Il tennis allunga la vita più di ogni altro sport. Lo rivela uno studio lungo quindici anni, svolto dalla Medical School di Sydney e pubblicato dal British Journal of Sport Medicine. Su un campione di 80.000 persone è emerso che gli sport con la racchetta dimezzano il rischio di morte del 47%.

Sarà anche lo sport del diavolo, come amava definirlo Adriano Panatta (e tanti altri dopo di lui), ma gli studi rivelano che il tennis è l’attività sportiva che riduce maggiormente il rischio di morte. È il risultato di una lunga analisi svolta fra il 1994 e il 2008 dalla Sydney Medical School, che ha preso come campione un totale di circa 80mila persone fra Inghilterra e Scozia, con un’età media stimata intorno ai 52 anni. Sono state analizzate le abitudini sportive di ogni individuo, e ciascun soggetto è stato poi seguito per nove anni. Confrontato con la quota di soggetti che avevano dichiarato di non praticare alcuna attività sportiva, il rischio di morte è risultato inferiore addirittura della metà (47%) per i praticanti di sport con racchetta, nello specifico tennis, squash e badminton. La vera sorpresa, secondo i numeri pubblicati dal British Journal of Sport Medicine, è che il tennis ha una percentuale decisamente maggiore rispetto a tutti gli altri sport. Il secondo è il nuoto, con il 28%, seguito da attività aerobiche come la danza (27%) e ciclismo (15%).

Nessun beneficio, invece, per chi praticava calcio o rugby. Addirittura, per quanto riguarda la morte per problemi cardiovascolari, per i tennisti lo studio ha trovato un rischio minore del 56%. Va detto che la comunicazione non tratta della classe sociale dei soggetti esaminati, e nel Regno Unito chi gioca a tennis solitamente proviene dai ceti più agiati, quindi ha buoni mezzi economici e statisticamente vive meglio. Ma il risultato è comunque sorprendente. “I dati raccolti – ha spiegato Emmanuel Stamatakis, coordinatore della ricerca – confermano che praticare uno sport può avere grandi benefici per la salute pubblica, ma aggiungono una parte nuova: non è importante solo la frequenza con cui si pratica attività sportiva, ma anche qualche genere di sport viene scelto. Gli studi futuri dovrebbero aiutarci a rafforzare questa base di dati, e a capire come consentire una maggiore partecipazione sportiva a tutte le età e in tutti i ceti sociali”.