È finita con un abbraccio tra Roger Federer e Rafael Nadal, come sperato – e bramato – dal copione. Pochi secondi prima, lo svizzero aveva superato Nick Kyrgios e messo in scena un'esultanza che neanche quando aveva vinto Wimbledon. Questa e altre istantanee resteranno le immagini-simbolo della prima edizione della Laver Cup. Un trionfo mediatico e organizzativo, sublimato da una copertura TV in oltre 200 paesi, a mostrare una 02 Arena di Praga stracolma di pubblico. Tutto bello, ma bisogna avere il coraggio di dire che il tennis è un'altra cosa. E bisogna avere il coraggio di chiamare questo evento – con le sue norme divertenti ma un po' strambe – con il suo vero nome: una grande, luccicante, stratosferica esibizione. Hai voglia a mettere Rod Laver in tribuna e dedicargli il titolo, oppure inventarti Bjorn Borg e John McEnroe nelle vesti di “capitani” (ma li avete visti?), ma c'è un principio da cui non si può prescindere: quando al tennis togli l'incertezza e la curiosità del risultato, beh, non è più tennis. I più fervidi ammiratori di questa competizione (e ce ne sono tanti) hanno gioco facile nel ribattere: possono raccontare che i giocatori si siano impegnati al massimo. E tale impegno sarebbe simboleggiato dalle lacrime di Nick Kyrgios dopo la sconfitta, al fotofinish, contro Roger Federer. Avesse sfruttato il matchpoint avuto nel super tie-break, la sfida si sarebbe trascinata al doppio di spareggio.
NESSUNO GIOCA PER PERDERE
Controribattere è fin troppo facile: Kyrgios ha pianto perché è Kyrgios, personaggio tutto particolare, che aveva trovato in questo match una possibilità di riscatto, o magari di ricostruzione di autostima dopo Us Open e Coppa Davis. Ha una psiche curiosa, indecifrabile. Le sue lacrime non possono né devono essere considerate un paradigma per il sapore agonistico di questa competizione. E non depone certo a suo favore piangere per la Laver Cup e magari “mollare” decine di match nel circuito ATP, laddove il risultato conta per davvero. Quanto all'ìmpegno degli altri, ok. Non esiste tennista (serio) che scenda in campo per perdere. Ed è probabile che il clima glamour abbia coinvolto un po' tutti. Ma pensate che i vincitori si esaltino per aver vinto? O che gli sconfitti (Kyrgios compreso) si disperino per il mancato successo? La Laver Cup non aggiunge nulla alla carriera di un tennista, salvo un sostanzioso bonifico sul conto corrente. I giocatori piangerebbero soltanto se al prossimo estratto conto non trovassero la cifra pattuita. E non c'è dubbio che si tratti di cifre molto, molto importanti. Chi conosce certe realtà, sa che un'esibizione con Federer e Nadal costa cifre mostruose, alla portata di pochissimi. Per mettere insieme questa montagna di soldi, è stato necessario coinvolgere tre entità di un certo livello più un magnate.
ENORME POTERE ECONOMICO
Non tutti sanno che dietro la Laver Cup c'è “Team8”, l'agenzia di management creata dallo stesso Roger Federer insieme al suo agente Tony Godsick e che vanta “clienti” come Grigor Dimitrov e Juan Martin Del Potro. È dunque ovvio che lo stesso Federer avesse un certo interesse alla piena riuscita della manifestazione. Non a caso, ha partecipato a tutte le manifestazioni promozionali. Non c'è niente di male, ci mancherebbe. Così come non c'è niente di male nel coinvolgimento di USTA e di Tennis Australia, due delle federazioni più ricche al mondo. A chiudere il cerchio degli organizzatori, l'ex tennista Jorge Paulo Lemann, 78 anni, un brasiliano (naturalizzato svizzero) che Forbes ha indicato tra le persone più ricche del pianeta. Il suo patrimonio è stimato in quasi 28 miliardi (avete letto bene: miliardi!) di dollari. Se da tennista non è stato un granché (ha partecipato a Wimbledon nel 1962), da imprenditore non ne ha sbagliata una. In passato è stato anche dirigente di Gillette e Credit Suisse, sponsor di Federer. Insomma: la Laver Cup si fonda sul coinvolgimento di figure importanti nel mondo del tennis e su un enorme potere economico. Se un giorno, magari dopo il ritiro di Federer, dovessero chiudersi certi rubinetti, il futuro della competizione (la cui prossima edizione si terrà alla United Arena di Chicago dal 21 al 23 settembre 2018) potrebbe non essere così solido. La storia del tennis è piena di eventi che si presentano in pompa magna ma poi faticano ad andare avanti. L'ultimo esempio è molto recente: l'IPTL (International Premier Tennis League) si era presentata come una competizione rivoluzionaria e ricchissima, peraltro con progetti ancora più ambizioni (maggiore durata, più giocatori, diverse sedi, coinvolgimenti delle tenniste e di vecchie glorie). Dopo il boom iniziale, si è progressivamente spenta fino alla probabile chiusura: il sito internet dell'evento è stato messo offline mentre la pagina Facebook è stata aggiornata l'ultima volta il 15 luglio, e non per parlare della quarta edizione.
SCENE TRASH
Intendiamoci: ben vengano eventi come la Laver Cup se servono ad aumentare il giro d'affari attorno al nostro sport, ma non confondiamole con il tennis “vero”, come invece è stato fatto da più parti, forse perché c'erano due dei tennisti più amati di sempre. Non si può considerare valida una competizione in cui non si gioca il terzo set, con un sistema di punteggio pensato a uso e consumo di pubblico e TV: la diversa distribuzione dei punti (1 al venerdì, 2 al sabato e 3 alla domenica) è servita soltanto per tenere il risultato in bilico fino alla terza giornata, altrimenti la sfida sarebbe già stata segnata dopo un giorno e mezzo. E poi, l'atteggiamento dei giocatori in panchina: sembravano degli invasati, degli ultras edulcorati, al massimo dei ragazzini al paese dei balocchi. Era addirittura concesso che i giocatori si avvicinassero alla panchina per incitare o consigliare il giocatore in campo. Un non-sense totale, sfociato in atteggiamenti trash (flessioni, simulazioni di basket e wrestling) che il pubblico ha scambiato per attaccamento alla competizione. Senza dimenticare un aspetto cruciale: la gestione dei punti importanti è molto, molto diversa tra un torneo vero e un'esibizione. L'unica novità davvero interessante – a nostro parere – è stata la scelta cromatica del campo. Il nero è molto affascinante e garantisce un contrasto cromatico ideale con il giallo della pallina. Splendide anche le riprese, effettuate da un'equipe di Tennis Australia che già produce altri eventi, tra cui l'Australian Open. Molto suggestiva la telecamera in mezzo alla rete, così come la curiosa forma del seggiolone dell'arbitro, che ricordava la conformazione della stessa Laver Cup. Bello, divertente e curioso. Siamo convinti che il pubblico abbia lasciato la 02 Arena di Praga con il sorriso sulle labbra. Ma il tennis, perdonateci, è un'altra cosa.