Se dici certe cose in conferenza stampa, è possibile che siano dettate dal momento. Ma se lo fai in una trasmissione televisiva, dove magari è tutto preparato, significa che le senti per davvero. Ospite di Melissa Doyle nella trasmissione “Sunday Night”, Bernard Tomic ha ribadito di non aver nessuna passione per il tennis. E di giocare soltanto per i soldi. In un'intervista rivelatrice, l'australiano ha invitato il pubblico a non andare a seguire i suoi incontri. “Non venite, limitatevi a guardare la TV, non dovete pagare niente”. Frasi forti, crude, ma sincere e per questo apprezzabili. Tomic ha frantumato il muro di ipocrisia che avvolge il mondo dello sport professionistico: è ovvio che sia il denaro, ben più della passione, a muovere il carrozzone. E' come nella vita: quante persone fanno davvero il lavoro che amano? Un impiegato statale sognava di stare 40 ore a settimana chiuso dentro un ufficio? Un operaio? Un muratore? Lo sportivo di alto livello è un privilegiato, ma non è detto che sia una vocazione. E' così per Tomic, che ha ripercorso la sua carriera senza ipocrisie. “Ci sono stati momenti in cui mi sono impegnato al 100%, altri in cui ho dato il 30%. Nel complesso, credo di aver reso per il 50% delle mie possibilità”. In un impeto di orgoglio, si è anche fatto i complimenti da solo, definendo “incredibili” i risultati ottenuti fino a oggi. “Non ci ho mai veramente provato, eppure ho ottenuto tutto questo. Quello che ho fatto è fantastico”. 25 anni da compiere il 21 ottobre, oggi è numero 69 ATP ma è stato anche in 17esima posizione. Si è aggiudicato tre titoli ATP: Sydney nel 2013, poi la doppietta a Bogotà nel 2014 e nel 2015. Quando l'intervistatrice gli ha domandato cosa consiglierebbe al Tomic 14enne, la risposta è stata tranciante: “Gli direi di non giocare a tennis, di fare qualcosa che ti piace per davvero, perché la vita del tennista è dura, dura, dura. Io sono intrappolato, sono costretto a farla”. Tomic si è avventurato in considerazioni quasi filosofiche: “E' stato il tennis a scegliere me – ha proseguito – è qualcosa di cui non mi sono mai veramente innamorato. Mi piace, per carità. E' come quando conosci una ragazza: non ne sei innamorato, ma ti piace”.
ARROGANZA E PROVOCAZIONI
Parole che confermano il suo atteggiamento dopo la sconfitta a Wimbledon per mano di Mischa Zverev. Disse di essersi annoiato. La frase gli è costata una multa di 20.000 dollari per “condotta antisportiva”, nonché la rescissione del contratto con Head, suo (ex) fornitore di racchette. Se le prese di posizioni possono essere apprezzabili (perché oneste), era caduto nel cattivo gusto quando se l'era presa con i suoi critici. “Loro sogneranno di acquistare una bella macchina o una casa, mentre io posso permettermi di comprarle entrambe”. La Doyle gli ha dato l'opportunità di riflettere sulle affermazioni, ma lui è stato irremovibile: “Non mi pento di quello che ho detto: l'ho fatto per far incazzare qualcuno. La verità è che io non vengo da una famiglia ricca, non avevamo soldi. Adesso vivo in case di lusso e ho proprietà in giro per il mondo, ho lavorato per arrivarci”. Ma i soldi non danno la felicità, e Tomic se ne sta rendendo conto. “Non molte cose sono in grado di rendermi felice. A dire il vero, non mi piace essere felice di tutto. Se mai avrò la chance di vincere un torneo del Grande Slam, forse soltanto allora potrò avvertire la sensazione di sentirmi veramente felice. Però non c'è possibilità che io mi possa innamorare del tennis. Per me è soltanto un lavoro”. Lo testimoniano i cattivi risultati del 2017, in cui soltanto tre volte ha passato più di un turno: Australian Open, Istanbul e Eastbourne. Tuttavia è ancora giovane e ha lasciato un segno di speranza ai suoi tifosi (ammesso che ne abbia ancora…): “Forse potrò illuminarmi e vincere uno o due Slam. Vedremo, soltanto il tempo ce lo potrà dire”. In un mondo del tennis pieno di squali, l'arroganza può essere una qualità. Il problema di Tomic è che la sta usando nel modo sbagliato. E la storia di papà John, un tipo rozzo e persino violento, regge fino a un certo punto. Come Mike Agassi, non avrà certamente contribuito a sviluppare l'amore del figlio per il tennis. Ma adesso le colpe sono di “Bernie”: nessuno pretende che sia innamorato del suo lavoro, ma buttare via il talento è delittuoso. Perché il lavoro – in quanto tale – deve essere rispettato. Sempre.