Il 35enne francese chiude la sua carriera perdendo nelle qualificazioni di Parigi Bercy, sullo stesso campo dove nel 2002 aveva raccolto la sconfitta più dolorosa, una Davis persa all'ultimo respiro, che ancora oggi ne segna l'immagine. Ma è stato un ottimo giocatore, vincitore di 4 titoli e n.12 ATP. Per questo, potevano concedergli una wild card…

Siamo sempre lì. Fosse nato al di qua delle Alpi, Paul Henri Mathieu sarebbe stato il migliore degli ultimi 35 anni o giù di lì, con il solo Fabio Fognini a contendergli il primato. Invece è nato in Francia e, pur essendo stato un ottimo giocatore, è stato uno dei tanti galletti del pollaio transalpino. Anzi, la memoria storica sarà crudele con lui: molti lo ricorderanno per una sconfitta, una maledetta sconfitta. E forse non è un caso che abbia giocato il suo ultimo match sul campo dove si è consumata una tragedia sportiva. Anno 2002, finale di Coppa Davis. Francia e Russia sono sul 2-2: le circostanze obbligano i due capitani, Guy Forget e Shamil Tarpischev, a mettere nelle mani di due ventenni il destino dell'Insalatiera. Sulla terra rossa appositamente preparata a Parigi Bercy, scendono in campo PHM e Mikhail Youzhny. Il francese vince i primi due set, sembra in controllo, i francesi sono pronti a festeggiare. In tribuna d'onore, Boris Eltsin si dispera. Finisce che Youzhny esce dal campo, fa una misteriosa chiacchierata con suo fratello, rimette in piedi la partita e la vince in cinque set, regalando alla Russia la prima Davis della sua storia. Lutto sportivo per la Francia, dramma personale per Mathieu. Finisce in lacrime e, secondo molti osservatori poco attenti, la sua carriera “è finita lì”. I fatti raccontano che ha alzato bandiera bianca soltanto quindici anni dopo, nelle qualificazioni del Rolex Paris Masters, perdendo da Vasek Pospisil. La federtennis francese avrebbe potuto essere un po' più generosa e concedergli un invito. Ma quel ranking al n.265, forse, li aveva spaventati.

UNA BELLA CARRIERA
E così “Paulo” saluta in una domenica un po' anonima, senza troppa gente ad applaudirlo. Come se nessuno dovesse ricordare le cose belle che ha fatto: quattro titoli ATP, un best ranking al numero 12, sei ottavi Slam e una semifinale Masters 1000 (Montreal 2005). Professionista dal 1999, sapeva che la sua carriera era ormai agli sgoccioli. “A inizio anno sapevo che sarebbe stata l'ultima stagione, perché ho 35 anni e ho vissuto tanti infortuni. Inoltre ho una famiglia. Quando hai un figlio riesci a gestire la carriera, magari lo fai venire qualche volta. Ma quando inizi ad averne due, diventa troppo complicato. In fondo, 10-15 anni fa non avrei mai pensato che avrei giocato così a lungo. Penso che sia giunto il momento, un anno in più o in meno non avrebbe cambiato niente, mentre io voglio passare più tempo possibile con la famiglia”. Di quel 2002 si ricorda la sconfitta con Youzhny, ma fu anche l'anno in cui si rivelò al mondo. Vincendo i tornei di Lione e Mosca, di fatto, si conquistò la convocazione per la finale di Davis. A Mosca battè Safin, a Lione superò Kuerten. Insomma, erà “on fire”. “Sono state due settimane folli, ero giovane, le ho vissute al massimo” ricorda, quasi sospirando. Sempre quell'anno, giunse negli ottavi a Parigi e vinse i primi due set contro Andre Agassi, prima di cedere alla distanza. Cinque anni dopo, avrebbe vinto gli ultimi due titoli, stavolta sulla terra battuta, a Casablanca e Gstaad (quest'ultima fu la prima finale ATP per Andreas Seppi). L'anno dopo avrebbe raggiunto il numero 12 ATP.

QUELLA WILD CARD NEGATA
“Sapete una cosa? È molto difficile rendersi conto quando sei all'apice della carriera. Punti sempre a qualcosa di più: quando sei numero 12, vuoi il 10. Quando sei 10, vuoi il 5”. Come tanti, pure lui ha avuto i suoi problemi fisici: tra il 2010 e il 2012 è stato fermo ben 14 mesi per un grave problema al ginocchio sinistro, sfociato in un'operazione. È tornato, ha vinto qualche buona partita, ma non è più stato quello di prima. Non lo perderemo di vista, perché continuerà a lavorare nel mondo del tennis. Per adesso, tuttavia, soltanto famiglia. Si dedicherà anima e corpo alla moglie Quiterie e ai figli Gabriel (5 anni) e Ines (7 mesi). “Dal Roland Garros in poi, il 2017 è stata una lenta agonia. A poco a poco, mi sono reso conto che era finita”. Saluta un bel giocatore e una buona persona, incapace di polemizzare anche quando una wild card era quasi dovuta. In fondo era il suo ultimo torneo, e non crediamo che uno tra Mahut, Herbert e Benneteau avrebbe volentieri lasciato il suo invito a PHM. I “capoccia” hanno voluto così, e allora ci piace ricordarlo con un piccolo record che pochi ricordano, offuscati dalle lacrime del 2002: Mathieu è stato l'ultimo giocatore a battere sia Pete Sampras (Long Island 2002) che Gustavo Kuerten (Roland Garros 2008). Piccole soddisfazioni che si aggiungono a oltre 6 milioni di bonifici. Sì, Mathieu può ritirarsi tranquillo, anche ripensando alle scene che rivedete qui sotto…