29 gennaio 2017: la storia del tennis porta il nome di Roger Federer. L’eterno campione di Basilea annienta Nadal in cinque set nella finale dell’Australian Open, risorgendo quando sembra non averne più, e diventa il più anziano a vincere un torneo del Grande Slam dal 1972. Dopo il match-point scoppia a piangere: lacrime dai mille significati. Ci sono ancora dubbi su chi sia il più forte di tutti i tempi?
Non capita spesso di percepire la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di storico, di assistere a uno di quei momenti che cancellano il passato e lo riscrivono a colpi di racchetta. Il futuro è sempre incerto, ma una certezza c’è già: nella Bibbia del tennis il 29 gennaio 2017 avrà per sempre uno “strillo” in prima pagina. Resterà il giorno in cui gli Dei hanno voluto regalare un ritorno al passato che sembra attualissimo, come se Roger Federer non avesse mai smesso di vincere, come se si fosse solamente preso una pausa, prima di tornare il personaggio da copertina di uno sport che gli ha dato moltissimo, ma ha ricevuto almeno altrettanto. Se non di più. Quello Slam numero 18 che un tempo sembrava scontato, poi è diventato difficile, quindi impossibile, lui l’ha trasformato in realtà, quando ormai non ci credeva più nessuno, andando ad aggiungere un altro volume all’enciclopedia di una carriera da leggenda. Evidentemente non voleva vincerlo in un modo qualsiasi, voleva vincerlo con una magia alla Federer, di quelle che hanno fatto innamorare del tennis migliaia di persone in ogni angolo del mondo. L’ha aspettato, l’ha rincorso digerendo vari pugni nello stomaco, ed è stato ripagato nel momento più improbabile degli ultimi 15 anni, al rientro dopo un 2016 a singhiozzo fra i problemi al ginocchio e quelli alla schiena. Ci si chiedeva se sarebbe stato ancora competitivo ad alti livelli, ma quando si tira in ballo la leggenda ogni ipotesi diventa credibile. Anche quella di vederlo vincere in finale contro Rafael Nadal, la kriptonite che un tempo lo svuotava dei suoi poteri, l’unica macchia in una carriera che altrimenti le discussioni sul più forte di tutti i tempi le avrebbe vinte senza nemmeno aprirle. Il passato resta, ma il presente cambia con una vittoria d’orgoglio, 6-4 3-6 6-1 3-6 6-3 con tanto di resurrezione quando sembrava non averne più. Non ci credeva più nessuno, nemmeno i tifosi più accaniti. “Film già visto”, dicevano. Forse non l’hanno capito nemmeno loro quanto è grande Roger Federer.
LA TATTICA GIUSTA PER RISPARMIARE ENERGIE
Per battere Rafael Nadal non doveva solamente giocare il suo tennis migliore, ma anche cancellare qualcosa come 23 sconfitte in 34 precedenti, il 9-2 negli Slam, il 14-7 nelle finali: numeri sinonimo di tanti fallimenti. Ma i fenomeni sono così: gli basta una sola rivincita per far dimenticare tutte le delusioni. E Federer si è preso la vendetta in grande stile, continuando a ricacciare nel borsone gli spettri del passato. Non si spiegano altrimenti un secondo e un quarto set da dimenticare, subito dopo un primo e (soprattutto) un terzo di altissimo livello. Ha servito bene, ha preso l’iniziativa tenendo i piedi dentro al campo, ha usato pochissimo il back di rovescio per non rallentare il gioco. Ha tolto il tempo a Nadal e dimostrato di aver risolto lo storico problema del passato: il diritto del maiorchino va meno e il suo rovescio coperto funziona molto meglio, quindi la diagonale sinistra non è più un calvario. Il problema, stavolta, è stato un tennis troppo intermittente, specialmente col diritto. O bianco o nero, senza quel grigio che in tanti frangenti avrebbe fatto più comodo. Anche se col senno di poi è stato meglio così: i primi quattro set sono scivolati via in fretta proprio grazie ai suoi alti e bassi, permettendogli di conservare le energie giuste per il finale. Nel terzo set è andato “in the zone”, per dirla come gli americani, salvando tre palle-break nel secondo game con altrettanti ace e poi scappando via con un paio di magie, iniziando a far credere che stavolta si poteva fare sul serio. Li sono saltati fuori un sacco di ricorsi storici: appena 2 sconfitte in 80 match dopo aver vinto il primo set, nessuna sconfitta contro Nadal da un vantaggio di 2 set a 1, quasi 30 anni che all’Australian Open nessuno perde una finale da 2 set a 1, e tanti altri. Ma Nadal è Nadal, è più forte dei numeri e c’è mancato poco che li cancellasse tutti in un colpo solo. Federer si è distratto di nuovo, gli ha consegnato il quarto set e poi è rientrato negli spogliatoi, per farsi trattare (come già in semifinale) alla gamba destra. Al rientro in campo sembrava più lento, meno reattivo, e ha perso il servizio in avvio di quinto, permettendo a Nadal di portarsi per la prima volta in vantaggio, proprio nel momento meno opportuno. Ma un break dal sapore di k.o. si è presto trasformato nel punto d’inizio dell’impresa.
IL PIÙ FORTE DI SEMPRE. BASTA DUBBI.
Il quinto set è stato la sintesi del Federer attuale: sembrava finito, invece è risorto. Si è risvegliato, ha ripreso a spingere e ha iniziato a costruirsi chance su chance. Ha mancato tre palle-break nel secondo game, un’altra nel quarto, ma ha resistito ai “no” dell’avversario con una tenacia alla Nadal, e nel sesto game ha avuto ragione lui, recuperando il break. Il resto è magia. Sul 3-4 il maiorchino ha recuperato da 0-40, ma Federer ha continuato ad alzare l’asticella, iniziando a vincere anche gli scambi lunghi e togliendogli sempre di più il fiato. Ha capito che era il momento di tentare l’assalto e gli ha rubato centimetro dopo centimetro, approfittando di un Nadal via via sempre più provato. È volato 5-3 e servizio, poi “Rafa” ha avuto comunque la forza per portarsi 15-40 nell’ultimo game, ma Federer da quel momento ha fatto il Federer, mostrando una cattiveria agonistica talvolta mancata nei momenti così importanti. Ha cancellato il pericolo con un servizio vincente e un diritto a sventaglio, poi ha mancato un match-point colpendo male un diritto, ma ha reagito con un ace e sull’ultimo punto ha messo una palla vicino alla riga. Nadal era sicuro fosse largo, lui sembrava d’accordo, ma il suo storico nemico occhio di falco ha dato torto a entrambi: palla buona, game, set and match Federer, che si è messo a saltellare come un bambino, con le lacrime agli occhi, incredulo di avercela fatta di nuovo. Incredulo di aver vinto per la prima volta uno Slam con tre match al quinto set, a 35 anni passati, lui che sulla lunga distanza – si diceva – non avrebbe vinto più. Incredulo di aver diviso un momento simile con l’avversario di sempre, trovando finalmente un modo per superarlo. Non poteva accettare di chiudere la carriera senza batterlo almeno un’altra volta, ma questa – parole sue – avrebbe accettato volentieri anche un pareggio. Giusto: Nadal avrebbe meritato questo titolo tanto quanto lui, e durante il suo discorso si è dimostrato un signore, con sorriso e occhi pieni di orgoglio per essere parte di una storia incredibile. Ma uno dei due doveva vincere e gli Dei hanno scelto Federer, consegnandogli – dalle mani di Rod Laver – il quinto titolo all’Australian Open, il primo Slam da Wimbledon 2012. Al rientro dopo sei mesi di stop, con mille interrogativi in testa, avrebbe firmato per un quarto di finale, invece si trova a diventare il più anziano vincitore di uno Slam dal 1972. E a cambiare tutte le prospettive sul suo futuro. Il ritiro può attendere, ora non ci sono più dubbi. Come non ce ne sono più sul nome del più forte di tutti i tempi.

AUSTRALIAN OPEN 2017 – Finale
Roger Federer (SUI) b. Rafael Nadal (ESP) 6-4 3-6 6-1 3-6 6-3

GLI HIGHLIGTS DELLA FINALE FEDERER-NADAL
I 5 PUNTI MIGLIORI – L'ABBRACCIO CON MIRKA