I dubbi erano legittimi. 35 anni di età e un 2016 così così, almeno per gli standard a cui ci aveva abituato, facevano pensare a un possibile declino di Serena Williams. Niente affatto: l'americana ha letteralmente dominato l'Australian Open e continua la sua rincorsa verso la leggenda, verso lo sgretolamento di tutti i record. Con il successo sull'adorata sorella maggiore, si è assicurata il 23esimo Slam e lunedì tornerà al numero 1 WTA. Serena non ha vinto il torneo oggi, in una finale senza sorprese: lo ha vinto ai primi turni, quando il sorteggio le aveva messo contro Belinda Bencic e Lucie Safarova, probabilmente le più forti tra le non teste di serie. Le ha tenute a distanza, poi ha fatto altrettanto contro Johanna Konta, la più in forma del momento. Un 6-2 6-3 che vale ancora di più del 6-4 6-4 rifilato a Venus. L'ha gestita con agio, a parte l'ovvio shock emozionale nei primi venti minuti. Per intenderci, nei primi quattro game ci sono stati altrettanti break. Persino Serena ha provato qualcosa al momento di scendere in campo. Lo ha mostrato nel primo game, quando ha agitato il pugnetto dopo il passante stretto che le ha dato il break. Era un modo per scrollarsi di dosso l'immensa tensione.
IL FATAL SETTIMO GAME
Non è bastato, almeno fino al 3-2 Venus, peraltro dopo un break regalato al quarto game, con ben tre doppi falli. Ma prima o poi la tensione passa, e quando passa non ce n'è per nessuna. Il break decisivo arrivava al settimo game, poi acciuffava il 5-3 dopo aver rimontato da 0-30. Sul finire del primo set ha ritrovato il servizio, chiudendo il parziale con un paio di ace. Onestamente, poca qualità. Si è visto qualcosa di meglio nel secondo set, dove Venus ha provato ad essere più propositiva. Sull'1-1, rimontava un delicato turno di battuta da 0-40 con tre ottime prime palle e cinque punti di fila. Era l'occasione per girare la partita, o almeno provarci, ma ormai il servizio della sorella era entrato a pieno regime. E Venus era (molto) vulnerabile sulla seconda palla. A un certo punto, la percentuale di trasformazione si è ridotta al 20%. Anche stavolta, il settimo game è stato decisivo. Serena ha bruciato due palle break con altrettanti errori (rovescio in rete e risposta larga), ma Venus non ha mostrato la ferocia agonistica che l'aveva spinta in finale. Niente da fare, soffre troppo le sfide con la sorella. E la terza era quella buona: una risposta-bomba sigillava il 4-3. Una sentenza, crudele e imperiale. Pochi minuti dopo, nonostante uno svantaggio di 15-30 nell'ultimo game (dopo che Venus si era aggiudicata lo scambio più lungo del match, 24 colpi), le due si scioglievano in un abbraccio lungo e intenso. Senza parole, ma dal grande significato.
“SENZA VENUS NON AVREI NIENTE”
Non è stata una splendida finale, anche se Serena ha mantenuto in attivo il saldo tra colpi vincenti ed errori gratuiti (27 a 23). Il problema dei derby, purtroppo, è l'assenza di tenore agonistico. Venus ha avuto qualche chance, anche nell'ultimo game, ma contro Serena non ha espresso la fermezza mentale che le aveva consentito di vincere i punti importanti contro Pavlyuchenkova e Vandeweghe. D'altra parte cosa ci si può aspettare da chi, durante la premiazione, si rivolge a tutti e dice “Questa è la mia sorellina”? E poi insiste: “Ogni tua vittoria è anche mia. Quando io non riuscivo a vincere, c'eri tu. Sei importantissima. Se Dio vorrà, mi piacerebbe tornare a giocare un'altra finale”. Frasi che suonano come resa, come ammissione di inferiorità tecnica nei confronti della “sorellina”. Da parte sua, Serena ha riservato parole ancora più dolci alla Venere Nera. “Senza di te non avrei vinto 23 Slam. Non avrei niente. Venus è l'unico motivo per cui sono ancora qui. Mi hai ispirato a lavorare duro e a combattere. Ogni volta che tu vincevi, tra me e me pensavo che avrei dovuto imitarti. E la tua capacità di tornare è stata straordinaria. Sono sicura che l'anno prossimo sarai ancora qui, ma non mi piace la parola 'ritorno', perché in realtà non te ne sei mai andata”. In vent'anni di professionismo, neanche Serena è mai andata via. Difficoltà, pigrizie, infortuni, eppure è ancora qui. E negli ultimi cinque anni ha vinto quasi tanti Slam (10) quanti ne aveva intascati nei primi 15 anni di carriera (13). Il numero 1 WTA è ripreso (quella che inizia lunedì sarà la settimana numero 310 in vetta), Steffi Graf è superata, Margaret Court è nel mirino. Un fenomeno. Una leggenda.
AUSTRALIAN OPEN DONNE – FINALE
Serena Williams (USA) b. Venus Williams (USA) 6-4 6-4