Per anni ha giocato solo sulla terra, ma senza sfuggire a sei operazioni alle ginocchia. La scorsa estate, il miracolo: Jason Kubler può di nuovo frequentare il cemento. Da allora ha vinto 23 partite su 28, con due titoli Challenger, convincendo l'Australian Open a concedergli una wild card. Come otto anni fa, quando lo paragonavano a Nadal.

A un certo punto, è arrivata la telefonata di Lleyton Hewitt. Non aveva il suo numero in memoria, ma Jason Kubler ha risposto ugualmente. “Ehi Jason, complimenti: ti abbiamo riservato una wild card per l'Australian Open”. Stava per giocare la semifinale del Challenger di Playford, non distante da Adelaide, ma era pur sempre assente da uno Slam da otto anni. Kubler aveva giocato l'Australian Open nel 2010, quando non aveva neanche 17 anni ed era considerato un grande prospetto, forse la risposta australiana a Rafael Nadal. Certi paragoni sono solamente dannosi, ma proprio come Rafa era rimasto imbattuto sia in Youth Cup che in Davis Cup Junior. Non sarebbe diventato come Nadal, ma magari oggi avrebbe un best ranking migliore rispetto al numero 136 ATP conquistato nel 2014. E il suo palmares sarebbe ben più ricco. Al netto dei Futures, la bacheca di Kubler comprende tre tornei Challenger: Sibiu nel 2014, cui si sono aggiunti Traralgon e Playford, intascati in poco più di due mesi, nella sua Australia, ma soprattutto sul Plexicushion. Un vero e proprio miracolo per un ragazzo nato con una malformazione alle ginocchia: menischi deboli, muscoli fragili, costante rischio di rottura. Era ancora minorenne quando ha capito che la carriera sarebbe stata tribolata. Avrebbe anche potuto non esserci. Per restare attaccato al tennis, ha scelto di giocare quasi esclusivamente sulla terra battuta, unica superficie dove le ginocchia non soffrivano. Dai e dai, ha messo insieme ottimi risultati nei tornei minori. La tentazione di giocare le qualificazioni negli Slam è stata troppo grande. Nel 2015 è andato allo Us Open, ma dopo quel match si è bloccato per altri cinque mesi. Il 2016 è stato un incubo, fino a raggiungere la cifra (quasi) record di sei interventi chirurgici. Cinque al ginocchio sinistro, uno al destro.

“SE MI FACCIO MALE, SMETTO”. INVECE…
Mostrando una notevole forza di volontà, è tornato nel tour lo scorso marzo, senza classifica ATP. Oggi è n.242 e gli ultimi risultati hanno convinto l'Australian Open ad abbracciarlo ancora una volta. Con 50.000 dollari garantiti, potrà programmarsi con tranquillità. Allontanerà i fantasmi delle tante notti in Europa, in cui navigava a vista a causa di un portafoglio non sempre gonfio a sufficienza. Il miracolo è avvenuto in estate, quando ha lasciato l'Europa e si è allenato intensamente a casa. “E sono rimasto sorpreso da come abbiano tenuto bene le ginocchia – racconta – ero preoccupato di potermi fare male di nuovo, ma piano piano mi sono tolto i cattivi pensieri. Mi sono allenato sul duro per tre mesi e non si sono quasi mai gonfiati, mentre i dolori sono arrivati in altre parti del corpo. Ma ho sempre pensato che avrei potuto fare buone cose su un campo in cemento”. Prima di tornare in gara a settembre, aveva le idee chiare: se si fosse fatto male, avrebbe smesso di giocare. “Ma se non arriveranno infortuni, continuerò a giocare”: è finita che ha giocato 19 partite, vincendone 15. Non contento, a Playford ne ha vinte altre otto di fila, partendo dalle qualificazioni. Adesso la classifica pompa ossigeno, al numero 242 ATP. Un'emoticon moderatamente soddisfatta, in attesa di diventare sorridente. “Sto vivendo una situazione irreale: tra la vittoria a Playford e la wild card per Melbourne, non potrei chiedere di più”. Nei quarti ha battuto il connazionale Alex Bolt (pure lui wild card a Melbourne), poi il bombardiere Reilly Opelka, infine il canadese Brayden Schnur. “La finale è stata soprattutto una questione mentale, eravamo molto tesi. Ma mi ha colpito il modo in cui sono riuscito a gestire le mie emozioni”. Ne avrà bisogno anche all'Australian Open, in modo da potersi godersi appieno l'esperienza. Otto anni fa, non era stato possibile. “Affrontai Ivan Ljubicic e andò tutto molto di fretta. Stavolta spero di fare meglio, adesso mi sento pronto sul piano mentale”. Sei interventi chirurgici segnano uno spartiacque: o non ti alzi, oppure torni molto più forte. Jason Kubler ha scelto la seconda via.