Ha dovuto vivere un lungo periodo di alti e bassi (“Montagne russe”, le ha definite), ma avere pazienza è sempre una buona idea: Novak Djokovic è il primo giocatore della storia a raggiungere un traguardo denominato “Career Golden Masters”, ovvero vincere almeno una volta tutti i nove tornei più importanti del tour. Se è vero che i supertornei ATP sono stati codificati soltanto nel 1990, si tratta di un'impresa molto complicata, forse anche più del Career Grand Slam che Djokovic è stato l'ultimo a ottenere (Roland Garros 2016, ottavo nella storia). Per vincere tutti i nove Masters 1000, Djokovic ha impiegato 11 anni: era testa di serie numero 10 quando, nel 2007, batteva Guillermo Canas nella finale di Miami. Era numero 10 anche oggi, nel 6-4 6-4 che gli ha permesso di vincere a Cincinnati e portare sul 24-22 il bilancio degli scontri diretti contro Roger Federer. Con 46 partite è la seconda rivalità più densa dell'Era Open, eppure non si affrontavano da due anni e mezzo. L'Australian Open 2016 aveva forse segnato il punto più alto del dominio di Novak Djokovic. Da allora, in mezzo alla crisi di Nole e alla rinascita di Roger, non si erano mai incontrati. Si sono ritrovati laddove lo svizzero aveva vinto sette volte, mentre il serbo si era incagliato per cinque volte in finale, tre contro Federer, curiosamente a distanza di tre anni l'una dall'altra (2009, 2012, 2015). Il 2018 è stato l'anno buono. E pensare che nei turni precedenti, in un torneo falcidiato dalla pioggia, aveva rischiato più del dovuto contro Milos Raonic, Grigor Dimitrov e Marin Cilic. Nei momenti clou, tuttavia, ne è sempre venuto fuori.
LA SUPERIORITÀ DI NOLE
La finale è stata la partita più semplice, 84 minuti in cui ha vinto più punti di Federer (49 a 35) negli scambi al di sotto dei 5 colpi, solitamente terra di caccia dello svizzero. Sin dai primi colpi si è avuta la sensazione che Federer fosse un po' stanco, poco “centrato” con i colpi. Annullava due palle break nel game d'avvio, ma il settimo gli era fatale. Sulla palla break pativa l'ennesima (grande) fase difensiva di Djokovic, mancando quasi del tutto un dritto di controbalzo. Il match avrebbe potuto girare in avvio di secondo, quando il pubblico faceva sentire il suo tifo per Federer, zittendo i colorati ma sparuti tifosi serbi. Roger saliva 2-0 sfruttando due gravi errori di Djokovic: un facile dritto sparato in rete sulla parità, addirittura un doppio fallo sulla palla break. Ma non era il Roger di sempre, forse imballato dal mese di inattività, forse stanco per un torneo che lo ha costretto a giocare due match in un giorno (venerdì, contro Mayer e Wawrinka). Nel game successivo, situazione-fotocopia ma a ruoli invertiti: doppio fallo sulla parità, dritto in corridoio sulla palla break. Il serbo ha mantenuto una viva concentrazione, mostrando – più che una buona condizione tecnica – un'impressionante preparazione atletica. Guarda caso, erano a Cincinnati sia il preparatore Gebhard Phil-Gritsch che il fisioterapista Ulises Badio. Federer arrancava, sbagliava troppo e adottava un serve and volley poco convinto. Ancora una volta, il game fatale era il settimo: avanti 40-0, si faceva riprendere. Sulla parità, commetteva un grave doppio fallo (grave perché la seconda palla usciva di metri), poi Djokovic lo infilava con un passante di dritto.
IL FAVORITO DELLO US OPEN
Il punto-simbolo della partita, tuttavia, arrivava nel game seguente: sulla palla del 5-3, Roger prendeva in mano lo scambio e si procurava la possibilità di tirare un facile dritto, da sopra la rete. In piena confusione tattica, sceglieva la smorzata e la palla finiva in corridoio. Pochi minuti dopo, senza particolari sofferenze, Djokovic poteva festeggiare il 31esimo Masters 1000 in carriera (a due lunghezze dal leader Nadal) ma, soprattutto, un'impresa mai raggiunta nella storia del tennis. Vincere tutti i Masters 1000 significa saper domare il cemento nordamericano, la terra battuta europea, le insidie cinesi e i campi indoor di Parigi Bercy. Non ce l'ha mai fatta nessuno: a Federer sono mancati i tornei di Monte Carlo e Roma, mentre Nadal sta vivendo con Miami un incubo simile a quello di cui Djokovic si è appena liberato a Cincinnati (cinque finali perse). Inoltre, non è mai andato oltre la finale a Parigi Bercy. In queste ore, Brad Gilbert ha diffuso via Twitter le quote con i favoriti per lo Us Open: Djokovic è passato al comando (3-1), di poco sopra a Rafael Nadal (10-3), lo stesso Federer e via via tutti gli altri (Zverev, Del Potro, Cilic e Murray). In questo strano 2018, Djokovic è passato ad essere il fantasma di se stesso per poi tornare ad annusare i piani alti. È lui, oggi, il più accreditato rivale di Rafael Nadal per chiudere l'anno al numero 1. Lo spagnolo mantiene un vantaggio rassicurante (oltre 2.000 punti), ma se il serbo dovesse imporsi a New York, la Race to London potrebbe cambiare aspetto. E in questo momento, sinceramente, Djokovic sembra leggermente avanti a Nadal. Il suo successo a Cincinnati sembra avere una valenza tecnica leggermente superiore a quello nadaliano di Toronto, sette giorni fa. Appuntamento a New York, tra una settimana. “Quando rivedrò la mia famiglia” ha detto Nole durante la premiazione, stringendo a sé il trofeo che gli era sempre sfuggito. Per questo, con un sapore ancora più dolce.
MASTERS 1000 CINCINNATI – Finale
Novak Djokovic (SRB) b. Roger Federer (SUI) 6-4 6-4
ATP MASTERS 1000 – I PLURIVINCITORI
Rafael Nadal – 33
Novak Djokovic – 31
Roger Federer – 27
Andre Agassi – 17
Andy Murray – 14
Pete Sampras – 11
Thomas Muster – 8
Michael Chang – 7
Andy Roddick – 5
Boris Becker – 5
Jim Courier – 5
Gustavo Kuerten – 5
Marat Safin – 5
Marcelo Rios – 5