Visto da tre metri di distanza, è ancora più impressionante. Siamo su un campo secondario, piuttosto piccolo, senza tribune e il rumore della palla quando impatta sembra una cannonata. Il gesto è semplice, lineare: suppongo che un esperto di biomeccanica sbaverebbe perché la catena cinetica mi appare perfetta, la potenza che genera perfino misteriosa. Stan, ma come fai a tirare così forte di rovescio: «Tutto parte dalle gambe: quando riesco a piazzarmi bene e a caricare, riesco a imprimere il massimo della forza» butta lì, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Per questa dote naturale deve ringraziare i genitori, oltre a Pierre Paganini, il preparatore che l’ha affinata e che nel curriculum vanta un cliente da buone referenze: Roger Federer. E poi la voglia di lavorare duramente che gli è valsa l’appellativo di Stanimal, anche se dopo tanti anni passati sul circuito, qualche periodo di flessione è comprensibile.
Perché, a differenza di quel che si potrebbe pensare, un colpo che appare così naturale nella sua esecuzione, non lo è affatto. Sopresi e increduli, ce lo conferma coach Magnus: «Tanti pensano che potrebbe colpirlo a occhi chiusi ma non è così. Alle spalle c’è tanto lavoro: hai visto quanti ne colpisce in allenamento? Certo, è un movimento più naturale del dritto ma se resta un paio di settimane senza giocare, non è che scende in campo e ne tira tre in lungolinea sulla riga. Ha bisogno di fiducia e di automatizzare il gesto. Ci sono perfino momenti della stagione dove lo perde totalmente e dobbiamo ripartire dalla base, col sottoscritto che gli lancia la palla con le mani, per riprendere il feeling con la palla!» conclude sorridendo Norman, creando speranza anche tra i giocatori di club. E comunque, anche quando gira bene, ci sono ancora piccoli dettagli che potrebbe sistemare, soprattutto dal punto di vista tattico: «Su tre cose vogliamo lavorare – continua Norman -: talvolta tende a salire troppo presto con le gambe, mentre se resta basso fino al momento giusto, genera ancora più potenza, senza perdere controllo. Poi deve imparare che ci sono situazioni dove è necessario e utile giocare più alto e carico, correndo meno rischi. Infine, Stan è il giocatore che in assoluto gioca meglio il cross stretto di rovescio. Ecco, l’abbinata cross stretto + botta in lungolinea è uno schema che deve saper gestire meglio perché può essere letale, per gli avversari».Eppure, anche un colpo così performante, ha i suoi lati deboli, che sono poi quelli classici del rovescio a una mano: «I maggiori problemi li ha incontrati con Nadal sulla terra rossa perché quando ti gioca il dritto carico, la palla rimbalza molto alta ed è complicato gestirla col rovescio a una mano. In teoria bisognerebbe arretrare, farla scendere e poi riportarsi in posizione, ma farlo decine di volte in un match vuol dire anche stancarsi tanto – spiega Norman -. Un discorso analogo lo si può fare per la risposta al servizio, quando l’avversario insiste col kick: Murray e Djokovic possono sfruttare la presa bimane per entrare nel campo e anticipare il colpo. Si può fare anche col rovescio a una mano? Certo, ma è più difficile, anche per uno come Stan che ha il miglior rovescio del mondo».
Però provare a mettere mano in un’esecuzione tecnica così esemplare non è facile, e forse nemmeno consigliabile: «E infatti io non ho cambiato nulla in questi anni – avverte Norman -: certo, di tanto in tanto, senza volerlo, commette anche lui qualche errore e alllora gli ricordo di girare di più le spalle o di finire meglio il colpo. Ma si tratta di situazioni temporanee e molto sporadiche: perché mai avrei dovuto cambiare un colpo del genere?». Vero, però forse nell’esecuzione in back… Qui Norman si indispettisce, almeno quanto può farlo un tizio di rara educazione e cordialità: «Credi che abbia un back modesto?» mi chiede, mentre a me passano davanti le immagini di quelli che un back lo tirano davvero sotto il gancio. «Assolutamente, ma non pensi che potrebbe fare meglio?». Norman ci riflette un attimo: «Sto scherzando, sappiamo benissimo che lo slice si può migliorare – dice mentre si allarga in un sorriso (ma adesso anche gli svedesi hanno senso dell’umorismo? n.d.r.) -. Stan tende ancora a giocarlo con poca rotazione, mentre invece dovrebbe dare più spin, entrando più deciso col taglio, come riesce benissimo a Federer, per citare l’esempio migliore. Però ogni tanto gioca questo back solo appoggiato, che arriva lento e lungo e non è facile da spingere».In questi anni, Norman gli ha visto tirare rovesci di ogni genere, ma due gli sono rimasti stampati nella mente: «La finale di Roland Garros contro Djokovic è stata la sua miglior partita di sempre, una di quelle dove ti entra tutto. Quando ha tirato quel famoso rovescio vincente che è passato di fianco al paletto, non sono nemmeno rimasto troppo sorpreso: mi aspettavo potesse fare qualsiasi cosa! Ma ancora più impressionante è stato il rovescio che ha tirato sul match point. Lo ricordo come fosse ieri: un buon servizio, la risposta corta e centrale di Djokovic e Stan che ha colpito leggermente da destra verso sinistra con una naturalezza impressionate. Oh, ma era il match point di un torneo dello Slam! L’ha fatto sembrare semplice ma non lo era. Ma quando è in fiducia può permettersi qualsiasi soluzione. Però anche lui vive dei momenti di frustrazione e deve ricominciare dalle basi».
Ebbene sì, succede anche a loro. E per questo Norman, con apprezzabile onestà, ammette che «tutto il merito di aver creato questo colpo è di Dimitri Zavialoff, il coach che l’ha seguito da quando era ragazzino fino al 2010 e che l’ha accompagnato dai primi rudimenti tecnici fino alla top 10 mondiale. «Troppo spesso il lavoro dei coach di base viene sottovalutato (leggete il suo intervento a pagina 18 n.d.r.), quando invece è essenziale. Ed è il lavoro più duro e spesso meno gratificante perché si costruisce un mattoncino ogni giorno e serve tanta pazienza, senza che nessuno te ne dia merito. A quell’età, spesso servono mesi per correggere un difetto e nessuno se lo ricorda quando poi quello stesso giocatore alza un trofeo ATP. Per me, il lavoro del maestro tra i 12 e i 18 anni è il più difficile e il più importante».
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— Eurosport IT (@Eurosport_IT) 13 gennaio 2017
E allora eccolo Dimitri Zavialoff: ci attende in un bell’hotel di Losanna, dove ora allena Timea Bacsinzcy. Francesce di passaporto con chiare origine russe, ha conosciuto Stan quando era un ragazzino di otto anni e non aveva mai giocato a tennis, salvo qualche lezione estiva. I suoi genitori però, insistevano affinchè i loro figli facessero sport e Stan è stato affidato nelle mani di Dimitri, che nel frattempo aveva abbandonato una modesta carriera da professionista. Uno dei momenti più critici è stato il passaggio dal rovescio bimane, classico per un ragazzino che non aveva ancora sviluppato un fisico importante, a quello ad una mano: «Aveva undici anni e il rovescio bimane funzionava poco perché non sapeva usare bene la mano sinistra. Quindi abbiamo deciso di cambiare: c’è voluto un anno e mezzo di cesti per trovare i giusti automatismi, ma sin dal principio si vedeva che aveva una certa sensibilità in questo colpo. In particolare, usava bene il polso per nascondere la direzione; ancora adesso, credo sia una delle principali ragioni dell’efficacia del suo rovescio». Ancor più soprendente di questa traversata, che in passato hanno compiuto altri fuoriclasse come Pete Sampras e Stefan Edberg, i modelli che ha scelto per affinare la sua tecnica: «Andavamo spesso a Barcellona per allenarci fisicamente e capitava di vedere Alex Corretja e Albert Costa: Stan si è ispirato a loro. Per capirlo, basta guardare l’ampiezza degli appoggi o il caricamento della spalla: ci sono tanti aspetti in comune. Li guardava e li imitava». E ha finito col fare meglio. Benché, anche lui, ha incontrato qualche difficoltà nel suo cammino, anche con la tecnica del rovescio. Vero, Dimitri? «Potessi tornare indietro, cambierei una cosa in particolare: abbiamo cominciato a giocare sulla terra battuta e ci siamo rimasti troppo a lungo. Sugli hard courts, gli appoggi sono diversi, i tempi di reazione sono diversi, i rimbalzi sono diversi, la palla che ti arriva è diversa. E lui ha imparato un filo tardi ad abituarsi a tutto ciò, anche col rovescio».
Ma c’è una spetto che è sempre rimasto identico: «Stan ha sempre avuto una buona attitudine tecnica ma sapete qual è il suo talento più importante? La voglia di lavorare e di migliorarsi. E quella di avere sempre fiducia nel percorso che ha intrapreso, senza rimettere tutto in discussione alla prima difficoltà. Una qualità che non l’ha abbandonato nemmeno ora che ha vinto tre tornei del Grand Slam. Lavorare duro è il suo mantra. E la sua forza più grande».
(*) Articolo pubblicato sul numero di dicembre della rivista Il Tennis Italiano