Cambio in vetta nel tennis americano: battendo Tsonga, Steve Johnson diventa il nuovo numero 1 yankee. Dal Roland Garros in poi, ha tenuto un rendimento da top-10, con tanto di medaglia olimpica. “Ma io continuo ad essere un ragazzo della California che ama giocare a tennis”. Professionista dal 2012, le esperienze NCAA gli stanno tornando utili nel circuito ATP. “Spero che solo il cielo sia il limite”.

Un anno fa gli avevano chiuso le porte del main draw, costringendolo a giocare le qualificazioni. Avevano ragione, perché Steve Johnson non le passò. Ma il tempo è galantuomo: lunedì prossimo, “Stevie” sarà il nuovo numero 1 del tennis americano. E non è certo colpa sua la crisi di una scuola che una trentina d’anni fa aveva una quarantina di top-100, mentre oggi sono appena sei. E’ il giorno di Steve, il ragazzo della California che sta vivendo un sogno. Negli ultimi due mesi ha messo insieme tante prime volte. Nessuna di queste può essere definibile come “sogno”, ma messe insieme fanno un certo effetto. Prima vittoria contro un top-10 (Richard Gasquet al Queen’s), primo titolo ATP (Nottingham), ottavi a Wimbledon, quarti nel singolare olimpico e medaglia di bronzo in doppio, insieme a Jack Sock. A ben vedere, è stato il più vicino a battere Andy Murray nel post-Roland Garros.
Uno così si dice che sia “hot”, caldissimo.
Lo ha dimostrato a Cincinnati, dove ha superato Jo Wilfried Tsonga col punteggio di 6-3 7-6 prima di urlare la sua gioia e prendersi il coro del Lindner Family Tennis Center: “iu-es-ei, iu-es-ei!”. Lui non è abituato a stare sotto i riflettori, ma le imprese olimpiche gli hanno regalato una certa popolarità, destinata a crescere quando si presenterà allo Us Open da numero 1 americano. “L’ho appena scoperto, è un onore – ha sibilato in conferenza stampa – John Isner ha tenuto la posizione per un bel po’, ma io sono contento che ci siano parecchi americani in crescita”. Allude ai tanti giovani che stanno provando a farsi strada, a partire da Taylor Fritz per arrivare ai vari Jared Donaldson, Reilly Opelka, Michael Mmoh, Stefan Kozlov e altri ancora. Ma adesso il leader, il punto di riferimento è lui. “E’ strano, in fondo io resto un ragazzo della California che ama giocare a tennis”. Vien da credergli, specie ascoltando la semplicità dei suoi ragionamenti. “Nel tie-break del secondo set ero sotto 6-3, ma avevo soltanto un mini-break di svantaggio. Mi sono concentrato sul mio servizio e ha funzionato, poi ho sperato che lui non tirasse un ace e riuscissi a entrare nello scambio”. E’ andata proprio così ed eccolo qui, il ragazzo che fino a qualche anno fa non conosceva la sconfitta.



PROFESSIONISTA A 23 ANNI
Già, perché “Stevie” è diventato professionista piuttosto tardi, nel 2012, a 23 anni di età. Motivo? Ha giocato a livello NCAA fino alla fine, indossando la frachigia dei Trojans, team dell’Università della California del Sud. Ha consentito al suo team di vincere quattro titoli NCAA consecutivi e si è anche preso due campionati individuali, uno da junior e uno da senior. Bottino finale? 72 vittorie consecutive. “Quando ho vinto il mio ultimo titolo mi sono sentito sollevato – dice Johnson – si era chiuso un capitolo della mia vita e volevo aprirne un altro”. Ma non deve essere facile, per chi è abituato a vincere sempre, entrare nell’inferno dei tornei Futures e dei Challenger. Ma all’Università, oltre a giocare a tennis, gli hanno insegnato anche a ragionare. E’ un brillante studente, gli mancano solo tre esami e sogna di finire gli studi al termine della carriera. Una maturità che gli è servita ad accettare le sconfitte e diventare un ottimo professionista, forse più forte di quel che gli consentirebbe il talento. Perché, siamo onesti, Johnson non è esattamente uno spettacolo. Picchia forte con servizio e dritto, si difende con il rovescio e si arrangia nel gioco di volo. Tipica scuola americana, corri e tira, meglio ancora se sfondi l’avversario. E’ un americano vero, oseremmo dire verace. Nato e cresciuto in California, incarna i luoghi comuni dei giovani della sua terra, a partire dal fidanzamento con una sportiva, l’ex giocatrice di pallavolo Kendall Bateman, conosciuta proprio all’Università. E poi spiaggia e divertimenti tipicamente californiani, aiutati dalla sua residenza a Redondo Beach, cittadina della Contea di Los Angeles. “Al di là del tennis mi piace giocare a golf, poi ho il vantaggio di abitare vicino alla spiaggia. Allora mi piace prendere la bicicletta e allontanarmi dalle abitudini del tennis. Torno allo stile di vita californiano, anche se non faccio niente di pazzo. Sono un ragazzo semplice”.

SOLO IL CIELO E’ UN LIMITE?
Gli piace definirsi tale, lo ritiene un vanto. E prova a non dimenticare nessuno quando gli chiedono di ricordare le persone più importanti della sua vita. “Tantissime. Mio padre, un maestro di tennis, mi ha trasmesso le prime basi e gli devo dare credito per tutto quello che ho imparato. Mia madre è stata un supporto assoluto non appena avevo bisogno di qualcosa. E poi i miei coach all’Università: hanno trasformato un ragazzo di talento in un giocatore di tennis. E infine il mio ultimo staff, guidato da Craig Boynton, che mi ha consentito di fare un altro salto di qualità. Spero che soltanto il cielo sia un limite”. Non potrebbe essere altrimenti per chi è cresciuto guardando in TV le sfide tra Pete Sampras e Andre Agassi, poi si è formato con Roddick, Blake e Fish come punti di riferimento. “E’ incredibile poterli chiamare, avere i loro consigli e giocare sui loro stessi campi”. Dovrà lottare per mantenere la leadership nazionale, poiché – salvo un clamoroso exploit a Cincinnati – nella Race 2016 gli resta davanti Sam Querrey, diciottesimo. Ma Johnson ha tutte le armi per stare davanti a tutti, almeno fino a quando esploderanno i ragazzi del 1996, del 1997, del 1998. Lui non è più giovanissimo, ma è professionista da poco e può essere un vantaggio. Gli anni al College gli hanno permesso di costruirsi una corazza mentale che gli sta dando una grossa mano. Non è da tutti vincere partite come quella contro Tsonga. Troverà i suoi limiti ben prima di arrivare al cielo, ma oggi è il giorno di Steve. Per adesso, l’America del tennis è ai suoi piedi.