Un monumentale Daniel Evans arriva a matchpoint contro Wawrinka, poi si arrende in cinque set. Per quattro ore, l’eccentrico inglese ha mandato in visibilio il Louis Armstrong. Rovesci in slice, attacchi in controtempo, punti ai limiti del paranormale…ma Wawrinka ci ha ricordato perché è un campione.

Il tennis è sempre bello, ma ci sono giocatori che lo rendono divertente. Chi ha rinunciato ai bagordi del sabato notte si sarà divertito, nell’assistere al match tra Stan Wawrinka e Daniel Evans, “Dan” per chi lo conosce, “Evo” per gli amici. Il britannico è un estroso, possiede un naturale senso dello spettacolo. Sul Louis Armstrong ha giocato una partita incredibile, da lasciare col fiato sospeso, la più bella della sua carriera. E’ arrivato ad un punto dall’eliminare il numero 3 del mondo. Un dannato punto. Ma nel tie-break del quarto set, sotto 6-5, Wawrinka ha avuto coraggio e si è presentato a rete, giocando una splendida volèe. Evans ha continuato a giocare benissimo, ha cancellato un setpoint sul 7-6 e ha avuto la grande chance sul punto successivo, quando non ha chiuso uno smash non impossibile (“Ho perso per quel punto, ho scelto la direzione sbagliata, ho optato per tirare al centro perché non l’avevo ancora fatto in precedenza”). L’avesse intascato, avrebbe avuto un secondo matchpoint. Gli è andata male, poi Wawrinka ha mostrato tutta la sua classe tirando un ace di seconda sull’8-8. A quel punto si è messo la mano sulla tempia, come a dire che questo match si vinceva col cervello. E così è stato. Contro un Evans ormai sfibrato, con i muscoli sfilacciati dai crampi (“Ma non li avevo, solo un problema al piede – dice lui – il fisioterapista non mi ha voluto trattare perché pensava che fossero crampi”), ha dominato il quinto set e dopo oltre 4 ore di gioco (bellissimo) ha fermato il tabellone sul punteggio di 4-6 6-3 6-7 7-6 6-2. Evans ha mostrato un’enorme personalità. Quando ha capito che il tennis di Wawrinka non gli dava fastidio, ha accettato lo scambio rovescio contro rovescio. Di solito Wawrinka ti ammazza, ma se deve piegare le ginocchia su ogni santo slice, beh, fatica anche lui. E appena poteva, il buon “Evo” accelerava con il dritto e magari si prendeva il punto a rete. Davvero uno spettacolo.

L’ELOGIO DELLA SINCERITA’
Sarebbe stata una storia immensa, da copertina, da scalzare persino la quasi-impresa di Paolino Lorenzi. Già, perché Evans ha una storia tutta particolare alle spalle. Nel 2008, prima di giocare un doppio a Wimbledon Junior, lo hanno pescato in un pub alle 3 di notte. La LTA, allora guidata da Roger Draper (l’uomo che guadagnava sei volte tanto rispetto a David Cameron…), gli tagliò i fondi. Lui ammette di non essere un vero professionista. In una conferenza stampa quasi surreale, per la sincerità che trasudava, ammise di non allenarsi a dovere, di non essere bravo nel suo lavoro. Meglio uscire con gli amici, bere, divertirsi. Anche normale, se vogliamo. Ma ciò che colpisce è il fatto che lo ammetta. Tutti i tennisti ripetono la filastrocca del lavorare duro, della fatica che fanno in allenamento…soltanto uno dice di non averne voglia. Anzi, due. L’altro è Nick Kyrgios (KO nella notte, costretto al ritiro durante il match contro Marchenko per un problema fisico): non a caso, i due hanno giocato il doppio insieme a New York. Tra simpatici scavezzacollo ci si intende. Quando Evans si sveglia dalla parte giusta, il suo talento è enorme. Qualcuno lo ha paragonato a Tim Henman, ma il suo stile è molto personale. Tre anni fa aveva già fatto ottime cose a New York, battendo Nishikori e Tomic, poi però un infortunio al ginocchio lo aveva riportato ai margini. Un anno e mezzo fa era fuori dai primi 700 ATP, qualcuno pensò che si fosse ritirato. “Macché, ero semplicemente infortunato” replicò lui, con stizza. E’ ripartito dai tornei Futures, ne ha vinti a catinelle ed è tornato addirittura nel giro della Davis. Leon Smith (che ha seguito l’ultima parte del match dal suo box: in precedenza era da Murray) lo aveva addirittura schierato titolare nella semifinale contro l’Australia, nonostante fosse numero 300 ATP. Quest’anno ha deciso di giocare a tennis, sul serio. Le coppe da portare a casa sono rimaste, ma stavolta erano quelle dei tornei Challenger.



PASSAPORTO RITROVATO
E lui, che fatica a spostarsi da Birmingham, si è sottoposto a una maxi-trasferta di 7 settimane negli Stati Uniti, culminata con questo Us Open. La scorsa settimana non ne poteva più, diceva di voler tornare a casa. Però è salito al numero 64 ATP e le proiezioni-ranking lo vedono già in 52esima posizione. Se continua così salirà ancora e potrebbe addirittura prendersi il premio di Most Improved Player 2016. Evans piace perché non recita, è sempre se stesso. “To be yourself” non è così scontato, specie nello sport professionistico. Invece lui rideva di gusto dopo un bel punto contro Wawrinka, comunicava con il suo angolo, trasmetteva vibrazioni positive al pubblico. A fare il tifo per lui c’era coach Mark Hilton e la fidanzata Georgina, truccatissima, scatenata, desiderosa di diventare una top-wag del tennis mondiale. Tuttavia, pare che ci sia lei dietro alla sua nuova disciplina. Quando hai una ragazza, beh, diventa difficile fare il pazzo in giro. Specie se è quella giusta. Per il torneo è meglio che sia passato Wawrinka. Anche se – lo ammettiamo – un ottavo Evans-Marchenko sarebbe stato divertente, la classica rivincita proletaria, di quelle che si vedono ogni tanto. Se però Stan (encomiabile per tenuta mentale) continuerà ad avere problemi alla caviglia, beh, l’ucraino potrebbe anche avere le sue chance. Intanto il buon Evo torna a casa. Dopo averlo visto in TV, i doganieri non avrebbero avuto problemi nel farlo imbarcare anche senza passaporto. Già, perché qualche giorno fa aveva twittato del letale smarrimento. Almeno questa gli è andata bene. “Il passaporto l’ho trovato – ha detto ai giornalisti – però non sono contento per aver giocato bene e perso. Avrei avuto la stessa delusione contro qualsiasi avversario. Adesso avrò bisogno di qualche giorno per riprendermi. Voglio tornare a casa, rivedere i miei amici”. A modo suo, è adorabile.