Due anni fa, la giovane britannica “rischiava di morire” per leptospirosi. Si era sentita male durante Wimbledon junior e i suoi genitori si rivolsero addirittura a Scotland Yard per chiarire l'origine dell'avvelenamento. Oggi si è ripresa, è top-200 WTA e a Church Road sfiderà Eugenie Bouchard. La svolta? Si è andata ad allenare a Barcellona, proprio come aveva fatto Murray.

Il tabellone principale di Wimbledon è un sogno per chiunque prenda una racchetta in mano, a maggior ragione per chi è nato in Gran Bretagna. Quando scenderà in campo per sfidare Eugenie Bouchard, finalista nel 2014 (ma costretta a passare dalle qualificazioni), Gabriella Taylor sarà ancora più emozionata. Certi brividi nascono dalla sua ultima partecipazione a Wimbledon, due anni fa, in occasione del torneo junior. Aveva raggiunto i quarti di finale, ma è stata costretta al ritiro a causa di un'improvvisa malattia. Una cosa seria, che l'ha costretta a un ricovero di quattro giorni di terapia intensiva presso il Southampton General Hospital, in cui ha rischiato addirittura di morire per leptospirosi. Come se non bastasse, un mese dopo emerse che Scotland Yard stava indagando per accuse di presunto avvelenamento con lo scopo di mettere in pericolo la vita di Gabriella, o quantomeno causarle un serio danno fisico. Ne erano convinti i genitori, secondo cui la figlia non poteva aver contratto casualmente la malattia (che è tipicamente diffusa dall'urina di un ratto). Non ci sono mai state persone indagate, ma il mistero resta. Due anni dopo, nuovamente in salute e con un ranking tra le top-200 WTA, la Taylor ha paura che l'incubo possa ripresentarsi. Pare davvero spaventata all'idea di un nuovo avvelenamento. Certe preoccupazioni – per non dire timori – si sono estesi al suo clan. Quando ha parlato al Telegraph nei giorni scorsi, durante il torneo ITF di Southsea (in cui si è arresa a Jennifer Brady) mamma Milena e il suo agente si aggiravano nei paraggi, preoccupati dalla piega che avrebbe potuto prendere la chiacchierata.

"CHIEDETE PURE, MA IO NON CI PENSO PIÙ"
Ma è la stessa Taylor a non scappare dall'argomento: sa che si tratta di una notizia di rilievo, specialmente per gli standard della stampa britannica. Però le sue risposte non ammettono repliche: “Ognuno può dire quello che vuole: non scapperò dalle domande sull'argomento, ma quel periodo riguarda il passato. Non mi distrae più. Mi sto solo concentrando su quello che devo fare, fuori e dentro dal campo”. Quando le hanno chiesto se poteva esserci qualche disegno criminoso dietro il suo avvelenamento, è abbastanza tranciante. “Onestamente non ci penso. Non è stato bello finire in ospedale, ma mi ha spinto a lavorare ancora più duramente e a concentrarmi sui miei obiettivi. Adesso non ci penso più: la gente può continuare a farmi tutte le domande che vuole, ma la risposta sarà sempre la stessa: voglio andare avanti e mi sto concentrando sui miei obiettivi”. Il primo scoglio da superare riguarda Wimbledon, un delicato match contro la stellina Eugenie Bouchard, che la britannica sostiene di affrontare “senza pressione”. Quest'anno la Taylor è cresciuta notevolmente, vincendo tre tornei ITF e scalando circa 150 posizioni. Oggi è numero 175 WTA. Per ottenere certi risultati ha fatto una scelta di vita piuttosto simile a quella di Andy Murray: circa quindici anni fa, lo scozzese si è formato a Barcellona, presso l'accademia di Emilio Sanchez e Sergio Casal. Ha scelto la Catalogna anche la Taylor, figlia di un inglese e di una bulgara. I genitori si sono incontrati a Plovdiv, in Bulgaria, dove il padre si trovava per lavoro. A seguirla c'è Xavi Budo, l'uomo che aveva portato tra le top-10 Carla Suarez Navarro. A completare il team, David Sunyer.

QUEL DESIDERIO DI BAMBINA
“Mi hanno aiutato a cambiare la mia mentalità – racconta – grazie a loro competo molto più duramente e ho trovato il mio miglior tennis. Il tennis è uno sport mentale al 90%. Devi concentrarti molto su questo aspetto, non solo su quello tecnico. È la cosa più importante". Le hanno inculcato i fondamenti della scuola spagnola: attenzione, concentrazione e disciplina. D'altra parte, è una predestinata. Fu notata per la prima volta quando aveva 4 anni, mentre dopo aver vinto un torneo regionale ad appena 7 anni di età fu invitata a Trafalgar Square per partecipazione a un'esibizione con Boris Becker e Tim Henman. Nei meandri della rete si trova ancora traccia di quel video, in cui una bambina di sette anni sussurra alla telecamere che le piacerebbe vincere Wimbledon. “È stato il primo momento importante della mia vita – racconta – da allora, desidero di diventare la migliore tennista possibile, magari tra le prime 10. O magari numero 1!”. Intanto ha raccolto la prima convocazione in Fed Cup per la sfida in Giappone. Un'esperienza “magica” che però non si è concretizzata con l'esordio. Per il doppio, le sono state preferite Johanna Konta ed Heather Watson. “È stato comunque fantastico, anche perché in allenamento ho giocato alla pari con la Konta”. Una scena ben diversa rispetto al calvario di due anni fa, quando “grandi pezzi di carne” si staccavano dai suoi piedi durante il periodo trascorso in ospedale. “L'ho pagata, ma ho ricominciato daccapo. Sono più forte fisicamente, e anche come persona. Sono ancora giovane. Tutto questo è soltanto l'inizio”.