La nuova Coppa Davis, ideata da ITF e Gerard Piqué, offrirebbe un montepremi annuale di 20 milioni di dollari, inferiore soltanto agli Slam. Dovrebbe essere questo uno degli incentivi a spingere i top-players a partecipare Dave Haggerty insiste sulla bontà del progetto e dice: “La tradizione rimane: i gruppi zonali resteranno così”.

Sebbene il nuovo format della Coppa Davis non ci piaccia e – come hanno detto diversi protagonisti – decreti la morte di una competizione con quasi 120 anni di storia, una discreta fetta di appassionati che ha accolto con favore la novità di racchiudere il World Group in sette giorni e in un'unica sede. In queste ore, la pagina Facebook di Tennis Italiano ha lanciato un sondaggio con risultati sorprendentemente equilibrati: nel momento in cui scriviamo, il 53% dei lettori è addirittura a favore (continuate a votare qui). A parte il dichiarato obiettivo di attirare i migliori – la cui efficacia è tutta da vedere – pare evidente che l'unico vantaggio sia di natura principalmente economica. Una delle prime interviste al Presidente ITF Dave Haggerty è stata pubblicata in queste ore da El Pais e fornisce i primi spunti per comprendere le posizioni dei vertici ITF. Anche se, a ben vedere, l'unica notizia di rilievo riguarda il montepremi: se dovesse entrare in vigore, la nuova Davis offrirebbe premi per 20 milioni di dollari, secondi solo agli Slam e molto superiori anche ai più ricchi tra i Masters 1000 (Indian Wells e Miami). “È una trasformazione importante per l'ATP e per il nostro sport – dice Haggerty – siamo emozionati, crediamo che sia una decisione molto importante”. Quando l'intervistatore Alejandro Ciriza gli ha chiesto se il format attuale aveva decretato la morte della Coppa Davis, Haggerty si è un po' contraddetto, ammettendo che il prodotto funzionava e che l'ultima finale è stata un bel successo. “Tuttavia, giocare in una sola settimana ci permetterà di avere i migliori giocatori. Sarà una settimana di grande tennis, ma anche di intrattenimento”. L'attuale format, con le gare in casa e in trasferta e i match spalmati nel corso dell'anno, sarà mantenuto nelle serie inferiori. Per Haggerty è sufficiente per tutelare la tradizione “ma abbiamo l'opportunità di scrivere un nuovo capitolo”. L'affermazione è discutibile: i gruppi zonali, per quanto affascinanti, non hanno nessuna risonanza internazionale e riguardano i soli paesi interessati.

IL RUOLO DI PIQUÈ
Se la nuova Davis dovesse venire approvata, l'intera competizione sarà identificata con il nuovo format del World Group: 18 squadre divise in sei giorni da tre. Passerebbero ai quarti le vincenti di ciascun girone, più le due migliori seconde. Con i quarti di finale inizierebbe la fase a eliminazione diretta. Ogni match avrebbe la mini-formula di due singolari e un doppio, il tutto al meglio dei tre set. C'è il forte sospetto che sia una manovra con obiettivi economici, che la Davis sia lo strumento per lucrare. Sentite Haggerty: “Il nostro dovere è favorire lo sviluppo delle prossime generazioni di giocatori e appassionati di tennis. Dobbiamo migliorare le condizioni per i giocatori: il nostro sforzo è proteso a rendere più forte il tennis. È la nostra missione”. Francamente, ci sfugge in che modo il tennis apparirà più forte, se non nelle casse delle varie federazioni. Il progetto è nato ed è stato portato avanti da Gerard Piqué, 31 anni, noto difensore del Barcellona che però è molto attivo anche nel campo degli affari. È lui il fondatore e presidente del gruppo di investimento Kosmos. “Ha grande passione e ha lavorato a vari progetti – dice Haggerty – ci ha impressionato perché ci ha dato un'idea chiara del suo impegno, perché ama il tennis e la Davis. È stato una figura importante in tutto questo. Ci siamo visti una decina di volte, abbiamo parlato molto, ci siamo scambiati messaggi e discusso sulla possibilità di lavorare insieme”. Il progetto è forte anche del sostegno economico della compagnia di e-commerce giapponese Rakuten, presieduta da Hiroshi Mikitani, peraltro già attiva nel mondo del tennis: è il title sponsor del torneo di Tokyo. L'ITF sta lavorando a un accordo di 25 anni “e gli incassi ci permetteranno di investire sullo sviluppo dello sport e delle nuove generazioni”.

UN EVENTO ANNUALE
Secondo il presidente ITF, salito in carica nel 2015, i migliori giocatori hanno accolto con favore la novità. Al momento dell'intervista aveva già letto l'opinione positiva di Rafa Nadal ed è certo di incontrare il favore di Djokovic, che è anche socio di Piquè. “La sensazione è che i giocatori siano d'accordo: Piqué ha parlato con loro e questo ci dà fiducia”. A giudicare da quello che si legge in giro, non è proprio così. Non è così importante, visto che l'operatività del progetto passerà dai voti delle singole federazioni. Come è noto, alla prossima assemblea ITF sarà necessario raggiungere il 66,66% dei voti favorevoli. A ingolosire i delegati, la montagna di denaro in palio. Il prize money sarà di 20 milioni all'anno. “Un cifra importante che sarà apprezzata da tutti, e poi c'è indubbiamente il piacere di giocare per la propria nazione” dice Haggerty, come a volersi convincere che il denaro non sarà l'unico incentivo. A suo dire, la nuova formula della Davis riporterà la competizione ad essere una priorità dei top-players al momento di stilare la programmazione. C'è una certezza: nonostante qualche spinta per diminuire la frequenza del torneo, la Davis continuerà a giocarsi su scala annuale. “Per noi ha senso così. La manterremo annuale perché crediamo che sia la soluzione migliore – conclude Haggerty – il cambio sarà positivo per tutti: giocatori, pubblico e appassionati”. Certezze che non convincono. Anzi, spaventano.