La curiosa rivalità tra John Isner e Kevin Anderson. Si sono affrontati undici volte da professionisti, ma ancora prima nei Campionati NCAA. Nelle finali del 2007, mentre Federer stoppava la striscia vincente di Nadal sulla terra, si sfidavano in un clima da stadio ad Athens. Undici anni dopo, si ritroveranno sul campo più elegante del mondo.

Il 22 maggio 2007 era una domenica. Quel giorno, Roger Federer metteva fine alla striscia vincente di Rafael Nadal sulla terra battuta. Dopo 81 vittorie consecutive, Rafa si arrendeva nella finale del Masters 1000 di Amburgo. A una decina di ore di volo, tuttavia, succedeva anche altro. Il Dan Magill Tennis Complex di Athens, Georgia, ospitava le finali del Campionato NCAA americano. Una cosa seria, sentita oltre misura, mica come la baracconata estiva chiamata World Team Tennis. Da una parte i padroni di casa dell'Università della Georgia, dall'altra l'Università dell'Illinois. Ad aprire la sfida, in un clima da stadio, i numeri 1 delle rispettive squadre: John Isner e Kevin Anderson. Vinse l'americano 6-1 7-6, dando il là al successo dei “Bulldogs”. In quei giorni, oltre 20.000 persone affollarono le tribune della University of Georgia (21.474, secondo il referto ufficiale). Gente a torso nudo, cappelli da cowboy, birre scolate come acqua, volti e corpi dipinti con i colori delle squadre e i nomi dei protagonisti. Posti liberi, neanche per idea. Non è facile giocare in un clima del genere, ma se ci riesci ti costruisci una corazza mica male. Non puoi avere paura di niente, nemmeno del Centre Court di Wimbledon: undici anni, un mese e ventidue giorni dopo, John Isner e Kevin Anderson si ritroveranno sul campo più prestigioso del mondo. Nessuno, davvero nessuno, avrebbe immaginato di ritrovarli così in alto. Qualcuno si è già tappato il naso, qualcun altro ha detto che – con l'eliminazione di Federer – il torneo è già finito. Snobismi poco interessanti, irrispettosi per le carriere del sudafricano e dell'americano. E poi c'è l'affascinante passato comune, in una realtà così distante da quella ingessata di Wimbledon. Subito dopo il campionato a squadre, si giocò quello individuale. Isner arrivò in finale, perdendo al tie-break decisivo contro Somdev Devvarman in un clima infuocato (e in TV su Tennis Channel). In semifinale, l'indiano aveva battuto Anderson 7-6 5-7 6-3. Oggi Devvarman è un ex giocatore, con un best ranking al numero 62. Ha smesso da due anni e mezzo: chissà cosa penserà, nel vedere le sue ex vittime giocarsi la finale di Wimbledon.

UN GRANDE SPOT PER IL COLLEGE
In quel tabellone c'erano altri personaggi che avrebbero avuto un futuro: Dani Vallverdu, attuale coach di Grigor Dimitrov; Robbye Poole, che qualche anno dopo sarebbe diventato sparring partner di Serena Williams; l'azzurro Luigi D'Agord, figlio di un italiano, nato alle Bahamas, che nel 2009 fece il professionista per qualche mese vincendo cinque tornei e arrivando a giocare le qualificazioni dello Us Open. Si sarebbe ritirato subito dopo; i futuri top-100 Jesse Levine e Oleksandr Nedovyesov; il futuro (ottimo) doppista Ken Skupski. “Il College è stato il luogo perfetto per arrivare dove sono adesso – ha detto Isner dopo il successo contro Raonic – se non fossi andato all'Università, oggi non sarei qui. Non ho mai pensato di diventare professionista subito dopo le scuole superiori. Per fortuna, ho azzeccato tutte le scelte. La prima è stata quella di andare all'Università della Georgia, godermi ogni attimo e migliorare come giocatore e come persona. Sono maturato molto. Il coach Manuel “Manny” Diaz mi ha preparato perfettamente per quello che sarei diventato”. Se Isner è diventato uomo in quegli anni, Anderson ha sfruttato il periodo in Illinois per conoscere la sua futura moglie Kelsey, ormai diventata un personaggio mainstream. Anni fa aveva aperto un blog per raccontare la carriera di una moglie di un giocatore professionista. Ai tempi dell'Università giocava a golf, poi avrebbe potuto intraprendere la carriera di contabile, ma ha scelto di mollare tutto e fare la moglie di professione, anche se lei ama definirsi parte integrante del “Team Anderson”. In effetti, qualche anno fa, insieme al marito hanno aperto il progetto Real Life Tennis: con una spesa di qualche decina di dollari, tutti possono ricevere i consigli di Kevin Anderson per migliorare il proprio tennis. Con i risultati degli ultimi mesi, è probabile che il progetto possa decollare. Isner ha impiegato qualche anno in più per mettere a posto la sua vita privata: lo scorso dicembre si è sposato con Madison McKinley e a settembre nascerà la loro primogenita, una bambina. Queste storie si incroceranno venerdì pomeriggio e tanto basta per rispettare – o almeno non guardare con sufficienza – il loro match. “Credo che l'aspetto mentale influirà – sostiene Isner – dico così perché la nostra rivalità è iniziata ancora prima della carriera nel tour. Ci siamo affrontati nel College tre, quattro, cinque volte. E poi diverse volte nel circuito. Ci ritroviamo uno contro l'altro da 14 anni, perché lui ha lasciato Illinois esattamente quando ho lasciato la Georgia. Per me è una sfida speciale, e sono convinto che sarà così anche per lui. E credo che sia uno spot straordinario per il college: uno di noi giocherà la finale di Wimbledon”.

IL KIT KAT PORTAFORTUNA
Su un punto, i critici hanno ragione: non sarà un match spettacolare. Il rendimento dei due, soprattutto quello di Isner, dipende molto dal servizio. E se John si aspetta un match equilibrato, Anderson dice: “Credo che Isner abbia uno dei migliori servizi di sempre. Negli ultimi mesi vanta una grande percentuale di prime palle. Dopo il suo successo a Miami, osservandolo in partita e in allenamento, si capisce che ha acquisito la fiducia necessaria per giocare più tranquillo da fondocampo. Contro di lui, come prima cosa, bisogna prestare massima attenzione ai propri turni di servizio. È un match che solitamente viene deciso da pochi punti. Inoltre, essendo così potente, non si può esagerare nel palleggio. Bisogna essere aggressivi”. Anderson parla molto, dice cose sensate e intelligenti. Ascoltando le sue parole, si capisce perché ha saputo conquistare i top-10 e perché sia un legittimo aspirante alle ATP Finals. Però è noiosetto, non scherza mai, è sempre concentrato su quello che fa. “Quando ho raggiunto la finale allo Us Open ero felice e sollevato – racconta – ma non mi ero dato, io per primo, grandi chance di vittoria. Ho imparato la lezione e adesso scendo in campo sempre con grandi aspettative. Per quanto sia contento, sto facendo un buon lavoro in prospettiva. Mi spiego: spero di giocare altri due match. Sono concentrato su questo, meno sul fatto di aver battuto Federer”. Ammirevole. Però è più divertente ascoltare Isner, che è sbarcato a Londra con una settimana d'anticipo rispetto al torneo, volando direttamente da Dallas. Allenamento leggero appena atterrato a Londra, poi la rivelazione: i campi non erano troppo veloci. “In passato, erano troppo rapidi per me. Stavolta sono eccellenti”. Ma il suo portafortuna londinese sono – pensate un po' – delle barrette di cioccolato. Quando gli hanno chiesto se si sta alimentando meglio che in passato, ha detto: “Ehm, prima di venire a parlare con voi ho mangiato un Kit Kat – ha detto, sorridendo – giuro che è vero. Avevo voglia di un po' di zucchero. Non è normale per me, ma in questi 10 giorni, dopo ogni vittoria, mi sono mangiato un Kit Kat. Non cambierò certo adesso. Per il resto, da quando ho capito quanto sia importante la nutrizione, mangio molto bene. Non mangio molta pasta, non mangio mai la pizza o cose malsane. Metto ottimo carburante nel mio corpo”. Saranno contenti i responsabili della Nestlè, casa produttrice del Kit Kat. Fossimo in loro, chiederemmo a Isner di fare da testimonial. D'altra parte, qualche anno fa aveva pubblicizzato – unico tennista di sempre – cibo per cani. Sicuramente era più adatto di Anderson.