Il diciannovenne danese è noto per gli atteggiamenti provocatori, e dopo decenni di ‘buonismo’ è il tennis in generale che sembra aver virato verso campioni divisivi e polemici, da Kyrgios a Medvedev, a Tiafoe
E’ ufficiale: c’è del macho in Danimarca. Si chiama Holger Rune e non ha nulla di amletico, molto di polemico. Petto in fuori e sguardo da bullo, il gusto di giocarsela sempre sui nervi, oltre che sul talento – che c’è, ed è tanto. Ieri in semifinale contro Sinner – a cui già era capitato di subire le ‘angherie’ borderline di Tiafoe – il danese ha girato la partita anche usando come leva il body language, il linguaggio del corpo: gli sguardi ironici, i siparietti provocatori con il pubblico tutto schierato con l’avversario, il pugno agitato e il padiglione auricolare curvato a conchiglia dopo un colpo vincente, stile Luca Toni nel calcio, o stile Medvedev, se volete un esempio più tennistico e più fresco. Carattere, grinta – o semplice provocazione?
«Preferisco non commentare», è stata la risposta di Gentleman Jan, fatta di molto fair-play e di una dose di amarezza. Holger peraltro non si è pentito, di nulla, neanche della pallata da fondocampo che ha rischiato di prendere l’avversario in faccia. Anzi. «Il mio rapporto con il pubblico? Direi fantastico. C’era tanta energia sul campo, ed è divertente. E se chiedete agli spettatori, secondo me preferiscono questo ad un match fra due che guardano in basso e non fanno nulla». Uno schiaffo in faccia a vent’anni di ‘buonismo’ tennistico, alla rivalità educatissima e rispettosa fra Federer e Nadal, alla deferenza – Djokovic escluso – dei loro rivali. Dai gesti bianchi ai gesti inconsulti?
Lo spirito dei tempi sembra cambiato, forse incattivito da anni di pandemia e guerre nel mondo. Sembra quasi che sia saltato un tappo, dopo anni di cortesie – a volte, ammettiamolo… – anche un filo mielose, di premiazioni dove i buoni sentimenti e l’ipocrisia alzano sempre la coppa. Kyrgios è il capostipite riconosciuto di questo neo-cattivismo, il suo discepolo indiretto Tiafoe lo abbiamo già citato (è lui che insieme ad altri americani vorrebbe un tennis rumoroso e maleducato), e pure il demone Medvedev, che proprio a Monte Carlo nel suo ottavo notturno e litigiosissimo contro Zverev («non sei stato corretto», gli ha detto Sascha al momento di stringergli la mano) due giorni fa aveva ingaggiato una delle sue solite risse verbali con il pubblico. Rivendicando poi in conferenza stampa, con ironia, il diritto alla ‘cattiveria’.
Certo, se confrontiamo i Pierini di oggi di oggi ai Grandi Maleducati di un tempo, stiamo ancora parlando di nulla. O ce lo siamo dimenticato il Connors che scavalcava la rete per cancellare i segni in capo altrui (capitò ad uno sconcertato Barazzutti), esibiva il ‘pacco’ o urlava in faccia agli avversari? E il Nastase politicamente scorrettissimo che dava del ‘Negroni’ ad Ashe, buttava i gatti neri in campo allo scaramantico Panatta o si presentava in pigiama per un match troppo mattutino? Di McEnroe, oggi veneratissimo maestro, occorre parlare? Di Hewitt Canguro Mannaro? O dei pubblici italiani che in Davis scagliavano monetine e panini in campo? Ecco, allora: scandalizziamoci pure, indigniamoci pure, mettendo però sempre i fatti in prospettiva. Finché la cattiveria è quella del discolo Rune, facciamocene una ragione. E magari godiamocele anche un po’, le nuove rivalità ‘maleducate’. Con un solo patto: buoni e cattivi ci possono stare, e i secondi a volte danno ancor più sapore alla pietanza tennis. A patto che si tratti di comportamenti genuini, naturali, e non di additivi artificiali pensati per fare un filo di audience in più. Quello sì, che sarebbe triste.