LA STORIA – Non solo Andy Murray, ma anche il 24enne Gordon Reid, vincitore della prima edizione dei Championships di singolare in sedia a rotelle. Da ragazzino sognava un futuro nel tennis, e nemmeno una mielite trasversa che l’ha obbligato alla carrozzina è bastata a rovinargli i piani. Sei settimane dopo aver lasciato l’ospedale ha vinto il suo primo torneo, e ora lo può scrivere dove gli pare: Wimbledon Champion.

La vittoria a Wimbledon di Andy Murray ha ovviamente monopolizzato la stampa d’oltremanica, questa mattina c’era la sua foto col trofeo su tutte le prime pagine dei quotidiani, ma il suo non è stato l’unico titolo britannico ai Championships. Anzi, c’è stato addirittura chi ha fatto meglio, e di titoli se n’è presi ben due. Si tratta di Gordon Reid, pure lui scozzese (!), che fra sabato e domenica ha fatto doppietta nei tornei di tennis in carrozzina. Prima il doppio con l’inglese Alfie Hewett, e all’indomani uno storico titolo in singolare, conquistato battendo per 6-1 6-4 in finale lo svedese Stefan Olsson. Il circuito di wheelchair funziona praticamente come quello vero e proprio, con i quattro Slam come appuntamenti più importanti. Ma a differenza di Australian Open, Roland Garros e Us Open, all’All England Club – malgrado il tennis su sedia a rotelle fosse arrivato già nel 2001 – si erano sempre giocate solamente le prove di doppio. Dal 2016 l’attesa apertura al singolare, finita come meglio non potesse, col successo del 24enne nativo di Alexandria, cittadina a una mezz’ora di macchina dalla capitale Glasgow. Cresciuto in una famiglia di sportivi, insieme a due fratelli e una sorella, da ragazzino Reid se la cavava discretamente e sognava un futuro nel tennis, ma a 13 anni è stato  colpito da una brutta forma di mielite trasversa, una sindrome del sistema nervoso centrale che provoca danni al midollo spinale. In alcuni casi la malattia si risolve senza interventi esterni, in altre resta qualche complicanza, nel suo l’ha obbligato alla sedia a rotelle e a ripartire da zero. Ma con grande forza d’animo ce l’ha fatta rapidamente, con una ricetta facile facile: il tennis. Invece che cancellare i suoi sogni, la malattia li ha rinforzati, e poco importa se c’era di mezzo una carrozzina da imparare a usare, manovrare e poi guidare alla vittoria.

QUELLA FESTA ALLA VIGILIA DELLA FINALE
Appena finite le cure “Gio”, come lo chiamano gli amici, ha iniziato a giocare, sole sei (sei!) settimane dopo aver abbandonato il letto d’ospedale ha vinto il primo torneo, nel 2006 è stato fra le prime dieci “Giovani personalità sportive dell’anno” secondo la BBC, e poco dopo era già il miglior giocatore del Regno Unito. Ha continuato a crescere e migliorare, nel 2012 si è buttato nel circuito Itf di wheelchair, e col suo tennis mancino ha scalato la classifica con grande rapidità. Prima nei 100, poi nei 50, nei 20, nei 10, nei 5, su fino alla terza posizione. Ma ormai, dopo il successo all’Australian Open e la finale al Roland Garros, è chiaro a tutti che il prossimo numero uno del mondo sarà lui. Domenica mattina sul Campo 17 non c’era un posto libero: c’era un sacco di gente ad accompagnarlo verso il suo primo titolo ai Championships, conquistato con un match perfetto. Ed era piena pure la Henman Hill, o forse è più corretto chiamarla “Reid’s Ridge”, come ha scherzato lui stesso ai microfoni del Guardian. E pensare che la notte prima della finale ha dovuto lasciare il suo hotel, gestito dalla LTA all’interno del National Tennis Centre di Roehampton, a causa di una festa che non gli permetteva di dormire. “Alle 22 – ha raccontato – me ne sono dovuto andare per fuggire dal trambusto, e non ho avuto proprio la nottata ideale prima di una finale Slam, ma ora fortunatamente mi posso dimenticare tutto”. Unica macchia? Il doppio fallo sul primo match-point. “Ho pensato troppo, è arrivata la tensione e ho sbagliato. Ma poi sono subito riuscito a cancellare i brutti pensieri. Il resto è storia”. Già, perché di match-point ce n’è stato subito un secondo e dopo l’errore di Olsson è scattata la festa, con l’abbraccio di tutti i suoi fratelli. “È incredibile – ha detto – mi sembra veramente un sogno. Sinceramente mi sento come se non ci fosse nulla di reale. Vincere un titolo a Wimbledon, nel primo torneo di singolare, è qualcosa di incredibile”.

“LO SPORT MI HA AIUTATO A RIPRENDERMI LA MIA VITA”
Le vittorie di Reid hanno raddoppiato la gioia della Scozia, condivisa con tutti gli altri paesi del Regno Unito, con buona pace di discussioni e referendum sull’indipendenza. “Non male, per un Paese piccolo come il nostro, vincere tre titoli a Wimbledon. Ero sul Campo Centrale nel 2013 quando Murray vinse per la prima volta, ed è stato qualcosa di incredibile. Sono onorato di essere riuscito a costruirmi una chance per farcela anche io. Andy è una fonte d’ispirazione sin da quando ero un ragazzino, l’ho visto giocare tantissime volte in tv, e ha ispirato me come tanti altri giovani in Scozia. Non capita spesso di poter parlare con lui, perché ha molti impegni e i nostri calendari si incrociano solo nei tornei del Grande Slam, però conosco abbastanza bene i membri del suo team e quando capita scambiamo sempre quattro chiacchiere”. Reid ha lasciato l’All England Club nella stessa situazione di Serena Williams, da campione in singolare e doppio, e fa niente se le 31.000 sterline incassate (25.000 in singolare, 6.000 in doppio) sono una miseria in confronto agli oltre due milioni entrati nelle tasche della statunitense, la sua vittoria va ben oltre i soldi. “Lo sport mi ha aiutato tantissimo a recuperare da quello che mi è successo e riprendermi la mia vita. Spero che questo, in qualche modo, possa ispirare tante altre persone, spingere nuova gente a praticare questo sport. So che nel corso del torneo il wheelchair ha avuto grande visibilità, e questo per noi è l’aspetto più importante. Trovare nuova gente che si interessa, ci segue, capisce quanto è alta la qualità degli incontri. Wimbledon è una splendida piattaforma per rendere il nostro sport sempre più importante. E se il mio successo servirà ad avvicinare qualche bambino al tennis in carrozzina, per me sarà una vittoria preziosa quanto il titolo”. Terminate le interviste con le televisioni britanniche, Gordon ha preso in mano il cellulare e ha provveduto subito ad aggiornare la sua “bio” su Twitter. Non più “wheelchair tennis player”, ma “Wimbledon Champion”. In barba alla malattia.