Prima di questa semifinale, Novak Djokovic e Rafael Nadal avevano giocato una montagna di partite (973 il serbo, 1095 lo spagnolo). Eppure, le 14 ore dopo la sospensione di venerdì sera, sotto il tetto di un Centre Court non bombardato dalla pioggia ma chiuso per ragioni di (discutibile) regolamento, non devono essere state semplici. C'era troppo in palio, in questa grande semifinale di Wimbledon. Non solo i punti, non solo la gloria, ma anche il ruolo di favorito nella finale di domani. E il vantaggio che Djokovic si era costruito venerdì notte è evaporato alla svelta, in un quarto set che Nadal ha giocato con lo spirito dell'arrembaggio. Il match è ripreso alle 13.10 locali e lo spagnolo ha avuto bisogno di un quarto d'ora per tenere il suo primo turno di battuta. Sembrava il preludio a un'altra maratona infinita, ma è stato così soltanto in parte. Rafa e Nole hanno ripreso da dove avevano terminato: malmenandosi da fondocampo, ma con cervello. Entrambi cercavano il varco giusto per affondare, essere aggressivi. Djokovic aveva una spinta propulsiva leggermente superiore, ma ce l'ha nel DNA. Nadal scappava via (3-0), Nole lo riacchiappava sul 3-3, ma Rafa trovava la forza di trovare un altra serie di tre game consecutivi. Era particolarmente bravo nel nono game, in cui rimontava da 0-40 e sigillava i cinque giochi consecutivi con un ace centrale, sigillato da occhio di falco. Archiviata un'altra ora di tennis, due set pari e palla al centro. Non così usuale, tra i due: è stata soltanto la terza volta in cui hanno giocato un quinto set dopo Australian Open e Roland Garros 2012, con un successo per parte. Il quinto set era la prova definitiva per testare la forza mentale di Djokovic, il quale non giocava un match così importante da due anni.
NOLE METTE DA PARTE "AMOR Y PAZ"
C'è stata lotta vera, intensa, emozionante. A differenza del giorno prima, in cui Isner non aveva saputo sfruttare la possibilità di servire per primo, Djokovic ha trovato la zampata decisiva al diciottesimo game dopo aver tribolato all'infinito sul 4-4 e soprattutto sul 7-7, quando ha cancellato (alcune da campione) cinque palle break a Nadal. Era sull'orlo del baratro: avesse incassato il break, probabilmente avrebbe perso la partita. Sia pure spalmata su due giorni, la sfida è durata 5 ore e 15 minuti: cifra che fa meno impressione se relazionata alla prima semifinale, ma ugualmente notevole. Djokovic ha radunato le emozioni vissute anni fa, ha attivato la memoria a lungo termine, e si è ricordato che un match del genere si può decidere su un singolo colpo, che sia un servizio, un dritto, una volèe. È la qualità che separa i campioni dai grandi giocatori, e Nole è un campione. Aveva perso un po' di abitudine, oltre ad avere di fronte un avversario che gioca ogni punto come se fosse l'ultimo. Ma nel quinto set è stato grande. Avrebbe potuto vacillare, rinunciare a combattere, invece ha scelto di darsi sempre una chance in più. Lo ha fatto in vari modi, anche lamentandosi vistosamente dopo alcuni errori (con tanti saluti al concetto di “Amor y Paz”, coinciso col peggior momento della sua carriera). Questa rabbia interiore gli ha permesso di tenere l'epico game del 7-7. Il break decisivo era l'ovvia conseguenza. “Avrebbe potuto andare in qualsiasi modo – ha detto Djokovic – era chiaro che fossimo separati da pochissime cose. In sostanza, fino all'ultimo colpo non sapevo chi avrebbe vinto. Ci credevo, ma sapevo che Rafa era molto vicino, infatti ha avuto le sue chance. Queste sono le partite per cui lavori, per cui vivi”. Ne giocherà un'altra, tra meno di 24 ore.
WIMBLEDON UOMINI – Semifinale
Novak Djokovic (SRB) b. Rafael Nadal (SPA) 6-4 3-6 7-6 3-6 10-8