In preda a chissà quale istinto nostalgico, ogni tanto Richard Gasquet fa un salto su Youtube e riguarda quel filmato, pubblicato da chissà chi, in cui batte Rafael Nadal nella finale de “Le Petits As”, una sorta di campionato del mondo Under 12 e Under 14. Ogni fine gennaio, la cittadina francese di Tarbes si popola di baby tennisti, coach, genitori e rappresentanti di varie aziende. E' lì che si scovano i talenti del futuro. E' lì che si blindano i baby-campioni. E' lì che si fanno affari a basso costo. Lo aveva pensato anche chi mise gli occhi addosso a Carlos Boluda-Purkiss. Nel 2005 e nel 2006, l'alicantino è stato il primo a vincere per due volte. Spagnolo come Rafa, talentuoso come lui, divenne ben presto il “Nuovo Nadal”. Senza volerlo, persino Rafa gli mise addosso un bel carico di pressione: disse che – a parità di età – i colpi di Boluda erano migliori dei suoi. Dicevamo del video, quello di Gasquet-Nadal. Sarebbe interessante sapere se Boluda l'ha mai guardato. Basta osservare due scambi e si capisce che lui assomiglia a Gasquet, non certo a Nadal. A parte il modo di stare in campo, il fisico di Boluda ricorda quello del francese. Destrorso, baricentro basso, gambe tozze ma piuttosto rapide. Diciamolo: chi lo aveva paragonato a Nadal non ci aveva capito granché. Ma quando vinci, vinci, e vinci ancora, certe cose passano in secondo piano. A maggior ragione se un colosso come Nike si presenta a casa tua e ti mette sotto il naso un pezzo di carta intestata. Basta firmare e il “baffo” sarà il tuo logo per dieci anni. Carlos ha firmato, i dieci anni sono trascorsi ma non è andata come avevano sperato. Si fa presto a dire “bidone”, ma in effetti la carriera del (quasi) 24enne di Alicante è stata, ad oggi, una delusione. Una sofferenza atroce. Sulla sua pelle, Boluda ha scoperto la durezza e la cattiveria del mondo, ancor prima che del tennis. “Non sono uno che si fida facilmente – racconta – ma quando decido di concedere la mia fiducia, mi apro totalmente. Per questo ho sofferto ancora di più per determinate situazioni”. Quando hanno capito che non era così forte, in molti sono spariti. E lo hanno lasciato solo, nel momento più difficile: quando si è procurato una frattura da stress al polso, che lo ha tenuto lontano dal tennis per quasi un anno.
IL RAGAZZINO INGENUO NON C'E' PIU'Quell'episodio ha spezzato in due la vita e la carriera di Carlos Boluda-Purkiss. Da ragazzo era un baby fenomeno, semplice e un po' ingenuo, che pensava soltanto a giocare. “Mi divertivo e basta, senza pensare ad altro. Non sapevo cosa avrebbe implicato una vita nel tennis. Forse ho commesso solo un errore: non ascoltare a sufficienza i consigli di mio padre”. L'infortunio-spartiacque gli ha fatto capire che in Spagna (come in Italia) è quasi impossibile combaciare sport e studio. Delusione, solitudine, assenza di fiducia e paura per il futuro lo hanno portato con un piede sul burrone del ritiro. Stava per andare negli Stati Uniti, quando è stato ripreso per i capelli da Oscar Burrieza, ex discreto giocatore che lo ha portato a Madrid, lontano dagli occhi curiosi e cattivi di Alicante. “Prima ero il nuovo Nadal, poi la gente veniva a seguire le mie partite solo per vedermi perdere. All'epoca ci stavo male, adesso quello che pensano di me non mi interessa più”. Il ragazzo ingenuo è diventato un quasi-uomo, consapevole dei suoi limiti e ancora più diffidente. Da ragazzino sognava di vincere il Roland Garros, adesso non si lascia andare a pensieri arditi. Magari li fa, però non li condivide. Non si fida più di nessuno. “Adesso penso solo a oggi e domani”. Il 2015 era stata una buona stagione per Carlos: ha vinto i primi tre titoli Futures in carriera e ha conquistato il best ranking, al numero 404 ATP. Lontano anni luce da quel che sperava, ma una discreta base per lasciare almeno l'inferno dei Futures e mettere piede nel purgatorio dei Challenger, con la speranza di affacciarsi – prima o poi – nel paradiso del circuito ATP. Invece il 2016 è stato deludente. Sconfitte, troppe sconfitte, e la prospettiva di dover ricominciare daccapo. No, non è ancora tempo per alzare bandiera bianca. Per tentarci un'altra volta, forse l'ultima, Boluda è tornato a casa, presso il Club Atletico Montemar di Alicante, dove era cresciuto, dove dicevano di lui che sarebbe diventato il nuovo Nadal. Accanto a sé, un team tutto nuovo. Esperienza: poca. Entusiasmo: tanto. Motivazione alle stelle. Il nuovo coach è un personaggio pressoché sconosciuto al grande pubblico: si chiama Tomy (con una “m” sola, non è un refuso) Arias, è basco e la sua esperienza più importante come coach è stata con Guillermo Olaso, attualmente squalificato per una brutta vicenda di partite truccate. Arias e Boluda si sono conosciuti in estate, durante uno dei tanti Futures spagnoli, e hanno iniziato a parlare. Il feeling è stato immediato. E così hanno lanciato la loro sfida al mondo del tennis. Boluda per dimostrare di non essere un bidone, Arias per costruirsi un nome importante. I risultati sono discreti: negli ultimi sei tornei dell'anno, sono arrivati altrettanti quarti di finale. Niente di eccezionale, ma una discreta base per ripartire.
RITORNARE A CASA
La classifica piange: oggi Carlos è numero 632 ATP, oltre duecento gradini più in basso rispetto all'anno scorso. Ma ci sono un paio di indizi che fanno almeno sperare in una risalita. La voglia di rivalsa, certo, ma anche la costruzione di un team vero e proprio. Oltre ad Arias ci sono il preparatore Pasqui Carrillo e lo psicologo Vicente Cuairan. “Le sensazioni sono ottime – dice Arias – rispetto a cinque mesi fa, Carlos è un giocatore migliore. Possiede un grande talento perché ha una grande voglia di allenarsi. Per me il talento è questo, non la capacità di ottenere i risultati da un giorno all'altro. Credo che Carlos abbia due anni di tempo per ottenere il massimo del suo potenziale”. Due anni per ricucire un vestito che si era irrimediabilmente strappato. Magari non sarà bello come quando era uscito dal negozio, ma per Boluda sarebbe una soddisfazione enorme, che andrebbe ben oltre le gratificazioni economiche e la libidine psicologica di vedere il display del telefonino tornare a illuminarsi, e magari mandare al diavolo quelli che lo avevano lasciato solo. Adesso stanno lavorando duro, ad Alicante, insieme al giovane Casper Ruud e al suo coach Pedro Rico. Il lavoro andrà avanti fino alla terza settimana di gennaio, poi inizieranno i tornei. Boluda sente di potercela fare, di avere ancora qualcosa da dire. Lo hanno usato come fosse un oggetto, poi l'hanno gettato via quando hanno capito che, forse, non era una gallina dalle uova d'oro. Forse doveva trovare la sua dimensione, o magari fare pace con se stesso. E spesso capita che il sé più profondo si trovi a casa, laddove conosci ogni angolo, dove persino le buche dei marciapiedi ti sono familiari. Dove sai che non ci saranno sorprese. Perché se sei un provinciale (e Alicante, con i suoi 300.000 abitanti, non è certo una metropoli), probabilmente lo rimani per tutta la vita. Forse Carlos Boluda l'ha capito. E adesso riparte. Per l'ultimo tentativo.
LO CHIAMAVANO "IL NUOVO NADAL" (10 marzo 2014)
VIDEO: "A LA SOMBRA DE NADAL"