LA STORIA – Ivan Lendl presenta lo step 2.0 del suo lavoro con Andy Murray: l’obiettivo si chiama Novak Djokovic. “Se possibile, vogliamo rovinargli ogni progetto”. E poi c’è la prospettiva di prendersi qualche rivincita su Boris Becker. 

Chissà se Andy Murray è appassionato di cinema. Il ritorno di Ivan Lendl nel suo team, in effetti, sembra la base perfetta per mettere in scena il secondo tempo di un film bruscamente interrotto due anni fa. A sorpresa, dopo un eterno intervallo, si riparte. Ed è un film tutto nuovo, tutto da vivere. Sei mesi fa, celebrando il successo di Angelique Kerber all’Australian Open, avevamo elencato i cinque ingredienti che componevano la pozione magica di un miracolo. L’arrivo di Lendl sembra aver rimesso insieme tutti i pezzi del puzzle per provare a scriverne un altro, di miracolo. Ricapitoliamo le cinque regole: 1) Essere sfavoriti da sorte, pronostici e storia. 2) Trovare un luogo magico dove allenare il proprio talento. 3) Conoscere qualcuno che ti sveli i trucchi e ti insegni le regole. 4) Quando sei in difficoltà e le cose si mettono male, fai come nei film degli anni 50: lascia che arrivino gli americani a risolvere le cose. 5) Fatti trovare pronto nel luogo e nel momento magico. Murray conosceva già il demiurgo che gli avrebbe sistemato il punto 3. Ci ha messo del suo, e ha messo in pratica il punto 4. Hai voglia a dire che Lendl è cecoslovacco. Ci mancherebbe, è vissuto e si è forgiato nel paese natale, ma ormai risiede negli Stati Uniti da una vita. Ha preso la cittadinanza americana e ormai pensa e sogna soltanto in lingua inglese. E il suo arrivo nella piovosa Londra, dopo aver lasciato l’assolata Florida, assomiglia un po’ all’arrivo di un Super Eroe dei fumetti. La persona giusta per fare il miracolo. Perché – parliamoci chiaro – ad oggi ci vuole un miracolo per mettere fine al dominio di Novak Djokovic e impedirgli di centrare il Grand Slam. O magari il Golden Slam. Lendl lo sa e ha detto le parole giuste, buone per esaltare i media britannici. Quando ha annunciato la partnership, Murray è stato chiaro: i loro sforzi saranno focalizzati su un solo giocatore, su un solo avversario. Su un solo nemico (sportivo, ci mancherebbe): Novak Djokovic. Restando in ambito cinematografico, possiamo immaginare la foto del serbo nel nello specchio del bagno di Murray, come accadeva a Rocky Balboa con Ivan Drago. In questo momento, Andy è l’unico inseguitore davvero credibile. Nadal boccheggia, Federer fa sempre più fatica a reggere certi ritmi, gli altri sono lontanissimi, i giovani sono ancora immaturi. E allora ha deciso di provarle tutte, di stargli dietro, di non mollare come faceva Felice Gimondi con Eddie Merckx. Non a caso, soprannominato “Il Cannibale”.

 
LA SFIDA A DISTANZA CON BORIS BECKER
Anche Lendl non le ha mandate a dire: “Djokovic ha la possibilità di fare il Grand Slam, forse addirittura il Golden Slam. Se è possibile, io ed Andy vorremmo rovinargli i piani. Se ripassiamo la storia, ci ricordiamo che l’hanno fatto soltanto in tre. Nel 1938 e nel 1962 giocavano solo i dilettanti, ma lo Slam di Laver nel 1969 è stato fenomenale. Per questo, Rod ha diritto di essere considerato uno dei più grandi di sempre insieme a Roger Federer. Non risolveremo mai il dibattito sul GOAT, ma capisco che sia divertente. Quello che ha fatto Djokovic non capitava da quasi 50 anni e va rispettato. Soltanto in due, prima di lui, hanno detenuto in contemporanea i quattro Slam”: Di certo Murray nutre un profondo rispetto per Djokovic. Un rispetto che si è tramutato in amicizia, anche se sul campo se le danno di santa ragione. Però Lendl gli aveva consentito di risolvere il tabù in almeno tre occasioni importanti: Olimpiadi 2012, Us Open 2012, Wimbledon 2013. E se tra Murray e Djokovic ci sarà sempre un enorme rispetto, è possibile che Lendl veda di buon occhio la sfida a distanza con Boris Becker. La loro rivalità ha colorato la seconda metà degli anni 80 e i primissimi anni 90. Si è chiusa sostanzialmente in parità (11-10 per Lendl), ma nei match davvero importanti ha spesso vinto Becker. Il bilancio nelle finali Slam dice 3-0 per Boris (Wimbledon 1986, Us Open 1989, Australian Open 1991), che diventa 5-1 nelle sfide complessive Slam. Lendl si rifa con un 2-1 nelle finali del Masters, ma tutti ricordano quella che ha perso nel 1988, al tie-break del quinto set, chiusa da un punto incredibile. Insomma, è possibile che a Lendl non dispiaccia togliersi qualche sassolino dalle scarpe, magari proprio a Wimbledon, dove Becker (oggi super-coach di Djokovic) è stato il principale artefice dei suoi insuccessi.


Lendl è sempre uguale a se stesso: sottile sense of humour (ha tirato una frecciata ai giornalisti: “Non sapevo che il mio accordo con Andy fosse di 18-20 settimane: ogni giorno imparo qualcosa di nuovo”) e una motivazione rinnovata dopo un paio di interventi chiurgici che gli hanno rimesso a posto entrambi i fianchi. “Adesso riesco a dormire di notte, prima mi facevano talmente male che non riuscivo a riposare bene. Inoltre sto cercando di ritrovare la forma. Non c’è una ragione principale per il mio ritorno con Murray: diciamo che è stato un insieme di fattori, anche il fatto che lui mi sembra molto motivato”. Molti si domandano cosa abbia fatto Lendl in questi due anni. Facile: ha seguito le figlie golfiste, ha giocato un po’ per conto suo e – soprattutto – ha sviluppato la sua accademia. “E’ una gran parte del mio lavoro, sto seguendo alcuni giocatori e credo che saranno molto utili se faremo un progetto a lungo termine, soprattutto nei periodi di allenamento. Andy potrà conoscere sei giocatori con caratteristiche molto diverse tra loro: c’è chi ha un gran servizio, chi tira ottimi fondamentali e chi è ottimo nel gioco di volo. Per ogni tipo di esercizio avremo la persona di cui abbiamo bisogno. Per loro, ovviamente, sarà un’opportunità introvabile altrove”. Il progetto è in fase embrionale e Ivan non ha ancora potuto scoprire le differenze tra il Murray di prima e quello di oggi, sposato e padre di una bambina. “Ma di sicuro partiamo da una posizione diversa: quando non hai ancora vinto uno Slam ti domandi sempre fino a dove puoi arrivare. Adesso che ce l’ha già fatta, la domanda è un’altra: ‘può farlo ancora?’. Credo che sia una prospettiva ben diversa rispetto ad allora”. Lendl è convinto che la risposta sia tutta nel talento dello scozzese. Lo sguardo è acceso, l’occhio è vispo. Ivan è tornato. Gli sfuggito un: “Un po’ mi manca casa…”, subito lavato via da un “Mi piace stare qui, mi piace ritrovare vecchi amici ed ex avversari”. Se poi vincerà qualcosa…gli piacerà ancora di più.