Non è certo una restaurazione, anche perché il concetto di “Big Four” è ormai sfumato negli ultimi anni. Allo stesso tempo, tuttavia, Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic ed Andy Murray sono ancora i più amati, i più attesi. Per questo, dopo gli esordi di Federer e Djokovic, c'era grande curiosità per quelli di Murray e Nadal. E sono arrivate risposte positive. A Doha, Murray ha dato l'impressione di aver fermato il tempo agli ultimi mesi del 2016. La sua ultima sconfitta risale alla semifinale di Coppa Davis, contro Juan Martin Del Potro, poi ha infilato 25 successi di fila. Opposto a Jeremy Chardy, è partito come un razzo e poi ha evitato complicazioni nel secondo set, chiudendo con il punteggio di 6-0 7-6. Lo scozzese dice di stare provando ottime sensazioni. “Ho colpito la palla con grande pulizia, sono soddisfatto di come il mio corpo ha risposto alle sollecitazioni”. Più in generale, lo scozzese punta a portare avanti l'onda lunga del 2016, in cui è diventato pressoché imbattibile. “E sono stato in grado di vincere partite anche nei giorni negativi”. Queste, si sa, sono le caratteristiche dei grandi campioni. Murray ha fatto un salto di qualità, anche se è consapevole che il suo ruolo nella storia non è così importante come quello dei rivali. “Non c'è dubbio che la mia carriera stata la peggiore tra quelle dei Fab Four” ha detto in un'intervista con il portale arabo Sport360. Con tre titoli Slam, dista ben nove successi da Novak Djokovic, undici da Nadal e quattordici da Federer. Un aggancio è pressoché impossibile, ma se continua così può avvicinare altri mostri sacri come Edberg, Becker, McEnroe, Connors e il suo coach Ivan Lendl. Lo scorso giugno, Murray è stato eletto per la prima volta nel Player Council ATP e la sua opinione è sempre più importante, sempre più ascoltata. “Non credo di essere il miglior leader possibile – ha detto – però ho le mie idee. Per esempio mi piacerebbe che il tennis investisse più denaro nella lotta al doping: le risorse ci sarebbero, tenendo conto degli immensi montepremi soprattutto negli Slam”. Inoltre, non gli dispiacerebbe che negli anni a venire fosse implementata qualche innovazione regolamentare, soprattutto per accorciare i match e renderli più interessanti per la televisione.
UN NADAL CHE PIACE
A Brisbane, ottimo esordio per Rafael Nadal. Il successo ad Abu Dhabi aveva fornito ottime indicazioni, adesso lo spagnolo si conferma nel Queensland, dove peraltro non aveva mai giocato. Il match contro Alexandr Dolgopolov nascondeva più di un'insidia: si affrontavano il giocatore che più di tutti utilizza il topspin e uno dei tennisti più imprevedibili, forte di colpi incredibilmente piatti. Per questo, il 6-3 6-3 finale soddisfa Rafa, anche tenendo conto che Dolgopolov aveva raggiunto la finale a Brisbane nel 2012. “Il centrale è molto bello e c'è un gran pubblico – ha detto Rafa, a Brisbane senza il nuovo coach Carlos Moyà (ma c'è lo Zio Toni) – per questo è stata una grande esperienza. Penso di aver giocato una partita solida, senza troppi errori. Questo mi rende ancora più soddisfatto”. E pensare che il primo break lo aveva infilato Dolgopolov al terzo game, poi Rafa ha rimesso le cose a posto con un parziale di quattro giochi di fila. Meno storia nel secondo, dove lo spagnolo ha strappato il servizio all'ucraino al quinto e al nono game. La vittoria è ancora più importante perché Dolgopolov aveva vinto gli ultimi due precedenti, a Indian Wells nel 2014 (in una partita straordinaria) e al Queen's nel 2015. Il prossimo avversario sarà Mischa Zverev: stimolato dall'impetuosa ascesa del fratello Alexander, ha giocato uno splendido 2016 e ha chiuso al numero 51 ATP. Il tedesco ha ritardato le ambizioni del baby fenomeno Alex De Minaur. “E' un giocatore offensivo con un bel servizio e ottime volèe – ha detto Nadal – sarà importante restare concentrato sul mio servizio ed essere molto aggressivo. Non posso fargli prendere l'iniziativa: in caso contrario, potrei avere più di un problema perché lui viene a rete molto spesso”.