gli specialisti delle volèe, la terra di Parigi non faceva per lui. Al massimo è giunto nei quarti, ma almeno si è tolto la soddisfazione di vincere tutti gli Slam in doppio insieme al fido Tony Roche.

BJORN BORG
In verità è stato Guillermo Vilas a vincere tre Slam diversi, fallendo solo a Wimbledon. Ma sarebbe una bestemmia escludere Borg da questa lista. L’orso svedese, 60 anni appena compiuti, ha vinto 6 volte a Parigi (uniche due sconfitte contro Adriano Panatta) e 5 a Wimbledon. Però non è mai riuscito a domare lo Us Open, né a Forest Hills né a Flushing Meadows. E’ arrivato per quattro volte in finale, ma non c’è mai stato niente da fare. Connors e McEnroe si sono presi le loro rivincite dopo le scoppole rimediate in Europa. I fallimenti in America gli hanno fatto passare la voglia di andare in Australia, dove vanta solo una presenza, nel 1974. E così nel suo palmares figura un doppio buco. Incredibile ma vero.