Chiamatela pure dottoressa: mentre era ferma per un grave infortunio a un ginocchio, che sembrava irrisolvibile, Mihaela Buzarnescu si è presa un dottorato di ricerca in scienze dello sport. Un anno fa, il ginocchio ha smesso di farle male e le ha permesso di far sbocciare il suo talento. A Parigi ha infilato una grande sorpresa: battuta Elina Svitolina.

Ha due gambe perfette, belle e atletiche. Con un fisico del genere, avrebbe potuto eccellere in tanti sport. Da bambina, Mihaela Buzarnescu ha scelto di giocare a tennis sublimando l'amore tra mamma e papà, che si erano conosciuti proprio su un campo in terra rossa. Fino a un anno fa, tuttavia, il tennis le ha dato più dolori che soddisfazioni. Da ragazzina aveva capito che il talento era di quelli buoni, ma un grave infortunio alla spalla l'ha bloccata quando stava per spiccare il volo. Tra le ragazze è stata numero 4 del mondo e se la giocava con Azarenka, Radwanska, Wozniacki. A quell'età, i baby-tennisti sono visti come macchine da soldi. È vietato farsi male. E allora è bastato uno stop di sei mesi per farle perdere ogni sponsor. È stata solo la prima delle vicissitudini della Buzarnescu, che in un pomeriggio gonfio di umidità ha vestito per un giorno i panni della regina del tennis. Sul Campo numero 1 del Roland Garros, ha cancellato il sogno parigino di Elina Svitolina, vincitrice al Foro Italico e considerata tra le prime 2-3 favorite del torneo. “Non la conoscevo bene, avevo visto solo qualche filmato” ha esalato la Svitolina, all'ennesimo fallimento Slam. Con quel cognome un po' così, e quell'espressione un po' così, pochi si erano accorti della rumena nonostante l'impressionante scalata degli ultimi dodici mesi, quando il ginocchio malandato ha smesso di farle male. Da numero 500 a numero 33 WTA, forte di un gioco brillante e aggressivo, a cui non manca niente per diventare davvero forte. Ma adesso nessuno la può ignorare. Nessuno può disconoscere la sua storia. Il segreto della Buzarnescu è la conoscenza della vita reale. Non tutti i tennisti sanno cosa succede fuori dalle sedi dei tornei. Vivono in un mondo ovattato, irreale. Molti di loro si trovano spaesati, quando racchette e palline non sono più l'unica ragione per cui svegliarsi al mattino. Quando Mihaela ha iniziato ad avere dolori al ginocchio, ha temuto che il tennis potesse restare un miraggio. E allora ha messo il naso fuori dal cancello del suo club.

SCIENZE DELLO SPORT
“Al tempo della prima operazione, non sapevo cosa sarebbe successo con l'intervento o con la riabilitazione. Allora ho iniziato un dottorato di ricerca in Scienze dello Sport presso l'Università di Bucarest. Ci sono voluti tre anni per conseguirlo, ho finito nel dicembre 2016. L'ultimo anno è stato il più complicato perché avevo ripreso con i tornei. Però sono contenta di averlo fatto, imitando mio padre. Ho imparato a lavorare: se non fossi stata brava col tennis, avrei potuto cercarmi un altro lavoro, in Romania o all'estero”. Che “fosse buona” col tennis si era capito anni fa, quando a 18 anni era già intorno al numero 200 WTA. Ma quel maledetto ginocchio non la lasciava in pace. Prima operazione, seconda operazione, consulti in tutta Europa. È arrivata a consultare anche il medico di Rafael Nadal, ma nessuno trovava una soluzione. Risultato: quasi tre anni ferma ai box, più in mezzo ai libri che con una racchetta in mano. E poi era una vita difficile, quella dei tornei ITF. Si fatica tanto e si guadagna poco, specie se non hai sponsor. “Ho dovuto pagare tutto per conto mio, i miei guadagni si limitavano ai tornei. Per raccogliere qualche soldo ho giocato alcune gare a squadre, in Romania e nel resto d'Europa. Mi sono servite per pagarmi alcuni biglietti aerei”. Ma il ginocchio continuava a farle male, tanto da bloccarla per altri sei mesi a cavallo tra il 2016 e il 2017. “Lo scorso anno ho iniziato male perché il ginocchio non mi lasciava in pace – continua la Buzarnescu, che negli ottavi affronterà Madison Keys – poi a giugno ho iniziato a lavorare con un nuovo coach (Fratila Septimiu, ndr) che mi ha dato buoni consigli e trasmesso tanta fiducia. E il ginocchio ha smesso di farmi male”. Il dolore è scomparso mentre si trovava in Olanda per giocare una gara a squadre, l'ennesima. Allora, a 29 anni compiuti, ha scelto di ricominciare daccapo. Ed è stata la volta buona: tante vittorie nei tornei minori, prima partecipazione a uno Slam, prima semifinale WTA e top-100 conquistate. Quest'anno ha continuato a salire, centrando la prima finale WTA a Hobart, poi replicata a Praga.

"NON VOLEVO CHIUDERE CON UN INFORTUNIO"
A Parigi ha estromesso Elina Svitolina, disinnescando tutte le armi che a Roma sembravano letali. 6-3 7-5 condito da tanti colpi vincenti e sigillato da un rovescio in rete dell'ucraina, che peraltro ha sciupato diverse occasioni nel secondo set. “Dovevo essere aggressiva e spingere appena ne avevo l'occasione, altrimenti lei mi avrebbe aggredito alla mia prima palla un po' più corta. È il mio stile, non ho adottato particolari accorgimenti”. Per lei, era la prima volta al terzo turno di uno Slam. “Sono riuscita a non pensarci fino alla fine del secondo set. Per tutto il match l'ho vissuta come se fosse un match normale. Per fortuna ho tenuto lontani i cattivi pensieri”. La vita può cominciare a 30 anni (Mihaela li ha compiuti lo scorso 4 maggio), anche nel tennis, ma per farlo ci vuole qualità. Se ce l'hai, la puoi mischiare con la maturità. E allora il fattore sorpresa può mettere in crisi anche le più forti, quelle che non l'avevano mai vista. “Ci può stare, ma al giorno d'oggi con TV e Youtube puoi studiare lo stile di ogni avversaria – sostiene la Buzarnescu – non so se sentano pressione, ma con l'esperienza che hanno non credo che abbiano problemi”. I problemi li crea lei, con un tennis che lascia a bocca aperta. Ma la vita è strana, beffarda. Non tutti hanno l'obbligo di emergere a 20 anni. Si possono prendere sentieri strani, alternativi, magari pieni di buche e bucce di banana. “Quando sono stata ferma per oltre due anni ho avuto parecchi pensieri negativi, ma se adesso sono qui vuol dire che non ho mollato. Ho sempre detto che non avrei voluto terminare la carriera con un infortunio”. Le hanno chiesto se possono chiamarla “Dottoressa” in virtù del suo dottorato di ricerca: Mihaela, da persona modesta e intelligente, ha detto quattro volte no. “No, no, no, no….”, salvo poi aggiungere che. “Voglio dire, so che è un dottorato ma… non so”. Anziché rincitrullirsi nella mediocrità dilagante, non si è limitata a studiare ma ha anche imparato le lingue. Oltre a padroneggiare con disinvoltura l'inglese (“Ho iniziato a studiarlo all'asilo”), parla correttamente anche francese e spagnolo. “Beh, mi piace imparare le lingue”. E allora, non temete. Potete chiamarla Dottoressa. La strada per poter utilizzare un altro sostantivo è ormai spianata.