Seconda puntata del nostro avvicinamento all'Annual General Meeting ITF, che stabilirà il futuro della Coppa Davis. Vista la sostanziale indifferenza dei media e l'agio comunicativo con cui la federazione internazionale sta portando avanti il suo disegno, noi proviamo a raccontarvi qualche storia per far capire che cosa scomparirebbe se la riforma dovesse essere approvata. Dopo il miracolo dell'Ecuador di Lapentti, vi raccontiamo l'incredibile vittoria dello Zimbabwe in Australia. Un successo maturato (è proprio il caso di dirlo…) in un campo circondato da banani…
Da giovane, Don Black aveva avuto l'opportunità di giocare contro Roy Emerson e Rod Laver. Aveva capito, sin da ragazzino, cosa significasse affrontare e battere le leggende australiane. Lui non ce l'aveva fatta, ma decise che ci avrebbe provato con i figli. Prima sono arrivati Byron e Wayne, poi Cara. Negli anni 80, proprietario di un terreno di 25 acri ad Harare, fece costruire cinque campi da tennis, circondati da alberi di avocado e banane. Quattro in erba, uno in cemento. Quest'ultimo serviva a giocare quando c'era troppo umido a causa della rugiada. A casa Black non si poteva saltare un solo giorno di allenamento. “Nostro padre diceva che il campo in cemento di casa nostra era l'unico al mondo circondato da banani. In effetti, se lo guardate da un paio di miglia di distanza, è piuttosto spettacolare” raccontò Byron Black ai tempi dell'impresa che stiamo per raccontare. Un'impresa che la nuova Davis, voluta e approvata dalla nuova dirigenza ITF, non ci avrebbe mai consentito di vivere. Ogni mattina, Don Black tirava giù dal letto i figli alle 5.20 del mattino, indipendentemente dalle condizioni meteo. Sono emersi tre ottimi giocatori, tutti top-100, grazie anche all'opportunità di trasferirsi negli Stati Uniti sin da giovani. E Cara Black, la più piccola, è stata fortissima in doppio. Ma la gloria tennistica dello Zimbabwe è dovuta a uno strano weekend del 1998. Forte del miglior momento in carriera di Byron e Wayne, il Paese colse per la prima volta il World Group di Coppa Davis. Non essendo teste di serie, non potevano sperare in un buon sorteggio. Ma l'urna fu particolarmente severa: l'Australia di Pat Rafter, Mark Philuppoussis e dei Woodies (Mark Woodforde e Todd Woodbridge) in doppio. Per i “canguri” era un match di routine, tanto da scegliere una sede secondaria. Mildura, infatti, si trova all'estremo nord-ovest del Victoria. Rafter aveva appena vinto lo Us Open e lo avrebbe vinto di nuovo, qualche mese dopo, in finale contro Philippoussis. Ma tra quest'ultimo e il resto della squadra non correva buon sangue. Andò a Mildura, ma non si rese disponibile. “Credo che abbiano fatto una cosa sciocca – avrebbe poi detto Byron Black – hanno fatto tutto a mezzo stampa senza parlare tra loro. Un piccolo problema è diventato grande”. Ma anche senza Philippoussis, l'Australia era nettamente favorita. Jason Stoltenberg, scelto come secondo singolarista, sarebbe stato comodamente il numero 1 dello Zimbabwe.
LA TELEFONATA IN REDAZIONE
Gli africani arrivarono a Mildura dopo un viaggio della speranza di 22 ore, con quattro scali: Harare-Johannesburg-Perth-Melbourne-Mildura. Una delegazione di una decina di persone, compresi gli unici due giornalisti al seguito: Philip Magwaka di Herald Sport e Tichanoa Sibanda di SW Radio Africa. Su un campo in erba, logicamente rovinato, il miracolo prese forma nella prima giornata quando Byron superò Pat Rafter, sigillando l'1-1 dopo la vittoria di Stoltenberg su Wayne. Al sabato, i Woodies fecero il loro dovere contro i fratelli Black. Alla domenica mattina, tuttavia, un virus mise fuori causa Rafter. Al suo posto scese in campo Mark Woodforde. E lì, il miracolo di Wayne Black: 6-3 7-5 6-7 6-4. Sul 2-2, Byron Black è sceso in campo nella condizione psicologica ideale: niente da perdere, mentre Stoltenberg aveva sulle spalle il peso di un Paese che aveva vinto l'Insalatiera per 26 volte. Black giocò il match della vita e regalò allo Zimbabwe il più bel successo di sempre. “La Davis è l'unico modo che hanno i nostri giovani di vedere un po' di tennis di alto livello – diceva Byron – non abbiamo soldi per organizzare tornei, ma la Davis ha un impatto enorme sui giovani. Tanti bambini stanno iniziando a giocare. Se sogni l'impossibile, si avvererà. Ed è quello che abbiamo fatto”. E pensare che l'incontro non fu neanche trasmesso in diretta TV. Nessuno credeva al successo, nessuno pensò di investire su una sconfitta sicura. Per questo, quando Sibanda chiamò in redazione e informò della vittoria, la notizia fu accolta con un fragoroso applauso e ben presto si diffuse in tutto il Paese. Quando Wayne sbarcò ad Harare, fu letteralmente travolto dall'affetto dei connazionali. Wayne, invece, andò a Hong Kong e giunse in finale, vincendo il doppio. Un paio di settimane dopo, a Tokyo, avrebbe fatto coppia proprio con Rafter. Intanto, nel mitico frutteto di Harare, Don Black aveva costruito un campo di calcio. Così, ogni volta che tornavano a casa, Wayne e Byron non giocavano più a tennis ma prendevano a calci un pallone. A Don, ormai, non interessava più: aveva raggiunto il suo obiettivo.
PARTE 1 – HOY YO QUIERO CANTAR / SI, SENOR, A MI LINDO ECUADOR