Con l’aiuto dell’avvocato Fabio Azzolini, legale difensore di Camila Giorgi nei tre gradi di giudizio del processo sportivo, abbiamo provato a fare chiarezza sui passaggi discutibili della lunga diatriba fra l’atleta e la FIT. Appena ribaltata da una decisione del Collegio di Garanzia del Coni che lascia parecchie perplessità, aprendo a considerazioni che vanno oltre l’aspetto sportivo della questione.Condannata a 9 mesi di squalifica e a una sanzione di 30.000 euro da parte del Tribunale federale. Poi assolta dalla Corte di Appello federale. Quindi di nuovo condannata dal Collegio di Garanzia del CONI, che ha ripristinato la decisione del Tribunale FIT. Sono questi, in sintesi, i passaggi dell’iter processuale di Camila Giorgi con la giustizia sportiva, che si è appena arricchito di una decisione – firmata dall’ex Ministro degli Esteri, Franco Frattini – le cui motivazioni appaiono quantomeno discutibili, e potrebbero aprire fronti che vanno addirittura oltre l’attività sportiva. In attesa di scoprire se la Giorgi deciderà di ricorrere contro la sentenza (TAR e CAS le due “carte” che può ancora giocarsi), ci siamo fatti spiegare alcuni punti salienti della decisione del Collegio dall’avvocato Fabio Azzolini, legale difensore della Giorgi fino a circa un mese e mezzo fa, prima che decidesse di rimettere l’incarico. È stato lui a seguire l’intero procedimento sportivo per conto della giocatrice azzurra, optando per la riservatezza fino al termine dei procedimenti. A seguito della pubblicazione della sentenza del Collegio di Garanzia del CONI, il legale si è prestato a una chiacchierata ai nostri microfoni, rispondendo alle domande relative alle tante (e corpose) perplessità suscitate dalla decisione del Collegio.

In certi passaggi il linguaggio è molto tecnico, ma per garantire un’informazione il più completa e accurata possibile abbiamo preferito rispettare alla lettera le dichiarazioni dell’avv. Azzolini.

«Credo – spiega Azzolini – che il tempo che il Collegio si è preso per scrivere le due pagine di motivazione, che tolte le premesse di pagina 3 si riducono a 55 righe, sia il miglior indice della difficoltà che hanno avuto nel trovare una motivazione alla decisione assunta. Se un Giudice impiega 105 giorni (l’udienza si è svolta il 31 maggio, ndr) per scrivere 55 righe di motivazione (che fanno circa 24 ore ogni mezza riga), il livello tecnico e di attenzione che è lecito attendersi dovrebbe essere elevatissimo, in quanto frutto di uno stringente percorso logico nell’applicazione della regola generale al caso concreto. Nel caso di specie, a mio modesto avviso, il Collegio del Coni non ha neppure individuato correttamente il presupposto: e cioè la norma generale da applicare al caso specifico.

Il Collegio, per tentare di spiegare la propria decisione trascura, nell’ordine:
  • ​una federazione è giuridicamente una associazione di imprese (gli affiliati);
  • per statuto Coni “gli atleti sono inquadrati presso le società e le associazioni sportive riconosciute, tranne i casi particolari in cui sia consentito il tesseramento individuale alle federazioni sportive nazionali”: l’atleta è chiaramente il tesserato individuale;
  • lo statuto della Fit prescrive che “gli affiliati sono tenuti ad osservare e a far osservare ai propri iscritti, tesserati Fit, il Codice della Giustizia sportiva, lo statuto ed i regolamenti FIT […], nonché le decisioni adottate nel rispetto delle singole sfere di competenza […]: e tale competenza deve sussistere anche per gli organi di giustizia;
  • il regolamento organico della Fit prevede le tessere atleta (agonista e non) quale documento di “abilitazione alle gare”, ma solo quelle nazionali (organizzate direttamente dalla Fit o tramite gli affiliati che ne chiedono il riconoscimento alla Fit stessa).
Lo statuto e i regolamenti federali hanno rilevanza limitatamente all’attività sportiva nazionale: e non certo a quella internazionale, che è viceversa disciplinata da regolamenti propri (ATP, WTA, ITF). Tesserare significa munire qualcuno di tessera all’atto dell’iscrizione ad una associazione o ad un Ente: all’iscrizione conseguono una serie di diritti e di doveri, ma nell’ambito dell’associazione e non oltre.

Volendo esemplificare per i lettori: è come se un vigile urbano avesse sanzionato un ciclista perché percorre una strada in bicicletta, nella convinzione che per circolare in bici serva la patente. L’attività è la circolazione (nel caso della Giorgi il tennis), ma la patente quale titolo abilitativo (la tessera) alla circolazione non serve in relazione alla circolazione in bicicletta (l’attività sportiva internazionale), ma solo per quella con la moto (l’attività sportiva nazionale). Se è sbagliato il presupposto (la necessità di un titolo abilitativo per guidare una bicicletta), è necessariamente ingiusta la sanzione. Il Collegio di garanzia si dice convinto che per giocare a tennis serva essere in rapporto giuridico sportivo (tesseramento) con la Fit, e si richiama – a sproposito – al regolamento organico federale: ma evidentemente non è così. Basta chiedere a un qualsiasi ufficiale di gara internazionale, sia un referee dell’ITF o un supervisor ATP o WTA, per sentirsi rispondere che per ammettere un professionista alla gara nessuno di loro è tenuto a richiedere l’esibizione di una tessera federale. Mai.

Il Collegio di Garanzia del Coni sembra ipotizzare che tutti i giudici arbitri che hanno fatto giocare la Giorgi in Fed Cup, negli Slam e nei tornei internazionali – o prima o dopo – abbiano omesso di verificarle la tessera. Se poi tale documento fosse necessario per l’attività internazionale, non si capisce come faccia Camila Giorgi a giocare in pendenza di squalifica. L’art. 24 del regolamento di giustizia prevede che la squalifica consista “nella sospensione dall’attività agonistica individuale ed a squadre”, e comporti “il divieto di iscriversi ai tornei individuali per tutta la durata della sanzione”. Non mi pare che ci siano riferimenti all’attività nazionale, ma è oggettivamente così: Camila dal 31 maggio non ha smesso di giocare pur in pendenza di squalifica. Ed avrebbe potuto giocare anche a Roma a maggio».

Il passaggio riguardante il discorso tessera si trova a pag. 5 della motivazione. Si legge che “assume la difesa della Giorgi che quest’ultima pacificamente era priva della tessera rilasciata dalla FIT o da un affiliato. Se così fosse […], l’atleta non solo non avrebbe potuto essere convocata in Nazionale, ma non avrebbe potuto partecipare ad alcun evento sportivo, in quanto priva del documento rappresentativo indispensabile per la partecipazione alle competizioni, a norma dell’art. 81 R.O. Deve allora presumersi che la partecipazione della Giorgi a numerosi eventi sportivi sia dovuta al possesso del documento rappresentativo, necessario titolo di legittimazione alla partecipazione alla competizione […]”.

Sostanzialmente, anche se si parla di “presumersi”, la sentenza fa passare il messaggio che per disputare tornei di carattere internazionale sia necessario possedere la tessera della Federazione del paese d’appartenenza. Possibile che una sentenza simile viaggi nel campo delle ipotesi? «Il Collegio di Garanzia – dice l’Avv. Azzolini – ha deciso senza acquisire i fascicoli dei due gradi di giustizia federale, malgrado la mia richiesta in udienza in tal senso, e non ha tenuto conto del documento estratto del management FIT che era agli atti del giudizio federale, dal quale la Giorgi non risultava tesserata. E ciò malgrado io lo abbia comunque prodotto, nella veste informatica, immodificabile, fornitomi dalla segreteria del Tribunale federale FIT. Quello prodotto in formato cartaceo dalla FIT, solo davanti al Collegio di garanzia, riportava invece una tessera descritta come “socio non praticante” (sottolineo: quindi incompatibile con l’attività sportiva professionistica, che è agonistica per definizione), emessa il 4 aprile 2016, quindi 4 giorni dopo che l’atleta era stata allontanata da Tirrenia in data 31 marzo, a seguito di un colloquio con Sergio Palmieri. Basta leggere gli articoli 75, 77 e 78 del Regolamento Organico della Fit, e ognuno può trarre le dovute conclusioni. Per non vedere una cosa basta non guardarla, ma poi si corre il rischio di immaginarla male e sbagliare».Riflettendo, sempre secondo la motivazione del Collegio di garanzia Coni, per partecipare alla Fed Cup la Giorgi avrebbe dovuto essere tesserata. Ma se anche così fosse, evidentemente solo con tessera agonistica. Non occorre una laurea in diritto per capire che la cosa non quadra sotto il profilo logico: perché non verificare il profilo del tesseramento, e invece “presumere”? Tuttavia, è la premessa a non essere corretta: per giocare a livello WTA non serve alcuna tessera FIT, e la Fed Cup non è da considerarsi attività federale, bensì ITF. «Il Collegio di Garanzia del CONI – dice l’avvocato – attribuisce una efficacia “eccessiva” alle norme del Regolamento Organico, e la sentenza è pertanto evidentemente erronea. L’abilitazione alle gare nazionali è una cosa ben diversa rispetto alla possibilità di giocare o meno a livello internazionale. Il Collegio evidentemente ignora l’esistenza di un regolamento WTA».

I passaggi del WTA rulebook che riguardano la questione sono gli articoli 1 e 2 del titolo terzo, alla sezione “entries and acceptance”. Eccoli:

1. WTA Responsibility
The WTA is responsible for processing all player applications for any Tournament, including Grand Slam events and notifying Tournaments of their player field in a timely fashion. (Grand Slam events may also require players to sign their individual tournament entry forms prior to playing their first match.)

2. Open Competition/No Discrimination
Entry into Tournaments shall be open to all women tennis players based on merit and without discrimination, subject only to the conditions herein and to the Age Eligibility Rule and Gender Participation Policy.

Sintetizzando, il primo dice che spetta alla WTA, e solo alla WTA, il compito di processare le iscrizioni per ogni torneo, eventi del Grande Slam compresi. Il secondo, invece, dice che l’iscrizione ai tornei è aperta a tutte le donne senza discriminazione alcuna, e assoggettata esclusivamente alle condizioni previste nel Rulebook, alla norma relativa all’età (sotto i 14 anni non si può accedere al Tour, ndr) e a quelle che regolano la partecipazione di eventuali atleti transessuali. Non è presente alcuna menzione relativa a tessere nazionali o rapporti con le Federazioni. Per poter partecipare ai tornei sotto l’egida dell’International Tennis Federation è necessario solamente essere iscritti al sistema IPIN, che prevede il pagamento di una sorta di tassa annuale di 40 dollari, e presentare un documento in corso di validità. Per ATP e WTA, addirittura, non è nemmeno necessario registrarsi preventivamente. Se una persona che non ha mai impugnato una racchetta in vita sua e non ha alcun rapporto con alcuna federazione nazionale, si presentasse senza ranking per giocare un torneo professionistico ITF in cui ci siano dei posti liberi in tabellone, questa potrebbe essere regolarmente ammessa alla competizione, semplicemente avendo l’iscrizione IPIN valida e pagando l’entry fee. Si tratta dei cosiddetti “alternates in loco” (“OSA”, disciplinati dal regolamento professionistico ITF al IV punto lettera E). Il punto non è mai stato in discussione, tanto che anche la sanzione comminata dal Tribunale Federale e appena ripristinata dal Collegio di Garanzia CONI non ha alcun effetto sull’attività internazionale della Giorgi.

«Hanno squalificato Camila Giorgi: ma da che cosa? Da una attività che non svolgeva e non svolge? Mi pare una sanzione inibitiva priva di oggetto. Mi sarebbe piaciuto che sia il Tribunale Federale sia il Collegio di Garanzia avessero specificato da quando decorre la squalifica, tenuto conto che la Giorgi non ha pacificamente la tessera agonistica dal 2011 quindi da allora non poteva e non può svolgere l’attività da cui è squalificata. Effettivamente, nel diritto sportivo la sanzione inibitiva è normalmente legata allo svolgimento della specifica prestazione sportiva: e come detto Camila Giorgi sta continuando a svolgere la medesima attività che svolgeva prima». Ma allora, se così è, Tathiana Garbin avrebbe potuto convocare la Giorgi per la Fed Cup in pendenza di squalifica, visto che non è sospesa dall’attività internazionale? E se la Giorgi fosse stata convocata e si fosse presentata dal referee dell’ITF, questo sarebbe stato obbligato a tenere conto della squalifica, o avrebbe dovuto farla giocare? Parrebbe di dovere concludere con la seconda opzione: a riprova che la sentenza del Coni non convince affatto.

Leggendo la sentenza, si deduce che è sufficiente che ci sia una qualsiasi relazione fra una persona e la FIT, per stabilire un rapporto giuridico-sportivo, e il conseguente assoggettamento alle norme federali. «Seguendo il ragionamento del Collegio di Garanzia per come sviluppato, tutti coloro che disputano ad esempio l’attività internazionale che costituisce il fiore all’occhiello della FIT (gli internazionali d’Italia) instaurano un rapporto giuridico sportivo con la FIT e diventano di fatto tesserati. Se passa infatti il concetto che lo svolgere qualunque attività sportiva comporta necessariamente la preventiva instaurazione del vincolo giuridico-sportivo, presumendosi il possesso della tessera, tutti devono essere per forza tesserati, e quindi versare la tassa di tesseramento e depositare un certificato medico in corso di validità presso un affiliato». Già, ma quale?
Nel Libro Terzo del Regolamento Organico FIT, Capo 1 “tesseramento e tessere”, Articolo 81, si legge che:
1. “Per partecipare all'attività sportiva l'interessato deve possedere ed esibire all'Ufficiale di gara preposto la tessera atleta o la tessera atleta non agonista del settore a cui appartiene la manifestazione”.
… ma aggiunge che:
2. “Chi non è in grado di esibire la tessera atleta, pur essendone in possesso:
a) non può essere ammesso a partecipare a gare valevoli per i Campionati nazionali individuali;
b) può essere ammesso a partecipare ad un singolo torneo previa dichiarazione scritta di possesso della tessera e versamento della tassa a fondo perduto […].

«Ragionando per assurdo – dice Azzolini – nel seguire il ragionamento del Collegio di Garanzia del CONI emerge che se, pur non avendo la tessera, io dichiaro sub iudice di averla e (illegittimamente per difetto dei presupposti) mi viene consentito di disputare un torneo, per questo sono titolare del rapporto giuridico-sportivo con la FIT? Ci si accorge che così facendo non esiste più un limite. Da domani, un qualsiasi giocatore di un qualsiasi sport risulta tesserato per una società sportiva perché all’arbitro o all’organo di controllo regolamentare è sfuggito che è stato schierato, pur in assenza di tesseramento?».

Il Collegio di Garanzia del CONI sembra effettivamente avere scritto una sentenza dimenticandosi delle tante implicazioni di carattere complessivo che la decisione comporta. «Sotto il profilo giuridico – dice l’avvocato Azzolini – si tratta di una decisione dalle conseguenze imponderabili. Il fatto che il Collegio di Garanzia del CONI, che nella giustizia sportiva dovrebbe essere il massimo organo di interpretazione giuridica, scriva una sentenza del genere, fa riflettere». Come già accennato, lo stesso Azzolini aveva chiesto espressamente che da parte del Collegio di Garanzia del CONI venissero acquisiti i fascicoli integrali relativi ai due gradi di giudizio Federale, mentre il Collegio ha deciso di confermare la sentenza di primo grado, senza avere preventivamente acquisito e consultato i documenti dei procedimenti precedenti. Come mai non esaminare le carte precedenti, e poi esprimersi sulla “presunzione” del fatto che la Giorgi avesse la tessera FIT?

«Il Collegio di Garanzia del Coni, in base al Codice, dovrebbe limitarsi ad una valutazione circa la corretta applicazione delle norme di diritto, nell’ambito del processo sportivo federale. Non mi pare che nel caso di specie ciò sia avvenuto, ed anzi mi pare che si sia giunti ad una conclusione sbagliata partendo da una premessa sbagliata, a seguito di un ragionamento teorico basato su di una presunzione. In recenti casi, diversamente da quanto avvenuto per Camila Giorgi, il Collegio di Garanzia ha addirittura adottato “provvedimenti istruttori”, ed acquisito documenti al giudizio di legittimità. Mi pare che ci sia scarsa coerenza, e una applicazione delle regole ondivaga. O è un giudizio di legittimità, o è un terzo grado di giudizio di merito. Mi pare che nel caso specifico non si siano voluti far carico di approfondire il problema del tesseramento, in quanto per lo sport potrebbe rivestire conseguenze importanti. La mia sensazione è che si sia prima presa una decisione, e poi cercata la motivazione alla decisione presa. Mi limito a questa considerazione: in presenza di un espresso dubbio circa una situazione legata al merito della vicenda (l’esistenza del rapporto di tesseramento), a mio avviso il Collegio non avrebbe potuto definire il giudizio, ma avrebbe dovuto comunque rimandare gli atti alla Corte di Appello federale per gli accertamenti di merito. Il Collegio ha invece ritenuto che la questione andasse impostata diversamente da quanto fatto dalle parti: è ben singolare. Con la teoria della “dualità” rapporto giuridico–tessera, si è evitato un approfondimento della tematica, che per la Fit avrebbe avuto qualche imbarazzo».

La questione, però, ha aperto un precedente pericoloso. «Se si ignorano le regole che disciplinano l’attività internazionale, e ci si arroga il diritto di assoggettare una atleta a delle regole alle quali non dovrebbe essere soggetta penalizzandola anche economicamente, si toccano i diritti soggettivi di una persona in maniera pesantissima e con modalità che finiranno sicuramente per meritare una riflessione in sede di giustizia ordinaria. La Giustizia sportiva costituisce strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive, irrilevanti per lo Stato ma non oltre: la libertà di erogare o meno una prestazione professionale, quale è quella di un atleta di qualunque livello, si pone sul piano della libertà individuale e del diritto soggettivo. Un onore quale quello di giocare in nazionale, non può a mio avviso essere trasformato in un obbligo: a meno che non vi sia un chiaro ed identificato rapporto contrattuale (sia esso il tesseramento, sia esso un contratto oneroso). Confesso di non avere ancora compreso la differenza tra rapporto di tesseramento e tessera, nel senso inteso dal Collegio: il problema giuridico è se l’atleta ha espresso la volontà di tesserarsi o meno. Ma porsi il problema in questi termini, equivaleva a dare una soluzione opposta al problema, visto che Camila Giorgi non ha nessun bisogno di tesserarsi per svolgere la propria attività. Mi pare che si sia stabilito il principio per cui un atleta professionista, per il solo fatto di svolgere la propria attività professionale oltre i confini nazionali, abbia in essere un rapporto giuridico vincolante coattivo con la federazione sportiva nazionale. Dal punto di vista tecnico, mi pare una evidente forzatura, da quello sportivo ancora di più solo considerando che lo statuto Coni vieta il tesseramento individuale, e nessuno può imporre ad una persona l’adesione coattiva ad una associazione sportiva. Uno sportivo professionista è a tutti gli effetti un libero professionista, e quindi ha diritto a tutte le tutele del caso: compresa quella di scegliere di non erogare una prestazione. La sentenza in esame a mio avviso rischia di diventare l’emblema di una schiavitù 2.0, dove un atleta è obbligato ad una prestazione anche contro la propria volontà, in assenza di un chiaro vincolo giuridico, contrattuale o di adesione».

Se prima della chiacchierata con l’avvocato Azzolini i dubbi erano tanti, ora sono addirittura di più. E non solo: durante l’intervista sono emersi tanti altri spunti interessanti sulla questione, secondari nella valutazione del caso Giorgi ma meritevoli di approfondimento. In particolare, ci sono parsi interessanti alcuni aspetti relativi alle modalità di convocazione delle giocatrici esposte nel corso del processo da Corrado Barazzuti, oltre al fatto che la stessa Giorgi abbia ricevuto – pur senza essere tesserata – dei contributi costituiti anche dalle tasse versate da affiliati e tesserati. In più, ha avuto a lungo anche la possibilità di allenarsi al Centro Tecnico Federale di Tirrenia, con un coach (il padre) sprovvisto di qualsiasi riconoscimento, quando le normative della stessa FIT impongono che per allenare atleti con classifica ATP o WTA serva addirittura la qualifica di Tecnico Nazionale. In funzione della convenienza può diventare tutto bypassabile? Non perderemo l’occasione di tornare sull’argomento.

L'ITER PROCESSUALE DEL CASO GIORGI
Primo grado: DECISIONE COMMENTO
Appello: DECISIONE COMMENTO
Collegio di garanzia: DECISIONECOMMENTO