Una volta gli hanno chiesto quale fosse il suo torneo preferito. Radu Albot ha risposto senza esitare: non ha scelto uno Slam, ma il piccolo torneo di Antalya. Nella città turca, il moldavo ha raccolto 12 dei suoi 14 titoli Futures. Il suo affetto è dettato dalla riconoscenza, anche perché una decina di giorni fa raccoglieva un durissima sconfitta proprio sull'erba turca, perdendo al primo turno delle qualificazioni contro il carneade Ergi Kirkin. Forse oggi avrà nuove preferenze, dopo aver festeggiato il terzo turno sui prati di Wimbledon. Lo aveva già azzannato allo Us Open, ma ai Championships è un'altra cosa. È rimasto in campo per quattro ore e mezza contro Aljaz Bedene, lo sloveno che per qualche anno ha rappresentato la Gran Bretagna nella speranza di esordire in Coppa Davis. Quando ha capito che i regolamenti ITF non gli avrebbero dato scampo (aveva già rappresentato la Slovenia), ha fatto marcia indietro con la speranza di giocare le Olimpiadi di Tokyo. E a Londra, dove lo avevano adottato, è tornato ad essere un giocatore qualsiasi. Ben diversa la storia di Albot, fedelissimo alla sua Moldavia. Accanito lettore, è uno dei ragazzi più interessanti del circuito ATP. Conosce a memoria le biografie di tanti sportivi, non soltanto quella di Andre Agassi. Per esempio, ha letto la storia dei Quattro Moschettieri di Francia (Lacoste, Cochet, Borotra e Brugnon) ed è un vivo appassionato di psicologia, tanto che l'ultimo libro letto è proprio su testo sul tema, “Mindset”. Non c'è da stupirsi, visto che nella sua Moldavia ha preso un master in psicopedagogia. “L'ho scelta perché è una materia correlata al tennis – racconta – è uno sport che richiede calma, pazienza e la capacità di leggere le intenzioni altrui”. Numero 98 ATP, viene da una stagione a più facce: al New York ha battuto per la prima volta un top-20 ATP (John Isner), poi è piombato in una crisi senza fine. Ha perso 12 delle successive 14 partite. Ma a Wimbledon si sta riprendendo tutto, con gli interessi. Una striscia negativa, per quanto lunga, non può scalfire un ragazzo che ha conosciuto ostacoli e difficoltà importanti. Perché un conto è nascere in Francia, negli Stati Uniti, o anche in Italia. Un conto è venire al mondo a Chisinau, due giorni dopo che migliaia di persone avevano preso a picconate il Muro di Berlino. Quel giorno, la Moldavia faceva ancora parte dell'Unione Sovietica.
ORGOGLIO MOLDAVO
Quando Radu aveva due anni, lo sgretolamento dell'URSS ha quasi costretto la Moldavia ad accogliere un'indipendenza per cui non era preparata. Da una parte l'influenza russa, dall'altra una forte vicinanza alla cultura rumena lo hanno reso un paese strano. L'identità nazionale è forte, anche se la lingua ufficiale è il rumeno. E oggi c'è una corrente europeista che vorrebbe l'annessione a Bucarest per entrare nella Comunità Europea. “Il rumeno è la mia prima lingua – aveva detto al Roland Garros, rispondendo a un giornalista che gli aveva chiesto se lo conoscesse – mi sa che sei straniero… “. Diventare un tennista in Moldavia era molto complicato: non c'erano maestri, tradizioni, punti di riferimento. Ma il piccolo Radu, iniziato al tennis da papà (impiegato al Ministero degli Interni) è stato l'apripista. Fino ai 14 anni di età è rimasto a Chisinau, poi si è trasferito in Germania. Qualcuno ha creduto in lui, offrendogli qualche lezione gratis che lui ha ripagato diventando il miglior Under 16 d'Europa. “Sono andato avanti grazie ai miei genitori e al loro sostegno, soprattutto quello economico – dice Albot – sono orgoglioso di essere il primo moldavo di buon livello e spero che i bambini del mio paese seguano le mie orme, e che magari qualcuno sia più bravo di me”. La Moldavia (o Moldova, anche se l'Accademia della Crusca preferisce la prima soluzione: assecondare la scelta linguistica del governo sarebbe come chiamare “Espana” la Spagna o “Deutschland” la Germania) ha 3,5 milioni di abitanti ed è difficile trovare qualcuno con notorietà internazionale. Se chiediamo ad Albot, individua in Nicolae Juravschi la persona più popolare del paese. Si tratta di un'ex medaglia d'oro olimpica nel kajak, attuale presidente del Comitato Olimpico Nazionale. Nella cultura mainstream, le figure più importanti sono stati gli O-Zone, gruppo musicale attivo a cavallo degli anni 2000, interpreti della famosissima “Dragostea Din Tei”, che poi avrebbe sfondato in Italia grazie alla versione di Haiducii (starlette rumena che stava cercando fortuna nel nostro paese). La canzone fu oggetto di forti polemiche: la casa discografica italiana non aveva chiesto il permesso per la cover, così gli O-Zone si affrettarono a ristamparla e a spopolare in tutta Europa… arrivando fino al Giappone. In alcuni paesi, in pieno delirio da tormentone, le classifiche dei singoli più venduti videro nelle primissime posizioni sia la versione originale che quella di Haiducii. La vendita di milioni di dischi fece desistere gli O-Zone dai propositi di denuncia per plagio.
APRIPISTA
In quegli anni, Albot costruiva la sua carriera di ottimo junior, vagabondando per l'Europa e rifiutando una borsa di studio per gli Stati Uniti. Era convinto di sfondare col tennis, volle darsi una chance. Per anni ha sgomitato nei tornei Futures, viaggiando qua e là, ma non ha mai tradito la sua Moldavia. Non ha cambiato residenza e, in futuro, spera di inaugurare un'accademia che possa dare ai giovani le possibilità che lui non ha avuto, artigliate all'estero. La sua tenacia è stata premiata con qualche anno di ritardo. Primo moldavo a vincere un Challenger (ne avrebbe intascati altri cinque), primo a giocare uno Slam, primo tra i top-100 ATP… e adesso è il primo ad andare così avanti a Wimbledon. Al terzo turno pescherà il vincente di Isner-Bemelmans. Fosse l'americano, scenderebbe in campo con le memorie positive della vittoria a New York. Per continuare a sognare quel posto tra i primi 60-70 del mondo che rappresenta il limite per vivere bene grazie alla racchetta. “Per ora non guadagno niente – diceva qualche anno fa, quando veleggiava tra i top-200 – però vado avanti, posso dire di essere un sopravvissuto”. Non si è mai arreso ed è un buon esempio da seguire, anche se qualche anno fa fu sfiorato alla lontana da sospetti di mach-fixing insieme ad altri quattro giocatori. Nel 2013, alcuni scommettitori in Romania raccolsero 500.000 euro scommettendo (in combinato) tra cinque partite, tra cui quella persa da Albot contro Joao Sousa a Poznan. Difficile incolpare il moldavo, che partiva nettamente sfavorito, e comunque finì tutto in un nulla di fatto, nonostante il coivolgimento dell'Interpol. Albot ha continuato a crescere, prendendosi anche una bella rivincita su Sousa, battendolo in Coppa Davis al termine di una battaglia di cinque ore. Nel torneo delle sorprese, in cui le teste di serie vanno giù come birilli (lui ha contribuito, battendo Pablo Carreno Busta al primo turno), la bella favola del moldavo merita di essere raccontata, anche perché è uno dei pochi tennisti a interagire senza filtri con il pubblico. Per farlo ha scelto Reddit, il social network creato da Alexis Ohanian, marito di Serena Williams. Circa un anno fa, Radu si è reso disponibile per rispondere a qualsiasi tipo di domanda. Lo hanno bombardato di richieste e lui, per un bel po', ha soddisfatto le curiosità di tutti. Come racconta un proverbio giapponese, se nessuno non ha mai fatto qualcosa, è un ottimo motivo per essere il primo a provarci. Forse Radu Albot lo conosceva, o forse aveva soltanto il feroce desiderio di arrivare. Grazie a lui, la Moldavia è entrata nella geografia del tennis. E nel momento della sua massima popolarità, a 12 anni dallo scioglimento, gli O-Zone sono tornati insieme.