La proposta di rinnovamento della Davis approvata dal Board ITF non è soltanto uno schiaffo alla tradizione, ma creerebbe più di un danno. Il Dio Denaro non può averla sempre vinta: le federazioni hanno il dovere di tutelare la bellezza della competizione e non tramutarla in una squallida esibizione. Avranno il coraggio di opporsi?

La Coppa Davis è davvero in pericolo. La proposta di modifica, approvata all'unanimità dal Board ITF, è una delle novità più agghiaccianti mai viste da quando il Maggiore Walter Clopton Wingfield ha brevettato il Lawn Tennis. E siamo convinti che Dwight Davis, colui che donò le 217 once d'argento che compongono l'Insalatiera, non sarebbe contento di quello che stanno facendo Dave Haggerty e i suoi seguaci. Da quando questo ex rappresentante, nonché ex presidente USTA, ha preso il comando della Federazione Internazionale, ha messo in moto un attivismo sfrenato. Se la gestione di Francesco Ricci Bitti era stata fin troppo conservatrice, Haggerty sta distruggendo le fondamenta del nostro sport, affascinato dal Dio Denaro e dalla proposta di Kosmos, il cui frontman è il calciatore del Barcellona Gerard Piquè. Sembra già uno scherzo, una barzelletta: un calciatore che entra in tackle su una storia di quasi 120 anni. Dal 1900 a oggi, la Davis ha resistito allo scorrere del tempo e ha mantenuto intatto il suo fascino. Ridurla a una competizione di una settimana, con 18 nazioni (e perché non 16?) significa devastare una storia fatta di gloria e tante, tante emozioni. Il punto è questo: possiamo fare a meno del prestigio, della tradizione, di quello che volete, ma il format partorito da ITF e Kosmos non fa altro che peggiorare la competizione. Peggio: la annulla, la cancella. Radunare tutto in pochi giorni, con partite ridotte a due singolari e un doppio, peraltro al meglio dei tre set, significa ridurre la Davis a un'esibizione che – nei pensieri dell'ITF – dovrebbe riportare i migliori a giocarla. Ma siamo sicuri che sarebbe davvero così? A parte i qualificati per il Masters, la maggioranza degli altri giocatori va in vacanza a fine ottobre o nei primissimi giorni di novembre. La Davis (o meglio, la bruttura che ci vogliono propinare) andrebbe fine novembre, spezzando in due il periodo di offseason. In quanti avranno voglia di sciropparsi lo stress, specie con la prospettiva di uscire nei gironi? E poi, radunare 18 squadre in una settimana significa coinvolgere più campi, creando un immenso calderone dove ci rimetterebbe il pubblico e si ridurrebbe il fattore tifo. I colori, i cori, l'atmosfera da festa hanno reso la Davis – e i suoi rituali – impermeabile allo scorrere del tempo. Non la pensa così il Board ITF, che si è fatta abbagliare dalla maxi offerta presentata da Piquè: 3 miliardi di dollari per un accordo di 25 anni. Una cifra immensa, una torta talmente grande che ogni federazione potrebbe prendersi la sua bella fetta. È questo il grande rischio in vista dell'Assemblea Generale ITF, dove le federazioni saranno chiamate a pronunciarsi sulla proposta. Ci vorrà almeno il 66,66% dei voti favorevoli per decretare la morte della Coppa Davis. Perché sarebbe una dolorosa eutanasia, nient'altro che questo. L'appuntamento è a Orlando, Florida, dal 13 al 16 agosto.

UNA COMPETIZIONE CHE FUNZIONA
Come spesso accade nella politica sportiva, saranno già iniziati i sotterfugi e le trattative per strappare un “sì” o un “no” alle varie federazioni, tenendo conto che il voto del paese più sperduto vale esattamente come quello degli Stati Uniti, della Germania o dell'Italia. E non va bene: la piccola federazione asiatica o africana, che non sarà mai coinvolta dall'eventuale rivoluzione, potrebbe farsi abbagliare dalla promessa di intascare più soldi. E per il tennis sarebbe una grande sconfitta. Senza scomodare Dwight Davis e concetti astratti come “prestigio” e “tradizione”, il cambio di format renderebbe la Davis una squallida esibizione senza il pathos che l'ha resa leggendaria. A scanso di equivoci, è vero che molti top-players non la giocano, o non la giocano sempre. È innegabile. Ma ribaltiamo il concetto: la Davis è bella così perché ogni santo weekend offre storie straordinarie, grandi partite, una tensione fuori dal normale. Hai voglia a dire che i giocatori sono professionisti: il peso di giocare per la nazionale si sente eccome. Non è un caso che molti non riescano ad esprimersi, mentre altri si esaltino a dismisura. In Davis bisogna essere temprati, nella testa e nel cuore. È un'esperienza umana, ancor prima che tecnica. Questo mix regala risultati spesso clamorosi e una viva incertezza, mentre difficilmente i tornei individuali escono da un ristretto giro di favoriti. Altra cosa: è vero che i migliori non la giocano, ma i manuali di storia ricordano le partite, i volti, in personaggi, le lacrime di gioia e di dolore. Quanti ricordano che Boris Becker non era nel team tedesco che vinse nel 1993? O che Rafa Nadal non era nella finale del 2008? Soltanto fanatici e addetti ai lavori. La storia ricorda chi c'era, chi ha giocato partite emozionanti, magari di cinque set, trovando in Davis quella gloria che gli è stata preclusa nel tour. Limitandoci agli ultimi 20 anni, abbiamo festeggiato “eroi” come Arnaud Boetsch, Mikhail Youzhny, Viktor Troicki, Radek Stepanek, Federico Delbonis e tanti altri. Oppure, anti-eroi come Niklas Kulti, Paul Henri Mathieu, Michael Llodra, Josè Acasuso (due volte). E vogliamo parlare della formula casa-trasferta? Il pubblico che si scatena e prega per ogni sinolo punto, la possibilità di giocare sulla terra rossa d'inverno, sul cemento indoor in piena estate, persino sull'erba… senza dimenticare il valore promozionale tipico della manifestazione: non avendo una sede fissa, la Davis si può giocare nelle località più disparate, portando il tennis laddove non il circuito non sarebbe mai arrivato.

UNA SOGLIA DA (NON SUPERARE)
E poi ci sono le folle oceaniche che hanno assistito a diverse finali. I quasi 30.000 spettatori di Lille, per la finale 2017, sono soltanto l'ultimo esempio. Come dimenticare le due finali allo Stadio Olimpico di Siviglia, i campi costruiti nell'hangar di un aeroporto, o quando lo Stadio Prater di Vienna si prestò al tennis, così come uno di baseball negli Stati Uniti? Suggestioni straordinarie, che la nuova proposta vuole cancellare in nome del business. Perché, ripetiamo, non siamo per nulla convinti che il nuovo format migliori il campo di partecipazione. Chi scrive non avrebbe mai toccato la Davis, mantenendo addirittura il set a oltranza al quinto set (pur ammettendo che era un po' troppo, vista la possibilità di giocare per tre giorni di fila). Eravamo contrari persino a una modifica di buon senso come l'introduzione del quinto giocatore in squadra: è giusto, ma i team a quattro esaltavano ancora di più le doti strategiche dei capitani. Con cinque giocatori, ognuno potrà chiamare due doppisti ed essere tutelato con tre singolaristi. Insomma, dopo aver svilito il ruolo del capitano, adesso vogliono rovinare una manifestazione che funziona e che continua ad essere amata dal pubblico. L'appuntamento per la distruzione definitiva è ad agosto: fosse una questione soltanto sportiva, siamo sicuri che le federazioni non farebbero nemmeno avvicinare la proposta al 66,66%. Ma essendoci in ballo tanti soldi (e sicuramente qualche promessa sussurrata qua e là), a Orlando sarà una battaglia all'ultimo voto, come fu qualche mese fa a Ho Chi Minh City sulla proposta di portare i singolari al meglio dei tre set: servivano di due terzi, i consensi si fermarono al 63,54%. Una batosta per Haggerty, il quale aveva già rinunciato a presentare la proposta della Final Four in sede unica (dopo che era già stata scelta Ginevra), poiché aveva il sentore – se non la certezza – che avrebbe perso. Adesso si presenterà a Orlando con una carta di più in mano: una potenziale disponibilità economica che potrebbe mettere in difficoltà i delegati. Ormai i giocatori non possono farci niente, peraltro dopo aver bocciato questo tipo di proposta quando era arrivata all'ATP. Non resta che attendere gli sviluppi: le federazioni hanno in tasca la grande possibilità di salvare la Davis. Prevarrà il senso dello sport o la prospettiva di gonfiare il portafoglio?