Le norme antidoping prevedono una squalifica fino a 2 anni se un tennista non è reperibile per tre controlli a sorpresa nell'arco di 12 mesi. È successo ad Alize Cornet, che però sostiene di aver avuto “valide ragioni”. L'ITF è di parere opposto: a marzo si terrà l'udienza. Non c'è molta giurisprudenza: i casi di Malisse e Wickmayer.

Non deve essere stato un Australian Open facile per Alize Cornet. Lo scorso 11 gennaio, a pochi giorni dal via, le hanno notificato l'avvio di una procedura nei suoi confronti per aver violato le norme antidoping. È bene chiarirlo: Alize non è risultata positiva a nessun controllo, però non si è resa disponibile per tre controlli a sorpresa nel 2017. Le norme WADA sono chiare: l'irreperibilità diventa automaticamente una violazione se avviene tre volte in un anno. È ben nota la norma secondo cui gli atleti di alto livello devono garantire la loro reperibilità per una finestra oraria di 60 minuti, per 365 giorni all'anno. In questo modo, gli addetti antidoping possono rintracciarli ed effettuare i vari controlli. Se l'atleta non si fa trovare o non è disponibile per tre volte, può scattare la squalifica. Il caso Cornet non ha particolari precedenti, se non quello di Yanina Wickmayer e Xavier Malisse. Nel 2009, i due belgi furono sospesi proprio per questo motivo. Il tribunale antidoping fiammingo decretò una sospensione di un anno. Tuttavia, i giocatori vinsero un'ingiunzione e furono subito riammessi a giocare. Nel frattempo entrò in scena il CAS di Losanna, coinvolto dalla WADA. L'udienza si sarebbe dovuta tenere nel settembre 2011, ma i giocatori presentarono appello alla Corte Federale svizzera contro la decisione del CAS di accettare la giurisdizione per dibattere del caso (per loro, la vicenda doveva limitarsi al Belgio). L'appello fu respinto, ma nel frattempo la Cassazione belga invalidò la squalifica per ragioni formali. A quel punto, la WADA ha lasciato cadere il suo appello e il CAS ha sospeso la procedura. C'è poi stato il caso di Viktor Troicki, ma era una questione un po' diversa: non si è trattato di mancata reperibilità, bensì di un vero e proprio rifiuto a sottoporsi a un test del sangue. Il serbo si prese un anno di squalifica.

NIENTE FED CUP, UDIENZA A MARZO
In queste ore, la federazione francese ha diffuso un comunicato in cui informa che la Cornet non sarà convocata per il match di Fed Cup che la Francia giocherà i prossimi 10-11 febbraio a Mouilleron Le Captif, contro il Belgio. “Il direttore tecnico ad interim Pierre Cherret, in accordo con il capitano Yannick Noah, ha deciso di lasciare che Alize Cornet preparasse la sua difesa. Nonostante le conseguenze che l'assenza della Cornet potrebbe causare a livello sportivo, la FFT ricorda la sua ferma determinazione a sostegno del rispetto al programma antidoping ITF”. Per adesso, la giocatrice si è limitata a un rapido comunicato via Twitter. “Vorrei farvi sapere personalmente cosa mi sta succedendo. Lo scorso ottobre c'è stato il mio terzo “no show”: significa che tra i 20 controlli antidoping cui sono stata sottoposta nel 2017, ovviamente tutti negativi, ne ho saltati tre a casa mia per valide ragioni che l'ITF non ha voluto ascoltare. Il mio caso sarà discusso in udienza a marzo. Da lì si stabilirà il futuro della mia stagione. Fino ad allora continuerò la mia normale programmazione, anche se non potrò rappresentare la Francia in Fed Cup a causa di una clausola nelle regole ITF. Vi terrò aggiornati e vi prometto di restare forte in questo periodo difficile”. È impossibile avere un'idea chiara fino a quando non si conosceranno le ragioni delle tre irreperibilità. Lei le definisce “valide”, mentre l'ITF è di parere opposto. Sarà il Tribunale Indipendente a valutare questo aspetto e decidere il futuro della 27enne francese, numero 42 WTA e autrice di un discreto Australian Open, in cui ha perso al terzo turno contro Elise Mertens. Su un punto, la Cornet sembra deboluccia: le norme antidoping sui test mancati sono piuttosto chiare (articolo 2.4 del codice mondiale antidoping) quindi le ragioni per cui ha saltato i controlli dovranno essere davvero importanti (e provate) per convincere i giudici a credere alla sua buona fede.