Nick Kyrgios era tra i più attesi al torneo del Queen's, principale tappa di avvicinamento a Wimbledon. E' sull'erba, infatti, che la sua stella è esplosa nel 2014, quando batté a sorpresa Rafa Nadal negli ottavi dei Championships. Ma adesso la sua partecipazione è a rischio: durante uno scambio del suo prmo turno contro Donald Young, l'australiano è scivolato e ha rischiato di farsi male al ginocchio sinistro. Il ritiro è poi avvenuto per un dolore all'anca, che già lo aveva rallentato negli ultimi mesi. Ha provato ad andare avanti, ma dopo essersi fatto trattare dal fisioterapista, ha scelto di ritirarsi. “Era doloroso e non valeva la pena andare avanti – ha detto Nick – ovviamente il mio obiettivo è giocare bene a Wimbledon. E non c'era motivo di continuare se sentivo dolore al fianco”. Termina così, nel peggiore dei modi, il suo primo impegno londinese. Eppure l'aveva preparato con cura, affittando un appartamento nei dintorni di Wimbledon , dove c'è l'onnipresente mamma Nil a coccolarlo e viziarlo. La stessa casa dove, giovedì scorso, ha accolto Mike Dickson, l'inviato del Daily Mail, per un'intervista in cui è rimasto fedele a se stesso. Con naturalezza, Kyrgios ha lanciato un paio di frasi buone per un titolo.
L'AVVERSIONE PER I VIAGGI
“Da ragazzino non avevo mai pensato di poter diventare un tennista professionista. Si può dire che il tennis sia arrivato per caso. L'anno scorso ho giocato 18 tornei, e probabilmente ne ho mollati 8. Nonostante tutto, sono ancora tra i top-20 ATP”. Come a dire che lui, se vuole, può battere tutti. Ma non sempre vuole, e forse nemmeno gli interessa. A Kyrgios, la voglia di tennis va e viene. “Ci sono giorni in cui trovo divertente giocare, mentre in altri preferirei fare dell'altro. In particolare, quando sono in viaggio è difficile trovare le giuste motivazioni. Non mi piacciono i viaggi. Anzi, odio viaggiare”. Anche per questo, continua a ritenere Canberra “la migliore città del mondo” e ad avere un atteggiamento altalenante. Gli capita di avere comportaenti al limite, come il famoso “tanking” di Shanghai 2016, ma anche di lottare come un leone in Coppa Davis, oppure quando stava per battere un grande Federer a Miami. Mentre il suo amico Andy Murray, con il quale ha condiviso qualche sessione di palestra, ha imparato a misurare le parole, Kyrgios è ancora molto spontaneo. E non ha problemi nell'ammettere che l'anno scorso, al Queen's, scese in campo contro Raonic tirandosi su da un divano in players lounge, senza neanche riscaldarsi. La scivolata di quest'anno è stata accidentale, ci mancherebbe, ma un approccio più professionale alle partite non guasterebbe. E allora si finisce sempre lì, al discorso del coach. Da qualche settimana, si fa seguire – part time – dall'ex top-5 Sebastien Grosjean. Ma le parole di Nick non incoraggiano.
LA PRESENZA DI UN COACH
“Sebastien mi piace molto, mi sta aiutando e insieme ci troviamo bene. Ma se devo essere onesto preferirei non avere un coach. E' pieno di gente che mi diceva che dovrei assumere qualcuno, allora me lo sono preso”. In altre parole: vi ho accontentati, ma adesso lasciatemi in pace. Chissà come l'avrà presa Grosjean. Ma a Kyrgios, in apparenza, l'opinione degli altri non interessa granché. In apparenza, perché poi dice: “Odio chi pensa che io sia diverso. Sono un ragazzo con hobby e abitudini normali”. Ad esempio, la devozione alla fidanzata Ajla Tomljanovic, con tanto di tatuaggio con il suo nome. Però gli piace il basket, lo sport che praticava da piccolo, quando aveva qualche chilo di troppo. Poi ha iniziato a giocare a tennis per seguire il fratello Christos, e ha scoperto di essere baciato dal talento. A ben vedere, il destino si era delineato già qualche anno prima, quando il padre (buon calciatore) rifiutò l'offerta di andare a giocare in Grecia, suo paese d'origine, per restare in Australia. Fosse finito ad Atene, probabilmente sarebbe stato più difficile prendere una racchetta in mano. E invece adesso c'è un tennista che divide l'opinione pubblica, tra chi lo ama e chi lo disprezza. Ma su un punto sono (quasi) tutti d'accordo: è il più grande talento dopo i Fab Four. Ma il talento non basta: aiuta, ma non è sufficiente.