Al tempo dei suoi primi successi, durante la primavera 2005, ci si domandava quanto sarebbe durata la carriera di Rafael Nadal. Con un tennis così fisico, così dispendioso, avrebbe tenuto duro o fatto la fine di molti suoi connazionali, autori di grandi exploit ma fatalmente KO in pochi anni? Da allora sono passati 12 anni e la risposta sta tutta nei numeri, sublimati da quanto si è visto nella seconda semifinale dello Us Open 2017. Nadal si è seduto sulla riva del fiume aspettando che passasse il cadavere agonistico di Juan Martin Del Potro. Ha dovuto aspettare 50 minuti, la durata di un fantastico primo set, intascato dall'argentino grazie a un fortunoso break al quinto game (nastro beffardo sulla palla break). In quel momento, mentre le ultime file dell'Arthur Ashe provavano a ricreare l'ambiente dei giorni scorsi, qualcuno ha pensato che Delpo potesse azzeccare la terza impresa di fila. A parte la dinamica del break, “Palito” aveva meritato. Spingeva a volontà con il dritto e teneva alla grande con il rovescio, dando ragione a Ryan Harrison, che via Twitter aveva emesso la sentenza: “Il rovescio di Del Potro? Non lo sbaglia mai e lo mette laddove non puoi fargli male”. Un giocatore sa cogliere i dettagli, ma il pubblico (in tribuna c'erano anche Bill Gates e Tiger Woods, quest'ultimo nel box di Nadal. C'è stata anche una bella ovazione per Stefan Edberg) si lascia conquistare dalle bordate di dritto.
CAMBIO TATTICA
A volte Del Potro sembra giocare più per il pubblico che per se stesso. Tira a occhi chiusi, con tutta la forza che ha in corpo, come a voler dimostrare di poter spaccare la palla. In avvio, anche un maestoso difensore come Nadal si è dovuto arrendere. Manco a dirlo, il primo set si è chiuso con un dritto vincente. Una sentenza. Ma era solo il primo grado: Nadal sapeva di avere a disposizione un Appello e, soprattutto, una Cassazione. La partita è radicalmente cambiata: lui ha cambiato tattica (“Ho smesso di cercare sistematicamente il rovescio di Juan Martin, e in questo modo mi si è aperto il campo alla sua sinistra. Quando poi lo costringevo ad arrivare in corsa sul rovescio, avevo tanto spazio a disposizione. Un conto è fargli tirare il rovescio, un conto è farglielo colpire in corsa”), mentre il fucile dell'argentino si è inceppato. Il dritto non viaggiava più a velocità supersoniche, rimbalzava un paio di metri più corto, e per Nadal era gioco facile. Facilissimo. Con un parziale di 20 punti a 5 volava 5-0 nel secondo, chiuso con il cappotto. Chi pensava che fosse solo un rifiatare di Del Potro, è rimasto deluso. Era un cedimento strutturale, la necessità fisiologica di abbassare il ritmo dopo le battaglie tecniche ed emotive dei giorni scorsi. Nadal estendeva a nove game consecutivi la striscia vincente prima che Palito conquistasse un altro game. Ha provato a coinvolgere il pubblico, a sciogliere con qualche sorriso la tensione, ma Nadal era troppo concentrato. Poteva chiudere 6-2, non ci riusciva, ma era chirurgico nel portare a casa il set al nono game. Sotto due set a uno, Del Potro si è trovato davanti a un bivio: rischiare ancora di più per rimetterla in piedi, oppure arrendersi con dignità. Più che sceglierla, è scivolato nella seconda via: 4-6 6-0 6-3 6-2 e arrivederci all'anno prossimo.
NIENTE E' IMPOSSIBILE
Nadal era incontenibile: nel Risiko della partita, aveva piazzato le sue bandierine in troppe zone del campo. Nel primo set aveva i piedi 2, 3, 4 metri dietro la riga. Nel quarto, ero lui a pestare la linea bianca mentre Del Potro muoveva i suoi 90 chili senza speranza. Finiva con un passante di rovescio e Rafa si accucciava, agitando il pugno come ai vecchi tempi: per lui sarà la 23esima finale Slam, la quarta a Flushing Meadows, dove vanta un bilancio di due vittorie (2010 e 2013) e una sconfitta 2011. Inutile dire che partirà nettamente favorito contro Kevin Anderson, sempre battuto nei quattro scontri diretti. Il sudafricano proverà a bloccare sul nascere i discorsi che fioccherebbero in caso di successo nadaliano: si parlerebbe di restaurazione, con tutti gli Slam incassati da Federer e Nadal, come era accaduto nel 2006, nel 2007 e nel 2010. Lo Us Open di Nadal è stato perfetto: qualche incertezza nei primi turni, poi ha messo il turbo nella seconda settimana, approfittando di uno spogliatoio che assomiglia a un'infermeria. A 31 anni, il fisico è meno esplosivo ma sempre brillante, tirato a lucido. Da quando ha messo piede nel professionismo, lo spagnolo ha giocato 1.044 partite (vincendone 861), con buona pace di chi pensava che il suo motore andasse in cortocircuito dopo pochi anni. Un fenomeno, uno dei più grandi di sempre, il secondo più titolato alle spalle di Roger Federer. Ma non gli basta: le sue scarpe rosso fuoco avevano la griffe “10” e “13”, simbolo dei suoi successi newyorkesi. C'è ancora tanto spazio, sul tallone, per scriverci ancora qualcosa. “Se l'anno scorso mi avessero detto che oggi sarei stato qui, avrei ringraziato ma avrei pensato che sarebbe stato quasi impossibile”. “Impossibile”, tuttavia, è un vocabolo che non gli hanno mai presentato.
US OPEN 2017 – Semifinale Uomini
Rafael Nadal (SPA) b. Juan Martin Del Potro (ARG) 4-6 6-0 6-3 6-2