Provocata alla vigilia da Karolina Pliskova, Coco Vandeweghe infila la migliore prestazione in carriera e centra le semifinale allo Us Open, laddove non era mai andata oltre il secondo turno. Esulta come un wrestler, scatena il pubblico, è un personaggio “vero”, con tutti i suoi umanissimi vizi e virtù. O la ami o la odi.

Si porta la mano all'orecchio per ascoltare l'urlo della folla. Sempre più forte, sempre più vigoroso, sempre più “ignorante”. In uno sport complesso come il tennis, è difficile associare a qualche giocatore il concetto di “ignoranza”, ma se c'è qualcuno che lo incarna è proprio Colleen Vandeweghe, detta “Coco” (nomignolo spuntato negli anni di scuola, quando la chiamavano “Coco Pebbles” e “Coco Puffs”: all'inizio non le piaceva, adesso è il suo grido di battaglia), splendida semifinalista allo Us Open 2017. “Ignoranza” nel senso più positivo del termine, quella voglia di trasformare il campo da tennis in un ring da wrestling, prestarsi allo show, creare la rissa agonistica. Il tennis non è uno sport di contatto, ma quando gioca Coco si avverte il corpo a corpo, quel sapore così lontano dai gesti bianchi, dalla correttezza estrema che ci hanno insegnato i pionieri. Lei vede tutto come una sfida, con quella sbruffonaggine che ricorda le interviste ai wrestlers. Ma per loro è un mestiere, lei lo fa per davvero. Qualche anno fa, provò a tirare una pallata (volontaria) addosso a Donna Vekic. “L'avessi colpita, sarebbe finita per terra. In effetti mi manca quel tipo di confronto che c'è negli sport di contatto”. non avrebbe mai potuto accettare di perdere contro Karolina Pliskova dopo che era stata la ceca a creare la rissa verbale a mezzo stampa, nei giorni scorsi.

IGNORANZA MISTA A CERVELLO
In modo neanche troppo velato, aveva definito “ignorante” il tennis di Coco. “Similitudini del nostro gioco? Forse la velocità dei colpi – aveva dello la Pliskova – altrimenti non farei un paragone: lei tira, sbaglia di cinque metri e non se ne preoccupa. Non è certo il mio stile”. aveva incassato, non aveva risposto per le rime, limitandosi a dire che il suo tennis era più “complesso” di quanto pensasse la Pliskova, ma l'ha attesa sul campo. O magari sul ring, visto che se le sono date di santa ragione per un paio d'ore. Alla fine l'ha spuntata 7-6 6-3 la Vandeweghe, sotto gli occhi amorevoli di mamma Tauna, ex atleta olimpionica (nuoto nel 1976, pallavolo nel 1984). Una prestazione spettacolare, forse la più bella della sua carriera. Ha saputo assimilare nel modo giusto le provocazioni della Pliskova e le ha trasformate in energia positiva: tanta potenza, ma anche tanto cervello. Ha giocato con attenzione, ha sbagliato poco e ha meritato di vincere, anche quando si è fatta riacchiappare nel primo set (da 4-2 a 4-5, con la ceca a due punti dal set). Si è rifugiata nel tie-break, battagliando con la tensione, spinta dal pubblico che sogna di avere quattro americane in semifinale (per chiudere il cerchio, Madison Keys deve battere Kaia Kanepi: più che possibile). Dopo averlo vinto, ha preso a giocare sempre meglio e non si è disunita contro una Pliskova un po' acciaccata ma per nulla arrendevole. Avanti 3-1 nel secondo, ha concesso il controbreak ma è immediatamente scappata via di nuovo. E non ha avuto tremori, sul 5-3, quando ha servito per il match. Nell'ultimo game abbiamo visto una Vandeweghe eccezionale, non così distante da quel livello che lei – da tempi non sospetti – ritiene di avere. “Posso diventare la numero 1 del mondo” ha detto qualche anno fa, durante il torneo di Wimbledon.

NEW YORK DA INCUBO A PARADISO
Aveva fatto belle cose a Londra e a Melbourne (a Parigi no, ma la terra non sarà mai sua amica): a New York, tuttavia, “l'ignoranza” si era scontrata con mille paure, quella voglia di spaccare il mondo nella città dove è nata il 6 dicembre 1991. Si è trasferita presto in California e si definisce una “Californian Girl” a tutti gli effetti, ma NY resta casa sua. In otto partecipazioni, tuttavia, aveva raccolto quattro eliminazioni al primo turno e altrettante al secondo. Non c'era una ragione tecnica, se non qualcosa dentro la sua testolina. Quest'anno ha detto addio a Craig Kardon, suo coach da un paio d'anni, affidandosi alle cure di Pat Cash. Scelta coraggiosa, “ignorante”, vista la scarsa esperienza del “pirata” nelle vesti di allenatore. Eppure ha pagato. Coco si è scrollata di dosso le paure ha sta giocando un torneo fantastico, sublimato da una partita che profuma di libidine: ha ricacciato in gola alla Pliskova le sue dichiarazioni, e l'ha disarcionata dalla leadership mondiale. Adesso, il torneo dei suoi sogni è sempre più vicino. È lo stesso torneo dove nove anni fa si è presa il titolo junior, da wild card, senza perdere un set. Coco ha trovato la giusta alchimia tra il suo tennis, il suo team e – soprattutto – la gente di New York. In questi giorni le abbiamo visto mettere in scena delle esultanze degne di Hulk Hogan, leggenda del wrestling, forse il più carismatico di tutti i tempi. Coco non raggiungerà la sua popolarità, ma sta cercando in tutti i modi di prendere il cuore degli americani. “Era da tanto che volevo fare bene a New York, è un torneo extra-speciale per me. Da piccola non seguivo molto il tennis, ma lo Us Open era l'unico torneo che davvero conoscevo insieme a Wimbledon. Per me è il torneo più importante e lo resterà per sempre”. La Pliskova ha commesso un grave errore strategico nello stuzzicare l'american pride di Coco e ne è stata travolta. L'onda della Vandeweghe sta travolgendo tutto e tutti, nella Grande Mela. Potrebbe essere la volta buona, perché la sapienza di Pat Cash potrebbe aiutarla a non disunirsi nelle fasi finali, come troppo spesso le era accaduto in passato. E poi, nella sua mente, l'Arthur Ashe Stadium è diventato un Colosseo, un'arena dove ogni mezzo è lecito. Proprio come nel wrestling.

US OPEN 2017 – Quarti di Finale Donne
Coco Vandeweghe (USA) b. Karolina Pliskova (CZE) 7-6 6-3