Molti pensano che la finale dei WCT Championships del 1972 sia stata la più bella partita di mai giocata. Ken Rosewall e Rod Laver si spinsero fino al tie-break del quinto set. Si impose “Muscle”, ma è un dettaglio. Quell'anno, i due australiani non poterono giocare i tornei del Grand Prix perché l'ITF (allora ILTF) mise il veto a tutti i giocatori sotto contratto con la WCT. Per questo, non poterono competere per il Masters “tradizionale”. L'evento si giocò a Barcellona e fu un torneo tutto sommato anonimo, con vittoria di Ilie Nastase in finale su Stan Smith. A distanza di tanti anni, tuttavia, quella partita ha trovato un suo senso storico. Fu il match che fece innamorare del tennis colui che sarebbe diventato il coach più vincente di tutti i tempi: Toni Nadal. Anche se ha smesso di seguire il nipote in giro per il tour, lo zio Toni si è concesso un'eccezione per il Conde Godò di Barcellona. Gli organizzatori lo premieranno, e poi Barcellona è una città importante per i Nadal. Suo fratello Miguel Angel è stato un grande difensore dei blaugrana. A 57 anni di età, Toni continua a rilasciare interviste con una frequenza impressionante. Non tutte sono interessanti, ma in occasione di questo torneo ha regalato alcune chicche straordinarie, raccontando il suo avvicinamento allo sport della racchetta. Non ci fosse stato il Masters al Palau Blaugrana, magari non si sarebbe innamorato del tennis. E non ci sarebbe stato neanche Rafa, il più grande tennista che abbia mai messo piede su un campo in terra battuta. “Vidi quella partita e rimasi incantato. Tuttavia, non ho subito iniziato a giocare: a Manacor non c'erano possibilità, con un solo campo. Ho dovuto aspettare fino ai 13 anni. Un anno dopo, il tennis era la mia più grande passione”.
LA MANO SINISTRA E LO STILE DI FEDERER
Amava anche il calcio e il ping-pong, ma il tennis ha avuto la meglio. È arrivato ad essere un seconda categoria a livello nazionale. “Non giocavo male, ma nemmeno troppo bene. Ero molto tenace, ma non avevo colpi vincenti”. Ci volle poco per rendersi conto che non sarebbe diventato il nuovo Manolo Santana. Intorno ai 20 anni, faticosamente arrivato in prima categoria, ha lasciato perdere. “Perché non mi piace prolungare troppo le cose”. Anche Miguel Angel giocava a tennis: fu campione di Maiorca e delle Isole Baleari. “Avrebbe potuto diventare uno dei migliori tennisti spagnoli, ma il calcio incombeva. Ha smesso di giocare a 15 anni, quando era già un calciatore promettente”. A quel punto, Antonio (è il suo nome all'anagrafe) è rimasto sul campo, ma nelle vesti di allenatore. Una dozzina d'anni dopo, sarebbe arrivato Rafael. Inevitabile che finisse tra le mani dello zio. Da piccolo, Rafael era magrissimo. Per questo, tirava sia dritto che rovescio a due mani. Quando giunse il momento di scegliere la mano da utilizzare, Toni Nadal commise un errore che col senno di poi è stata una benedizione: pensava che Rafa colpisse meglio con la sinistra. Peccato che il nipote fosse destro, anche per scrivere. Ben presto, si sarebbe formato il Rafa Style, con i suoi tratti distintivi: grandi corse, pallettoni carichi di rotazione. Toni l'ha lasciato fare, ma non era contento. “È uno stile che non mi piace, per niente. Ho sempre amato i colpi tirati normalmente, con uno stile classico. Il fatto è che Rafa ha preso a colpire così sin da bambino. Ne aveva bisogno per mettere in difficoltà i suoi avversari, più grandi e più alti. A 12 anni giocava contro quelli di 15”. Ed ecco la frase su cui si può costruire un titolo. “Avessi potuto scegliere, avrei preferito che Rafael giocasse come Federer”.
"SAREBBE DIFFICILE DIRE NO A DJOKOVIC"
Chi conosce Toni sa che non mente. È un tipo duro, possiede sentimenti ma li sa mascherare, mentre non fa nulla per nascondere le sue opinioni, anche le più scomode. La biografia di Nadal, uscita nel 2010, ben descrive la sua severità. Insieme, hanno colto risultati incredibili. Non vale la pena ripeterli. A 57 anni, lo zio è uscito di scena, lasciando spazio a Carlos Moyà e Francisco Roig. Fa ancora il “consigliere”, ma si dedica soprattutto all'accademia Nadal, a Manacor. A differenza sua, gli undicenni maiorchini non avranno problemi a trovare un campo per giocare. I cronisti di Lavanguardia gli hanno fatto una domanda provocatoria, ma lui non si è scomposto. E ha risposto in tipico stile Toni. “Se Djokovic ti chiedesse di allenarlo, cosa faresti?”. Il serbo e Nadal hanno dato vita a partite estenuanti, mettendo in scena una dura rivalità. Nel massimo rispetto, ma molto accesa. Non potrebbe essere altrimenti, con ben 50 scontri diretti (26-24 per Nole). Passare all'angolo di Djokovic sarebbe un po' come allenare il Barcellona dopo aver vinto tutto col Real Madrid. “Non me lo chiederà, però è difficile dire no a Djokovic. È un numero 1. Fosse una persona educata, non lo seguirei al 100% come ho fatto con mio nipote, ma mi piacerebbe accompagnarlo in un torneo. Il mondo è cambiato”. Alla richiesta di chiarimenti sull'ultima frase, ha detto: “Oggi è complicato lavorare bene con i giovani. In passato, vivevamo in una società dove gli adulti venivano rispettati. Adesso non ho l'età per stare dietro a un ragazzo che si comporta male. In ogni caso, lavorare cin Djokovic sarebbe come allenare il Real o il Barcellona”. Appunto. La suggestione resterà tale, anche se i due si incroceranno in questi giorni al Conde Godò. E magari Djokovic seguirà la premiazione che hanno preparato per lo zio Toni. In questo torneo era partito come giudice di linea, ha finito per vincerlo dieci volte, dalla panchina. Grazie a quel giorno in cui accese la TV, e un vecchio apparecchio in bianco e nero mostrava una partita tra Ilie Nastase e Stan Smith.