Il primo ad accorgersene era stato Patrick Mouratoglou. Sfruttando la vetrina dei social network, aveva avvisato tutti: "Il Plexicushion del 2017 sarà più veloce del solito". Non tanto nel restituire i colpi in topspin, quanto sulle botte piatte e sulle rasoiate in slice. Roger Federer ha colto al volo l'occasione e ha firmato l'ultimo capolavoro di una carriera da leggenda. Intendiamoci: c'è molto di suo, in questo successo. Le battaglie ai turni precedenti, poi la capacità di affrontare Nadal come non gli era mai riuscito in dodici anni di battaglie. Col rovescio ha estratto colpi inediti. Onestà intellettuale impone di ricordare che Nadal ha avuto appena 43 ore per recuperare dopo la semifinale contro Dimitrov. I miracoli si possono fare, ma non sempre. Lo aveva fatto nel 2009, non si è ripetuto. “Ho recuperato abbastanza bene, ma in certi momenti mi è mancata un po' di velocità”. Velocità che non è mancata al campo blu di Melbourne, oggetto di discussione sin dai primi giorni. Fernando Verdasco lo aveva paragonato ai tappeti sintetici degli anni 90: esagerava, ma il concetto sta in piedi. E Federer ha ammesso che i giocatori della vecchia generazione sono più abituati a certe condizioni. Se Rafa Nadal è cresciuto nella polvere di un piccolo tennis club a Manacor, il freddo svizzero lo obbligava a giocare indoor. “Ricordo bene i campi dove sono cresciuto in Svizzera – ha detto Federer – erano un fulmine. Erano tappeti lucidi. Con il passare del tempo è cambiato tutto”. Sotto la spinta dei giocatori, i vari tornei hanno rallentato le condizioni di gioco.
CAMPI “AMERICANI”
Il giochino è semplice: mischiando più sabbia con la vernice acrilica, la palla ha un maggiore attrito con la superficie. I campi più lenti, uniti all'attrezzatura, hanno creato giocatori più adatti ai campi medio-lenti. In assenza di dati certi, ci si deve affidare alle sensazioni. Jack Sock, cresciuto sul cemento americano, ha detto che i campi australiani sono tra i più veloci che abbia mai calcato. “Il torneo è di proprietà degli australiani, possono fare quello che vogliono, ma i campi hanno reso tutto più difficile”. Sentite John Isner: “Non ho mai giocato su un campo così veloce. Ho effettuato il riscaldamento e sono rimasto scioccato”. Gli americani parlavano dei campi secondari, quelli più soggetti al folle clima di Melbourne Park: secondo Brad Gilbert, i campi esterni erano più rapidi di un buon 25-30% rispetto ai tre principali. Sensazioni. Il direttore del torneo Craig Tiley ha detto che i campi hanno la stessa velocità dell'anno scorso. Difficile credergli. La superficie è stata rifatta tra ottobre e dicembre, prima sui campi principali, poi su tutti gli altri. La tempistica del rifacimento potrebbe aver creato qualche differenza tra la Rod Laver Arena e, per esempio, il Campo 16. I campi dell'Australian Open vengono costruiti dalla California Products Corporation, una ditta americana che – a dispetto del nome – ha la sede in Massachusetts. Nella parte inferiore, il Plexicushion è composto da lattice, miscela di granuli di gomma e particelle di plastica compresse. Nella parte superiore troviamo un'emulsione acrilica, colorata di vernice, e particelle di sabbia fine. La rapidità ha certamente favorito anche le sorelle Williams. “Venus ama i campi veloci – dice Federer – ha sempre trovato naturale giocare su questi campi perché devi pensare di meno, puoi usare l'istinto. E forse è per questo che i tennisti meno giovani possono fare bene: non soffrono i campi veloci”.
73 COLPI VINCENTI
Lo svizzero è professionista del 1998. “Allora le cose erano molto diverse. Ho dovuto cambiare il mio modo di giocare per continuare ad essere competitivo”. Melbourne gli ha improvvisamente restituito le condizioni che trovava tanti anni fa in Svizzera. Condizioni che gli hanno permesso di passare indenne da due match di cinque set e di presentarsi in perfetta forma all'appuntamento contro la nemesi-Nadal. Le sue accelerazioni erano più ficcanti, penetranti. Non è un caso che abbia bucherellato lo spagnolo per ben 73 volte, e che spesso Rafa abbia rinunciato a rincorrere la palla. In altri tempi, e su altri campi, avrebbe avuto un atteggiamento ben diverso. Sul Plexicushion del 2012, quello della finale durata quasi 6 ore, Roger Federer non avrebbe mai battuto Nadal. Ovviamente vale il discorso contrario: quanti Slam in più avrebbe vinto Federer se i campi fossero rimasti veloci come una ventina d'anni fa? Domanda legittima ma inutile. La verità è che la nuova superficie ha avuto un ruolo importante nel 18esimo Slam griffato Roger Federer. Dietro ad ogni successo, oltre all'ovvia bravura, ci vogliono anche le condizioni favorevoli. Stavolta Federer le ha trovate.