Un (difficile) tentativo di analisi della delicata vicenda riguardante Sara Errani. Da una parte ci sono evidenze scientifiche, dati di fatto ma anche qualche opinione tramutata in verità. Dall'altra una vicenda emotiva che colpisce per le implicazioni personali e familiari che l'hanno messa a dura prova.

MILANO – È difficile affrontare con la dovuta razionalità il caso riguardante Sara Errani. Si viene travolti da un'altalena emotiva che impedisce di costruirsi un'idea chiara, o quantomeno definitiva. La conferenza stampa presso l'Hotel Melia di Milano si è rapidamente tramutata in uno sfogo dalle forti implicazioni emozionali. Sara è furibonda verso chi ha diffuso notizie inesatte, favorendo uno scatenarsi di commenti, ironie e cattiverie nei suoi confronti. E' partita in quarta, ribadendo “voi, voi, voi” riferendosi ai giornalisti. Uno sfogo tanto comprensibile quanto inaccettabile. Per questo, anche se esula dall'oggetto in questione, siamo stati costretti e ricordarle che ogni giornalista – così come ogni atleta – risponde alla sua coscienza e al suo modo di maneggiare le notizie. Esiste una coscienza personale, non una coscienza collettiva. Sara, che non è affatto stupida, ha capito al volo: non solo si è scusata, ma da lì in poi si è sforzata di non cadere in generalizzazione quando è tornata sull'argomento “disinformazione” (e ci è tornata spesso). Un passaggio che ha ammorbidito gli spigoli di una mattinata che rischiava di diventare troppo tesa, e che l'ha distinta da altri personaggi – anche di questo mondo – che hanno il vizio di generalizzare contro "la stampa". D'altra parte, dire “voi, voi, voi” garantisce un certo risparmio cognitivo. È più semplice fare così che ribattere, argomentando, a ogni singola critica e/o osservazione.

CONTAMINAZIONE DEL CIBO
E dire che la Errani ha discrete frecce al suo arco in quella che è diventata una battaglia tra innocentisti e colpevolisti, con sullo sfondo una massa più o meno influenzabile, a cui i social network hanno garantito diritto di parola, per dirla con Umberto Eco. In effetti è sorprendente che, anche dopo la pubblicazione della sentenza del Tribunale Indipendente, vari organi di stampa abbiano continuato a parlare di anastrozolo, sostanza con una quindicina di casi, e non di lestrozolo. Da lì, il legittimo nervosismo erraniano, ancora più vivo quando ha letto addirittura tre ipotesi di difesa, spuntate da chissà dove (integratori contaminati, squilibri ormonali o ritardata richiesta di TUE). “Queste sono scuse più o meno eleganti per nascondere una colpevolezza – ha detto – mentre io non ho nessuna colpa. Non ho nessuna strategia difensiva, ma mi attengo ai fatti”. I “fatti” sono i 44 punti di una sentenza di 20 pagine, consegnata a tutti i presenti insieme alla nota che Sara aveva già diffuso lunedì tramite social network. E' giusto attenersi a quanto scritto dai tre giudici, ma nella sentenza non ci sono soltanto fatti oggettivi, ma anche opinioni. Argomentate, valide, condivisibili, ma pur sempre opinioni. In particolare, il Tribunale ha creduto alla racconto di mamma Fulvia, ovvero la possibilità che il cibo da lei preparato in data 14 (o 15) febbraio potesse essere stato contaminato. “Non possiamo sapere con certezza come sia avvenuta l'ingestione” ha detto la stessa Sara, ammettendo indirettamente che il “fatto” scivola nel campo delle opinioni, comunque condivise dal Tribunale. Poi aggiunge: “La contaminazione del cibo è l'unica opzione possibile. Ci siamo arrivati per esclusione, dopo aver escluso al 100% l'erronea assunzione di una pastiglia e una contaminazione da contatto fisico”. Pur comprendendo la voglia di separare il suo caso da tanti altri, non è del tutto corretto sostenere che “non esiste una strategia difensiva”, quasi come se fosse un aspetto negativo. La strategia difensiva c'è stata eccome, ed è giusto e sacrosanto che sia così. D'altra parte, a Londra erano con lei due avvocati, tre testimoni e un perito. E ci mancherebbe altro.

TRE PUNTI SU CUI DISCUTERE
Il Tribunale non ha accettato la deposizione di un test del capello che, secondo Sara, avrebbe ulteriormente chiarito la sua totale innocenza. Alla richiesta di chiarimenti su questo punto, ha puntualizzato: “Il test del capello è stato accettato per evidenziare le differenze tra me e mia madre, che è consumatrice abituale di letrozolo. Non è stato accettato, per ragioni che non mi sono piaciute (il fatto che i periti della controparte non lo potessero analizzare, ndr), il test sperimentale che ha evidenziato la totale assenza di letrozolo nei miei capelli. Si tratta di un test in grado di rilevarne l'utilizzo, nonché addirittura la tempistica dell'ipotetica assunzione”. Si tratta di un punto molto importante: non sappiamo quanto impieghi il letrozolo a essere smaltito dall'organismo, ma secondo Sara questo test consente di rilevarne l'utilizzo fino a 12 mesi prima. “Per questo siamo pronti a un eventuale ricorso WADA, perché avremmo questo elemento in più a nostro favore”. Va detto che Marco Bonarrigo del Corriere della Sera, autore di alcuni degli articoli che hanno dato più fastidio agli Errani, ha scritto che tale test “è stato svolto in maniera privata e al di fuori del protocollo antidoping, dunque non avrebbe comunque valore giuridico-scientifico”. Questo non lo sappiamo, ma resta un elemento importante. Nel tentativo di trovare “fatti” a discapito di “opinioni”, è certo che il quantitativo di letrozolo trovato nelle urine di Sara sia davvero infinitesimale: 65 nanogrammi sono davvero pochissimi, il che legittimerebbe la tesi dell'ingestione accidentale, peraltro accettata dai giudici. Durante la conferenza, Sarita ha spesso fatto ricorso agli appunti che si era preparata: qualcuno l'ha criticata anche per questo. Sbagliato, perché si è trovata a parlare di argomenti conosciuti – come noi – soltanto in queste settimane. Prima di ribadire più volte le sue conclusioni, ha sostenuto che il letrozolo non è una sostanza dopante per le donne (“Lo dimostra lo studio di un medico australiano dell'Università di Sydney”), e ha respinto la tesi che sia una sostanza coprente: “Il suo effetto non è quello di nascondere, bensì di contrastare gli effetti collaterali dell'utilizzo degli steroidi”. Restando nel merito, ha poi ribadito i tre punti sui quali il Tribunale le ha dato ragione.

  • La contaminazione del cibo è la causa della positività al test.

E' possibile, probabile. Ma la certezza assoluta non può esserci, né ci sarà mai. Sara fa benissimo a dire che “dentro di me so come sono andate le cose”, ma dimostrarlo retroattivamente è impossibile. Va detto che in 52 minuti di conferenza non ha mai pronunciato la parola “tortellini” che invece era finita su quasi tutti i titoli perché menzionata in sentenza. La Errani si è limitata a parlare di generica “contaminazione del cibo”.

  • Non c'è prova del fatto che abbia intenzionalmente violato le norme antidoping.

Vero, ma questa attenuante è stata concessa anche a chi ha preso sanzioni ben più pesanti della sua. La stessa Sharapova, dopo la riduzione a 15 mesi, ha sottolineato con forza questa aspetto.

  • Non c'è prova del fatto che il letrozolo migliori le prestazioni di una tennista di sesso femminile.

E' vero, e in effetti è del tutto inverosimile che una tennista di donna ricorra a una sostanza del genere per migliorare le prestazioni. Sara ha poi tenuto a precisare che i due mesi di squalifica (ai quali vanno aggiunti 3 mesi e 22 giorni di risultati e prize money cancellati, tranne la Fed Cup) sono arrivati perché le è stata attribuita la responsabilità per la negligenza della madre (ovvero il fatto di tenere il Femara nei pressi della dispensa della cucina). “In questi mesi, ammetto di aver sperato nell'assoluzione piena e totale”. Va però detto che il letrozolo sia nella lista delle sostanze dopanti sin dal 2001, dal 2005 per le donne. Comunque ci sia finita, e a prescindere degli effetti, non doveva entrare nel suo organismo.

UN'OCCASIONE DA SFRUTTARE
Al di là del merito ci sono altri fattori, ben più emotivi, meritevoli di essere tenuti in considerazione. Ad esempio, gli attacchi volgari e gratuiti che sono piovuti sui social network nelle ultime 48 ore. Sara ne ha attribuito l'origine alla cattiva informazione (anche se va detto che i giornali fanno molta meno “opinione” di qualche anno fa, e certi fenomeni si autoalimentano da soli). Molto lucida e decisa nel sostenere le sue tesi, ha avuto cedimenti emotivi soltanto quando ha ricordato mamma Fulvia e quello che sta passando da anni, così come tutta la famiglia. Accanto a lei c'era il fratello Davide, con il quale – si percepisce a pelle – ha un rapporto molto speciale. In un paio di occasioni, i due si sono commossi insieme. C'era anche il padre Giorgio, cuore di papà che ha sempre sostenuto e difeso strenuamente la figlia. Chi legge Il Tennis Italiano ricorda una sua lettera di parecchi anni fa, in cui lamentava lo scarso interesse verso i risultati di una giovanissima Sara. I tanti successi gli hanno dato una sontuosa rivincita, ma anche lui ci è parso molto coinvolto, per non dire provato. “Non sono soltanto una giocatrice di tennis, ma anche un essere umano” ha detto un paio di volte Sara. Anche il giornalista è un essere umano ed è stato facile percepire una profonda sofferenza interiore, capace di toccare le corde emotive più sensibili. Quelle degli Errani erano lacrime sincere, capaci di generare empatia. La carriera della Errani non finisce qui: “Spero che questa storia mi dia una carica in più. Ho ancora tanta voglia di giocare, il tennis è la mia vita” ha detto. Al di là delle verità sostanziali e processuali, c'è l'istinto di sostenerla. Qualcosa che va oltre il sacrosanto diritto di tornare a giocare. E allora è giusto sperare che questa storia rappresenti un'occasione, che le restituisca rabbia e motivazioni un po' smarrite negli ultimi mesi. Il numero 98 WTA, così come il ranking che avrà al rientro, non c'entra niente con le sue capacità: diversi giocatori hanno scaricato nel modo migliore la rabbia per una sospensione per doping, tornando più forti di prima. Sara deve farcela, magari ripulendo la mente dalle scorie negative e tornando ai sogni di ragazzina, quando si recava al Foro Italico con il pullman del CT Massa Lombarda. E tornava a casa, felice, con l'autografo di Vince Spadea.