Come nei suoi anni d'oro, Novak Djokovic vince da dominatore un torneo complicato: superato Nadal in una grande semifinale, tiene a distanza un orgoglioso Kevin Anderson e si aggiudica il suo tredicesimo Slam, il quarto a Wimbledon. L'immagine-simbolo del suo trionfo è la presenza del figlio Stefan a bordocampo.

Basterebbero tre parole per raccontare la finale di Wimbledon 2018: “Ritorno al Passato”. Osservando il 6-2 6-2 7-6 con cui Novak Djokovic ha seppellito le ambizioni di Kevin Anderson, è parso di tornare indietro di qualche anno, quando certi successi erano gioiosa routine per il serbo. Anzi, contro lo stesso avversario aveva rischiato grosso nel 2015, quando perse i primi due set negli ottavi di finale. Le vicende degli ultimi giorni hanno apparecchiato l'esito di una partita che non passerà alla storia per qualità e incertezza, anche se il sudafricano avrebbe meritato di vincere almeno un set. Le fatiche fisiche (ma soprattutto mentali) dei quarti contro Federer, e della semifinale contro John Isner, gli hanno impedito di rendere al massimo. Due parziali-fotocopia, con break al primo e al quinto game a sigillare un doppio 6-2. Un doppio fallo nel primo game indirizzava il primo set, e per Nole si metteva subito in discesa. Altro break in avvio di secondo (rovescio che ha centrato gli ultimi centimetri del campo, costringendo Anderson all'errore) e tanti saluti all'incertezza. Come detto, Kevin Anderson ha sperato fino all'ultimo di dare un senso alla finale. C'è andato vicino nel terzo set, procurandosi ben cinque setpoint (due sul 5-4, tre sul 6-5) prima di arrendersi al tie-break. “I primi due set sono stati pessimi, ma per tutto il torneo ho fatto del mio meglio – ha detto Anderson – sarebbe stato bellissimo arrivare al quarto set, ma Novak è un autentico campione del nostro sport”. "Nel terzo set, Kevin è stato il miglior giocatore in campo – ha ammesso Djokovic – sono stato fortunato a chiudere ugualmente"

"DADDY, DADDY!"
Pochi minuti dopo, abbiamo visto le stesse scene di qualche anno fa. Nole che bruca l'erba, la mangia, come a riprendersi simbolicamente quello che aveva perduto. Ritorno al passato, dicevamo, ma nel suo box c'era qualcosa di nuovo: il piccolo Stefan, primogenito di Nole e della moglie Jelena. “È la prima volta che qualcuno mi urla 'papà, papà!' – ha detto Nole con un sorriso a 32 denti che provava a mascherare la commozione – forse non potrebbe stare in tribuna perché non ha ancora cinque anni, ma sono felice che possa essere lì”. E allora questo è il Wimbledon della maturità, di un nuovo Djokovic che torna a vincere qualcosa di importante dopo due anni di digiuno (se escludiamo il piccolo torneo di Eastbourne). I segnali della rinascita c'erano tutti, anche se pochi pensavano che il successo sarebbe arrivato così presto. Eppure, partita dopo partita, ha trovato un rendimento sempre migliore. La vittoria contro Nadal in un'epica semifinale gli ha fatto capire di essere ancora in grado di vincere partite importanti. Una consapevolezza che ha cancellato l'ovvia fatica per aver speso oltre cinque ore in campo, sia pure spalmate su due giorni. Con la classifica al numero 21 ATP (che però diventerà 10 tra poche ore), Djokovic diventa il peggio classificato a vincere Wimbledon dai tempi di Goran Ivanisevic, nella storica edizione del 2001. Capita raramente che la finale sia il match più bello del torneo: Wimbledon 2018 ha rispettato questa legge non scritta: i fatti degli ultimi giorni hanno pesantemente condizionato una giornata resa complicata dal caldo, con quasi 40 gradi a bruciare l'erba del Centre Court.

DUBBI SPAZZATI VIA
Con questo successo, Djokovic intasca lo Slam numero 13, portandosi a una sola lunghezza da Pete Sampras. Viene da domandarsi come sarebbe la classifica dei plurivincitori Slam se non avesse buttato via – tra infortuni e scelte azzardate – gli ultimi otto Major. Per intenderci, quando vinse il Roland Garros 2016, Federer era a 17, Nadal a 14 e lui a 12. Da allora, Rafa e Roger ne hanno vinti tre a testa, creando un distacco ormai incolmabile. “Ho avuto la necessità di aver fiducia nel mio processo – ha detto Djokovic – ci sono stati momenti difficili, in cui ho dubitato se sarei tornato ai livelli di un tempo. È bellissimo farlo qui, nel tempio del tennis, dove tutto è speciale e dove ho sempre sognato di vincere”. A 31 anni compiuti un paio di mesi fa, è (molto) difficile che possa agganciare i mostri sacri di cui sopra, ma la buona notizia è che il tennis espresso in queste due settimane possiede ancora discreti margini di miglioramento. Del Djokovic di un tempo è tornata l'intensità mentale, mentre la perfezione tecnica non è ancora raggiunta. Un successo meritato, reso ancora più dolce dalla presenza del figlio, proprio come lo scorso anno Roger Federer aveva trovato i suoi quattro bambini durante la premiazione. Nole avrà una motivazione in più: vincere ancora su questi prati, magari tra qualche anno, quando anche la secondogenita Tara (nata lo scorso settembre) potrà ammirarlo da vicino e rendersi conto di avere un papà campione. Intanto, il tennis lo ha riaccolto a braccia aperte. E pensare che, dopo la sconfitta parigina contro Cecchinato, aveva messo in dubbio la sua partecipazione a Wimbledon. A volte basta poco per cambiare la storia.

WIMBLEDON UOMINI – Finale
Novak Djokovic (SRB) b. Kevin Anderson (SAF) 6-2 6-2 7-6

GRANDE SLAM – I PLURIVINCITORI
Roger Federer – 20
Rafael Nadal – 17
Pete Sampras – 14
Novak Djokovic – 13
Roy Emerson – 12
Bjorn Borg – 11
Rod Laver – 11
Bill Tilden – 10
Fred Perry – 8
Ken Rosewall – 8
Jimmy Connors – 8
Ivan Lendl – 8
Andre Agassi – 8