Non ci fosse stato un criminale di nome Gunther Parche, il tennis femminile avrebbe avuto un'altra storia. Quel maledetto 30 aprile 1993, quando fu vigliaccamente accoltellata alla schiena, Monica Seles aveva appena 19 anni. Nel suo palmares c'erano già otto titoli del Grande Slam: quanti ne avrebbe vinti ancora? E quanti ne avrebbe tolti a Steffi Graf, sua principale avversaria? La ferita fisica si è rimarginata abbastanza in fretta (fortunatamente, il coltello non lesionò organi vitali), mentre quella psicologica ha impiegato moltissimo tempo, ben più dei due anni e mezzo necessari per tornare a giocare. Oggi Monica è una donna di 44 anni e, come recita la traduzione italiana del titolo della sua autobiografia, “ha ripreso il controllo” della sua vita. Ma è stato un percorso lungo e complesso, che l'ha portata a vivere tante sfide interiori. Capita spesso che venga invitata come relatrice in qualche conferenza in giro per il mondo. È successo anche ieri a San Josè, dove è intervenuta in un seminario in cui si è parlato della vittoria: non solo nello sport, ma anche nella tecnologia e negli affari. Se la Seles di oggi potesse parlare con la 16enne di trent'anni fa, proverebbe a farle capire che il tennis non è tutto. “Nello sport sei conosciuto esclusivamente per il tuo ultimo risultato – dice la Seles – se Serena non vince uno Slam, è come se avesse fallito. Eppure è diventata madre meno di un anno fa. Quando giocavo, mi capitava di pensare: 'Oddio, non ho vinto quel torneo'. Perdevo 1-2 partite all'anno e nel mio cervello era una catastrofe. Non mi rendevo conto che era solo una partita di tennis. Non avrei dovuto considerare tutto bianco o nero. È il migliore consiglio che oggi potrei darmi”. Il rientro non fu facile: la freddezza delle colleghe (salvo qualche lodevole eccezione) sdoganò il clima che serpeggiava nello spogliatoio WTA. Giocò benissimo il primo Slam dopo il rientro (Us Open 1995, perdendo una grande finale contro la Graf), avrebbe vinto l'Australian Open successivo, ma sarebbe rimasto il suo ultimo successo Slam. Non sarebbe più stata la stessa. “Monica è stata ingannata, tutti siamo stati ingannati” ha detto Martina Navratilova, una di quelle che l'avevano appoggiata – per davvero – nel momento più difficile. Un'altra delle poche a starle vicino fu Gabriela Sabatini.
PERCHÈ NON È PIÙ STATA LA STESSA
Monica ha ricordi nitidi di quel periodo: l'accoltellamento l'ha cambiata, le ha fatto capire di essere una persona con le sue fragilità, costringendola a guardare le cose in un'altra prospettiva. Il suo incidente era atipico, una novità assoluta nel mondo dello sport. Non aveva nessuno a cui rivolgersi per chiedere consigli, suggerimenti, o anche soltanto un po' di conforto. “Non volevi avvicinarti alle altre giocatrici, non si sviluppavano amicizie nel tour, non volevi dare nessun vantaggio alle altre” ricorda oggi, descrivendo l'ambiente di allora. E così, ragazzina di appena 19 anni, dovette combattere con cicatrici fisiche ed emotive. “Un attimo prima ero in cima al mondo, l'attimo dopo ero in ospedale”. Si prese tanto tempo libero, come non era mai successo a un'atleta all'apice della carriera. È tornata e ha giocato per altri sette anni, ma non è più stata la stessa. A suo dire, ci sono varie ragioni per questo. In primis, la ribellione del suo corpo. All'improvviso, non le consentiva di mantenere i carichi di allenamento di prima dell'incidente. E poi, il fatto che Gunther Parche fosse sfuggito alla giustizia con una sentenza vergognosa (gli fu concessa la libertà vigilata). Fattori che l'hanno spinta a cadere nella fame nervosa, sfociata in un disordine alimentare piuttosto evidente. Avendo acquistato parecchio peso a causa di problemi alimentari, l'arrivo di una generazione di giocatrici che sembravano star di Hollywood (Anna Kournikova avrebbe sdoganato il concetto di tennista-modella, poi sublimato da Maria Sharapova, capace di gonfiare il conto corrente più con i servizi fotografici che con i risultati), la mise in grande difficoltà. “Dovevi essere bella anche sul campo da tennis – dice la Seles – in quegli anni, lo sport stava iniziando a cambiare. Ci fosse stato un riferimento come Serena Williams, tornata competitiva dopo il parto, sarebbe stato un vantaggio”. Invece la società – e di conseguenza il tennis – stava virando più sull'immagine che sul contenuto.
LIBRI E PASSIONE
All'inizio degli anni 2000, gli infortuni hanno iniziato a prendere il sopravvento. “Quando mi presentavo in conferenza stampa, mi facevano sempre le solite due domande: quando avrei perso peso, e quando mi sarei ritirata”. Oggi, difficilmente una pressione psicologica di quel tipo sarebbe tollerata. Nel 2003, a 10 anni dai fatti di Amburgo e ancora prima di compierne 30, fu costretta a ritirarsi. Per la prima volta si è resa conto di desiderare qualcosa anche al di fuori del tennis. “Fino ad allora, la mia vita era stata monodimensionale e un po' malsana”. La morte dell'amato papà Karoly l'ha spronata a cercare vie alternative, a prendere in mano la sua vita, a cambiare mentalità. Ha iniziato a scrivere. Paradossalmente, ha iniziato a perdere peso dopo il ritiro. La fame emotiva era scomparsa nel momento in cui non doveva più rispettare la routine di una professionista. E così ha sentito il bisogno di condividere la sua vicenda. La storia di una ex bambina, diventata professionista a 15 anni. In realtà, Monica non pensava di pubblicare il suo lavoro. Tuttavia, dopo essersi consultata con un'agente, ha parlato con un amico editore che l'ha convinta a mostrare il manoscritto. “Non hai niente da perdere” le disse. Il risultato fu una delle migliori autobiografie mai scritte da una tennista: nel 2009 è uscita “Getting a Grip: On My Body, My Mind, My Self”. Come detto, in Italia l'hanno titolata con l'efficace “Ho ripreso il controllo”. Il successo l'ha convinta a reinventarsi come scrittrice, pubblicando un paio di romanzi. L'esperienza le ha permesso di uscire dalla monodimensionalità del tennis e costruirsi una vita a tutto tondo. Però – e questo è l'ultimo consiglio dato a chi l'ascolta – non ha mai perso la passione per il gioco. Quando ha cercato di tornare dopo l'accoltellamento, lo ha fatto solo per passione. Il suo unico desiderio era tornare a colpire la pallina. “Oggi il tennis è diventato un grande business – dice Monica – invece devi giocarci perché lo ami, perché ti piace colpire la pallina gialla”. La frase sarà meno solenne dei versi di “If” che troneggiano all'ingresso del Centre Court di Wimbledon, ma andrebbe scolpita in qualsiasi circolo, magari all'ingresso dei campi delle scuole tennis. Nonostante tutto, la passione è ancora il motore del mondo. Parola di Monica Seles.