Dice di amare poco il tennis anche se sarà il suo lasciapassare verso fama, successo e ricchezza. A soli quindici anni, l'ucraina Marta Kostyuk ha raggiunto il terzo turno all’Australian Open, scomodando paragoni con le baby prodigio più famose, da Tracy Austin a Jennifer Capriati, da Monica Seles a Martina Hingis.Articolo pubblicato sul numero di febbraio de "Il Tennis Italiano"

Tra le storie collaterali dell’Australian Open 2018, quelle per intenderci che godono di luce per una decina di giorni prima di essere soppiantate da quelle dei vincitori, la più intrigante riguarda Marta Kostyuk, ucraina, anni 15, che ha abbandonato Melbourne Park soltanto al terzo turno. Un risultato che ha portato in dote alla bambina ucraina varie gemme: un balzo di oltre 250 posizioni nel ranking mondiale, un sostanzioso assegno e un paragone obbligato con gli altri baby prodigi che hanno costellato la storia recente del tennis in gonnella. Mica male per una che non voleva neanche andarci fin laggiù, in Australia, perché demoralizzata dalla sconfitta subita al primo turno contro una tennista greca in uno sparuto ITF da 25mila dollari di inizio anno. A sbarrare la strada di Marta ci ha pensato la connazionale Elina Svitolina con un doppio 6-2 senz’appello. Prima, però, nelle qualificazioni Kostyuk aveva messo in fila Rodionova, Seguel e Krejcikova (tutte piegate al terzo set) che le hanno consegnato il lasciapassare per il main draw, un’impresa che non riusciva a una così giovane ragazzina – wild card escluse – dal 2005, quando la protagonista fu la bulgara Sesil Karatantcheva. Non solo: distruggendo Shuai Peng al primo turno si è dovuto scavare fino a Martina Hingis per trovare un termine di paragone, mentre occorre risalire fino al 1997 per ritrovare una quindicenne al terzo turno di uno Slam, quando ci riuscì Mirjana Lucic, allo US Open del 1997.
Una predestinata che ha sorpreso (ma ormai nemmeno così tanto, dopo che Agassi ha sdoganato il concetto e a qualcuno probabilmente piace ripeterlo perché fa notizia) quando, a proposito dello sport che con molta probabilità le offrirà fama e ricchezza, ha detto: «Non mi è mai piaciuto. Sono sempre stata brava, ma non mi è mai piaciuto». La storia dell’enfant prodige ucraina è piuttosto affine con quella di altre sue colleghe: papà Oleg è il direttore della Antey Cup, un torneo junior di Kiev, mentre più centrale è la figura della madre, Talina Beyko, che vanta un career-high da numero 391 del mondo e una vittoria nel torneo da 10mila dollari di Kiev nel 1994. Marta parla del tennis come fosse una necessità, quasi un mezzo per trascorrere più tempo possibile con la madre. Ed è anche per questo che ha abbandonato la ginnastica acrobatica, disciplina che ha praticato piuttosto bene dai cinque agli undici anni, con un quarto posto ai campionati nazionali come miglior risultato. Ha pure pensato di mollare – racconta Marta – nell’agosto del 2015, poi è tornata sui suoi passi e nel giro di poco tempo ha iscritto il suo nome nell’albo d’oro dell’Orange Bowl, dell’Eddie Herr e di quello che è considerato una sorta di campionato del mondo giovanile, Les Petit As di Tarbes: un trittico che nel tennis vale ben oltre una promessa di futuro successo. Nel gennaio del 2017 ha trionfato all’Australian Open junior e quest’anno non solo ha partecipato al torneo vero, ma ha perfino superato due turni. Bionda, i lineamenti suggeriscono spudoratamente le origini dell’Est Europa, così il come il suo tennis, già settato con le impostazioni della picchiatrice moderna. Certo, i margini di miglioramento sono ancora parecchi, a cominciare dall’efficacia del servizio, ma sono limiti fisiologici dettati dall’età.
Oggi Kostyuk ha lasciato l’accademia ucraina dove c’erano mamma e papà e si allena a Zagabria con Luka Kutanjac ed è un cavallino della scuderia manageriale di Ivan Ljubicic: «Mi aiuta sempre e quando discutiamo dopo le partite, mi dice quello che non ha funzionato. Non va mai tutto bene, nemmeno quando vinco». Quasi scontata una domanda su Roger Federer, allenato proprio da Ljubicic. Kostyuk è orgogliosa quando ricorda di aver dialogato un paio di volte col fuoriclasse svizzero: «Parlato per davvero, non soltanto ciao, come stai?», rimarca per far passare il messaggio che non è una delle tante anche se, con un terzo turno Major a 15 anni, come potrebbe esserlo? Proprio la giovanissima età è ciò che sbalordisce in Marta, vista l’estrema personalità che mostra. E nel tennis femminile l’età conta, visto che c’è pure una regola alla quale è stato abbinato un nome (come accade quando si tratta dell’ideatore o del destinatario): la Capriati Rule sposa la seconda ipotesi perché questa sorta di razionamento dell’attività professionistica per le enfant prodige con racchetta nasce per evitare storie simili a quelle di Jennifer Capriati, che a 14 anni campeggiava patinata sulla copertina di Sports Illustrated e qualche anno dopo sulle foto segnaletiche della polizia della Florida, pizzicata in un furtarello in un centro commerciale. Questo per ricordare che i fenomeni di precocità nel tennis femminile non sono eccezioni, ma invece talmente ridondanti dall’aver suggerito di creare una regola ad hoc. Lo stratagemma introdotto dalla WTA nel 1994 consiste nel vietare i tornei del circuito maggiore e ITF alle minori di 14 anni e limitare le partecipazioni in modo crescente dai 14 ai 17 anni – rispettivamente 8, 10, 12 e 16 tornei a stagione -, fino alla completa emancipazione.
Una soluzione diventata fortemente attuale la scorsa estate, quando Cori Gauff è giunta in finale allo US Open junior a… 13 anni. Qualora avesse battuto Anisimova, Cori sarebbe diventata la più giovane vincitrice Slam (junior) dai tempi di Martina Hingis che vinse Roland Garros non ancora tredicenne. Opinionisti illustri si sono schierati contro la regola-Capriati: «Non è giusto uccidere lo slancio agonistico delle giovani promesse» dice Patrick Mouratoglu. Della stessa idea anche Lindsay Davenport, secondo cui la limitazione dei tornei aumenta la pressione per le giovanissime che ne sono bersaglio, e Martina Navratilova che addirittura ha consigliato alla Gauff di assoldare un buon avvocato. Il confine è labile: come si possono gestire soldi e successo in età adolescenziale senza deragliare dai binari? D’altro canto, è però altresì giusto domandarsi perché chi matura prima di altre debba avere qualche svantaggio rispetto alla concorrenza. Chi è talmente brava, come Marta Kostyuk, da affacciarsi con prepotenza nel circuito professionistico in età precoce, è dunque chiamata a essere ancora più sveglia fuori dal rettangolo di gioco per sfuggire a quel lato oscuro del successo che spaventa più di ogni avversaria.

LA ALTRE BABY PRODIGIO DELLA STORIA

TRACY AUSTIN – La più giovane a vincere un titolo WTA (14 anni e 28 giorni) a Portland. Nello stesso anno raggiunse il terzo turno a Wimbledon.

JENNIFER CAPRIATI – A 14 anni è stata la più giovane semifinalista Slam (a Roland Garros) e più giovane testa di serie in uno Slam (a Wimbledon). Nell’ottobre del 1990 è diventata la più giovane a raggiungere la top 10 mondiale, a 14 anni e 235 giorni.

MONICA SELES – Doveva ancora compiere i 16 anni quando ha partecipato per la prima volta ad un torneo Slam (Roland Garros 1989) dove arrivò in semifinale perdendo in tre set contro Steffi Graf, allora numero uno del mondo. L’anno seguente vinse il titolo a 16 anni e 189 giorni.

MARTINA HINGIS – È la più giovane vincitrice Slam grazie al titolo australiano del 1997, quando aveva 16 anni e 105 giorni, ritoccando leggermente il trionfo parigino della Seles nel 1990.

MIRJANA LUCIC – Oltre al terzo turno raggiunto da quindicenne allo US Open 1997, la croata in precedenza era diventata la terza giocatrice a vincere due prove dello Slam junior (US Open 1996 e Australian Open 1997) prima dei 15 anni.

MARIA SHARAPOVA – È la seconda più giovane vincitrice di Wimbledon, dopo Martina Hingis: ha infatti trionfato ai Championships del 2004, quando aveva solamente 17 anni e 75 giorni battendo in finale Serena Williams.