Damien Dumusois ricorda con maggior piacere le quattro finali Slam che ha avuto l'onore di arbitrare (Roland Garros 2012, 2015 e 2016, più Wimbledon 2017), ma sul web è rimasta qualche traccia di una piccola controversia con Fabio Fognini al torneo di Cincinnati, nel 2015. Aveva ragione l'azzurro: opposto a Thanasi Kokkinakis, aveva immediatamente chiesto l'intervento di Hawk Eye dopo aver colpito la palla. Tuttavia, Dumusois non aveva sentito e non gli ha concesso il “challenge” perché si era avveduto della sua richiesta troppo tardi. Fabio non l'aveva presa bene, anche se poi quel punto non avrebbe influito sull'esito del match. Si tratta di uno dei tanti episodi in cui un giocatore non condivide la decisione dell'arbitro. Ma se spesso si conoscono le opinioni dei tennisti, ciò che accade nell'ambito degli ufficiali di gara non trapela quasi mai. Per esempio, nessuno sa quali provvedimenti siano stati presi nei confronti di Cedric Mourier dopo il grossolano errore commesso lo scorso anno ai danni di David Goffin, durante la semifinale di Monte Carlo contro Rafa Nadal. In teoria i giudici di sedia non possono parlare con i giornalisti, ma ogni tanto spunta qualche intervista. L''ultimo a parlare è stato proprio Dumusois: siamo abituati a vederlo nei tornei più importanti, eppure la scorsa settimana si trovava a Quimper, per un piccolo torneo Challenger. Il motivo è semplice: anche i “Gold Badge” (la ristretta categoria di arbitri che possono dirigere ogni tipo di match) devono lavorare ad almeno un Challenger all'anno, da inserire in una programmazione di 25 settimane.
UNA BELLA CARRIERA
“Per il resto io lavoro ai grandi tornei – ha detto in un'intervista con Ouest France – la nostra presenza nei Challenger serve per portare professionalità e fare formazione per gli arbitri meno esperti. Sono andato a Quimper per la prima volta l'anno scorso e mi sono reso conto che era un buon torneo per svolgere il compito”. Ultimata la parentesi, Dumusois è tornato a favore di telecamere: in questi giorni è a Montpellier, dopodiché lo vedremo a Rotterdam, Acapulco e Indian Wells. Nonostante la giovane età (38 anni) è già uno degli arbitri più importanti del tour. “Ho giocato a tennis a livello regionale – racconta – poi un giorno il mio club, il TC Montchanin, aveva bisogno di un arbitro per le loro partite e io mi sono offerto volontario. Dopodiché la federazione ha istituito il trofeo nazionale per i giovani ufficiali di gara: avevo 15-16 anni e da lì ho imparato le regole, iniziando il percorso che mi ha portato dove sono oggi”. Sia pure in misura diversa, anche tra gli arbitri c'è un minimo di competizione. Se i giocatori vogliono arrivare in finale, è lo stesso anche per loro. Dumusois ha arbitrato alcuni match di cartello: oltre alle finali Slam già citate, era sulla sedia nel leggendario Federer-Djokovic al Roland Garros 2011 (“Il pubblico faceva talmente baccano che mi sembrava che tremasse il seggiolone”). Il sogno principale di un arbitro, tuttavia, sono le ATP World Tour Finals. È il luogo dove si raduna l'elite dei giocatori, ma anche degli ufficiali di gara. “Ma un conto è essere selezionato, un altro arbitrare una semifinale o la finale”. Con l'arrivo della tecnologia, in particolare di occhio di falco, vien da domandarsi se la terra battuta sia la superficie più complicata dove destreggiarsi. Il caso Mourier, in effetti, lo farebbe pensare. “Non direi che la terra sia la superficie più complicata. Sul rosso abbiamo delle tecniche specifiche che devono essere rispettate. Bisogna saper leggere il segno, scendere tempestivamente, valutare se il giocatore ha rimandato la palla o se l'eventuale chiamata è arrivata in ritardo. Oltre alla superficie, bisogna sapersi adattare all'atmosfera e alla luminosità, che variano di torneo in torneo”.
POCA CONFIDENZA COI GIOCATORI
In virtù del suo ruolo, Dumusois non può parlare dei singoli giocatori, salvo specificare che ogni tennista, che sia il numero 1 o il numero 1000, merita lo stesso trattamento. Capita spesso che metà dei passeggeri di un aereo siano persone legate al tennis che si spostano da un torneo all'altro. “Ormai siamo abituati a questo tipo di situazioni – racconta – però ognuno sa che deve rimanere nel suo gruppo, senza mischiarsi troppo. Ovviamente questo non impedisce di salutarsi”. Quando gli hanno ricordato il battibecco con Fognini, non si è scomposto. “Casi di questo genere succedono ogni settimana. Ci sono situazioni più pubblicizzate di altre, la TV è sempre presente. Un arbitro può sbagliare, non siamo dei robot. L'importante è gestire l'errore e la comunicazione. Per esempio, non bisogna comportarsi in modo aggressivo come a dire: 'Io sono il capo'. Se ho fatto un errore, mi rimetto in gioco per finire la partita”. D'altra parte, non esiste un solo giudice di sedia che non sia stato oggetto di critiche. Da parte sua, Dumusois si è fatto apprezzare al punto da effettuare una rapida scalata nelle gerarchie interne. “Siamo sempre in viaggio. Io ho sempre sognato di viaggiare… si può dire che sono stato accontentato. Diciamo che è importante trovare il giusto equilibrio con la vita familiare e gestire bene la programmazione, per esempio evitando di stare in giro per otto settimane di fila”. In fondo arbitrare una finale è bello e gratificante, ma esiste anche una vita al di fuori del seggiolone. Guai dimenticarlo.