Un viaggio nella Players’ Lounge del Roland Garros, dove i giocatori e i loro coach si rilassano prima e dopo gli incontri, lontano dal caos, dal rumore dei campi e dalle attenzioni degli appassionati. Dove possono mangiare e bere ciò che gli pare e concedersi qualche vizietto, dove il ranking non conta più e diventano tutti uguali, leggende comprese.ROLAND GARROS – L’A4 sul frigorifero della sala stampa, spesso vuoto nei primi giorni quando il sole picchiava fortissimo, prega di non prendere più di una bottiglietta d’acqua alla volta, mentre pare che per quelli della Players’ Lounge non ci sia lo stesso invito, visto che Nick Kyrgios arraffa in un colpo solo una Perrier, due Lipton alla pesca e una Pepsi Zero, e si dirige al tavolo con un piatto contenente un paio di bistecche. Che non si beva un litro di porcherie un’ora prima di scendere in campo in doppio pare scontato (anche se è pur sempre Kyrgios…), ma la sorpresa arriva quando si scopre che per lui c’è solo l’acqua: le lattine di tè freddo sono per due accompagnatori, mentre la Pepsi finisce nel bicchiere del suo partner Jordan Thompson. Vinceranno, per 6-4 6-7 7-6 dopo una battaglia furibonda contro Struff e Mischa Zverev, che almeno ha fatto qualche game in più di quel Basilashvili che si è fermato a guardare in tv dopo pranzo, proprio nel momento in cui il georgiano ha vinto il suo primo (e unico) game.

Attorno a lui un andirivieni infinito di volti noti, quelli che l’appassionato vede per tutto l’anno in tv, e sarebbe pronto a pagare doppio per poterli osservare nel dietro le quinte della zona giocatori, dove il rumore di racchette, palline e applausi non c’è: si sentono solo le posate che lavorano, e la voce dello speaker che chiama gli incontri. È lì che i tennisti e i loro staff si rilassano prima e dopo un match, lontano (o quasi) da occhi indiscreti, pranzando, scherzando, giocando a carte come un gruppo di signore o anche solo leggendo un giornale come il doppista Nikola Mektic, che sfoglia L’Equipe con l’aria di chi non ci stia capendo molto. Accanto a lui le scale che portano agli spogliatoi, dalle quali compare Davide Sanguinetti seguito dal suo Ryan Harrison, con due matasse di corde in mano e un paio di Babolat sotto braccio, con l’augurio che non facciano la stessa fine di quelle sparate a Indian Wells come botti di mezzanotte. Facile intuire che si stia recando dall’incordatore, dandosi il cambio con Darren Cahill, che invece impugna due Wilson rosse e nere, ancora impacchettate, della sua Simona Halep.

Il banco del ristorante giocatori del Court Philippe Chatrier (ce n’è un secondo al Suzanne Lenglen) è situato sotto la Tribune J. Brugnon e diviso in sette reparti. Da sinistra verso destra: Healty Food (come se il resto fosse spazzatura), Bevande, Formaggi, Grill, Pasta, Pollo-Pesce e American Food. È lì che si dirige con sicurezza John Isner, mettendo paura ai passanti che credono possa sbattere la testa da un momento all’altro. Riempie il vassoio e prende posto, vicino alla tavolata francese che ospita Roger-Vasselin, Benneteau, Halys, Mannarino e allenatori vari. Poco distante c’è Sam Sumyk con due microfoni sotto il naso, si deduce per raccontare la vittoria di Garbine Muguruza contro Yulia Putintseva, mentre dietro siede Jean-Francois Caujolle, ben riconoscibile da barba e chioma bianchissime, impegnato in quella che ha tutta l’aria di essere una chiacchierata di lavoro, magari per piazzare qualche colpo grosso in vista delle prossime edizioni del suo ATP di Marsiglia. Riccardo Piatti stringe mani, perché Raonic ha vinto, poi si ferma da Thierry Van Cleemput a sincerarsi delle condizioni di David Goffin, che in mattinata si è ritirato contro Horacio Zeballos per una brutta storta alla caviglia. Mentre mima l’accaduto il coach dello sfortunato belga ha il volto preoccupato, ma per fortuna – si scoprirà poi – la risonanza magnetica ha evidenziato che non c’è nulla di rotto. Fa lo stesso con Sebastien Grosjean, uno di quelli che al tanto atteso Slam della Francia ci è andato più vicino, con quattro semifinali. Ora ci riprova da coach con Kyrgios: l’inizio non è stato dei più brillanti, ma dietro l’angolo c’è l’erba che lo lascia sereno.
È serena anche Anabel Medina Garrigues, che da giocatrice ha mollato il Tour lo scorso anno (con due titoli a Parigi in doppio) ma ci è rimasta come allenatrice di Jelena Ostapenko, che un’oretta prima ha raggiunto per la prima volta la seconda settimana in un torneo del Grande Slam. Le passa accanto Elina Svitolina, fra le favorite per il titolo, con i capelli bagnati dopo la doccia e due bottiglie d’acqua che finiranno presto nelle mani della madre. La numero uno della Race resta immobile nel corridoio per qualche minuto, con gli occhi fissi sullo schermo dell’iPhone, prima di dirigersi al ristorante per un’insalatona. Karolina Pliskova invece preferisce pasta al pomodoro (o qualcosa di simile) e Pepsi: pranzo veloce con coach Kotyza e via negli spogliatoi, dove c’è la vera area lounge riservata soltanto a giocatori e coach, con divanetti e passatempo. Arriva di corsa un gruppo di giornalisti francesi, telecamere alla mano. Accendono le luci, impugnano i microfoni: c’è Guy Forget che ha qualcosa da raccontare.

Compare Peter McNamara, con quella abbronzatura che ostenta benessere, mentre Google rivela che il due volte vincitore di Wimbledon (in doppio) siede già da oltre due anni sulla panchina della cinese Qiang Wang, presa quando era fuori dalle prime 100 e portata al numero 50. Arriva Robert Farah, con le scarpe sporche di terra battuta: ha appena raggiunto il terzo turno del doppio insieme a Juan Sebastian Cabal, missione che riuscirà più tardi anche a Paolo Lorenzi, mai così avanti in uno Slam di doppio come quest’anno con Rogerio Dutra Silva. In Players’ Lounge c’è anche il professor Parra, che chiacchiera vicino all’ingresso con degli amici e saluta il sempre elegantissimo Edoardo “Dodo” Artaldi, manager di Novak Djokovic insieme alla compagna Elena Cappellaro. Sono due dei sopravvissuti al taglio col passato del campione serbo, insieme a quel Pepe Imaz che tutta ha l’aria di chi la pace interiore l’ha trovata sul serio, anche mentre chiacchiera con Marcel Granollers e il fratello Gerard ai tavolini del bar, vestito tutto di bianco, con pantaloncini cortissimi e la classica maglietta che recita Amor Y Paz. Granollers ha perso proprio con Djokovic, già nella giornata di lunedì, ma è ancora in gara in doppio, dopo che con Ivan Dodig ha dato 6-1 6-2 a Jaziri/Seppi. Per il tunisino sembra non sia affatto problema, visto che scatta allegramente foto insieme a dei connazionali, e nemmeno per Seppi, che ride e scherza insieme a uno dei medici della nazionale, cercando un tavolo dove consumare due nighiri al salmone e una manciata di uramaki. Dentro non c’è un buco, tocca andare fuori, ma vista la temperatura non è un grosso problema. Arriva Max Sartori: “vado via, ci sentiamo quando atterri”, e lascia il ristorante in fretta e furia per non perdere l’aereo.

Entra al ristorante Stephane Houdet, già numero uno al mondo di tennis in carrozzina, con diciannove Slam vinti fra singolare e doppio. Tanti? Nulla in confronto ai 76 – fra singolare, doppio e misto – che si danno il cinque pochi minuti dopo: i 59 di Martina Navratilova, nascosta dal cappellino per non farsi riconoscere visto che sta per uscire, e i 17 di un John McEnroe che entra col borsone in spalla, già pronto per il torneo delle leggende. Dalla scala compare Feliciano Lopez, col suo passo da star: le hostess all’ingresso della sala ristorante a lui sorridono (e chissà perché…) e il buon Feli ricambia mostrando il badge per passare. Arriva anche Ion Tiriac, ben riconoscibile dai classici occhialoni, e si ferma a dare uno sguardo alle prime battute di Mladenovic-Rogers, mentre lì accanto Benito Perez-Barbadillo, pr di Rafael Nadal, è impegnato nello sport preferito degli agenti: parlare al telefono. Prima di uscire non può sfuggire il posacenere pieno, visto che si narra che più di un giocatore abbia il vizietto di concedersi qualche sigaretta (ma potrebbero tranquillamente essere dei tantissimi accompagnatori), e una voce famigliare, che chiede a un amico di portare un po’ di salsa di soia anche per lui. Chi è? Gaston Gaudio, che nel 2004 sulla terra sopra la sua testa ci ha vinto il torneo. È rimasto al tavolo da solo, e verrebbe da chiedergli che ci faccia a Parigi, ma la mezzora al luna park dei sogni di ogni appassionato sta finendo. Anzi, è già finita, come al media desk non perdono l’occasione di sottolineare.
Signore, aveva il permesso per restarci solo 30 minuti”.
E quanto ci sono rimasto?”.
Trentacinque”.
Ooooh pardon”.
Fiscali, ‘sti francesi.