Al termine di un lungo corteggiamento, Alexander Zverev è riuscito a convincere Ivan Lendl a entrare nel suo team. L'obiettivo è fin troppo chiaro: essere finalmente competitivo in uno Slam, laddove ha sempre fallito. Lendl ha già vissuto due volte l'incubo, prima da giocatore e poi da coach di Murray. Ha sempre risolto l'enigma. Farà tris con Zverev?

Benvenuto nel club”. Nella sua (bella) autobiografia, “Più dritti che rovesci”, Adriano Panatta racconta di come lo spogliatoio avesse preso di mira il giovane Ivan Lendl. Lo spilungone cecoslovacco era forte, fortissimo, ma non riusciva a vincere uno Slam. Una finale, due, tre, quattro… niente da fare. E allora, in un atto soft di nonnismo, gli imponevano di dare del lei a chi, invece, uno Slam lo aveva già intascato. Poi è arrivata una domenica di fine primavera, nel 1984, quando Ivan rimontò due set a John McEnroe nella finale del Roland Garros. Quel giorno, oltre a regalarci una delle partite più famose del ventesimo secolo, ha consegnato a Lendl la pozione magica per entrare nel club degli immortali. Ne avrebbe aggiunti altri sette, con la sola eccezione di Wimbledon. Le ha provate tutte, ma l'idiosincrasia verso l'erba di allora (quella vera) e avversari molto forti gli hanno impedito di andare oltre due finali e cinque semifinali. Insomma, Ivan il Terribile sa cosa significa trasformare le intenzioni in realtà, le delusioni in gioie, la polvere in trofei. A fine 1994 si è ritirato e per una ventina d'anni si è volutamente defilato. Sul finire del 2011, Andy Murray – uno che ama davvero il nostro sport e ne conosce la storia – ha pensato che la sua vicenda avesse qualcosa in comune con quella di Lendl. Magari Andy non conosceva la storia del “club” narrata da Panatta, ma era fin troppo consapevole delle pressioni della stampa british. E allora ha pensato che Lendl potesse dargli una mano. Non si sa come, è riuscito a convincerlo. Il resto è storia: ha vinto l'oro olimpico sul prato di Wimbledon, ha interrotto l'emorragia Slam allo Us Open 2012 e ha finalmente vinto i Championships nel 2013, ripetendosi tre anni dopo. Il percorso ha affascinato Alexander Zverev, il predestinato, il Golden Boy del tennis tedesco che aspira a diventarlo del tennis mondiale.

UNA CORTE SERRATA
Non ha un gioco indimenticabile, ma è forte. Dannatamente forte, proprio come il Lendl dei primi anni 80. Con i Fab Four ancora molto competitivi, ha intascato tre Masters 1000 ed è già numero 3 ATP, ad appena 21 anni. Ma c'è il problema Slam, lo stesso che aveva Lendl. Lo stesso che aveva Murray. In 18 partecipazioni vanta un solo quarto di finale, colto tra mille difficoltà allo scorso Roland Garros. Per il resto, tanti fallimenti. Uscite a testa bassa, delusioni cocenti, sconfitte da favorito. E allora ha messo in atto una corte serrata a Lendl, manco fosse la ragazza dei suoi sogni. L'ex cecoslovacco (oggi cittadino americano a tutti gli effetti) era al suo angolo durante il torneo di Miami. Indizio numero 1 ma non sufficiente, visto che oggi vive a Saddlebrook, in Florida. Tuttavia, “Sascha” non ha mai nascosto le sue intenzioni. Scottato dalla separazione di fuoco con Juan Carlos Ferrero, tra accuse reciproche, aveva detto che soltanto due persone avrebbero garantito un valore aggiunto rispetto a papà Alexander Sr., ottimo giocatore degli anni 80 sotto la bandiera dell'URSS: Boris Becker e Ivan Lendl. Anni fa, lo smilzo Sascha aveva assunto Jez Green per mettere a posto il suo fisico. In un tennis così muscolare, doveva ingrossarsi dalla testa ai piedi. Il lavoro procede bene, ma non solo: Green seguiva Murray ai tempi in cui c'era Lendl. Non è difficile immaginare che abbia favorito il contatto. L'indizio numero 2 risale a un mese fa, quando Zverev ha effettuato un paio di giorni allenamento a Saddlebrook, nel quartier generale di Lendl. La foto era rimbalzata in tutto il mondo, ma una nota di Patricio Apey (manager del tedesco) aveva raffreddato gli entusiasmi. Un paio di settimane dopo, durante il Masters 1000 di Cincinnati, hanno fatto a Zverev una domanda su Lendl. Più che una risposta, ha dato una dichiarazione d'amore. “Sa quello che porta, sa cosa bisogna portare per vincere a qualsiasi livello nel nostro sport. È sicuramente in grado di aiutare molto – ha detto Zverev – fino a oggi non ci sono stati cambiamenti nel mio team, ma in futuro penso che Ivan possa aiutarmi. Dovesse succedere, vi prometto che ve lo farò sapere e potrete scriverci una storia”.

Welcome to the team Ivan Lendl

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LA DIFFERENZA TRA MAESTRO E COACH
Detto, fatto. Nell'epoca di un utilizzo sfrenato dei social network, Zverev ha scelto Instagram per pubblicare un paio di immagini. La prima lo vede in allenamento a Flushng Meadows, sotto lo sguardo impassibile di Lendl. L'altra è una foto di gruppo con tutto il team. Non manca nessuno: il padre, Jez Green e il neo arrivato. “Benvenuto nel team, Ivan Lendl” ha scritto. E allora la suggestione prende forma. A 21 anni, il tedesco ha deciso che non c'è tempo da perdere. Non vuole aspettare fino ai 25, come successo a Murray (che dovette perdere quattro finali prima di vincerne una, proprio come Lendl), ma vuole mettere la freccia. Lo Us Open è il torneo ideale, vuoi per le condizioni adatte al suo gioco, vuoi perché è quello in cui Lendl ha fatto le cose migliori: otto finali consecutive dal 1981 al 1988, vincendone tre. Padre di quattro figli e molto legato alla moglie Samantha, Lendl era rimasto nel tennis con il ruolo di consulente per la USTA, dando una mano ad alcune giovani promesse americane. Niente vincoli, però: la federazione americana lo paga come consulente esterno. Per tornare a respirare l'aria del tour, beh, aveva bisogno di qualcosa di uno stimolo importante. E cosa c'è di meglio di un ragazzo che è già un top-player, ma ha esattamente lo stesso blocco che aveva vissuto in prima persona, 35 anni fa? La filosofia di Lendl è chiara: poca tecnica, tanta fine psicologia. A Flushing Meadows, insomma, non dobbiamo aspettarci uno Zverev tecnicamente diverso. D'altra parte c'è molta differenza tra un maestro e un coach: “Il maestro ti insegna a tirare dritto e rovescio, il coach ti insegna a usare le qualità nel modo migliore”. Ma c'è qualcosa su cui Lendl non transige: la disciplina. Nella sua carriera da coach, ha ereditato ciò che aveva imparato da ragazzino, quando frequentava il Centro Tecnico della federazione cecoslovacca, a Ostrava. E allora, punizioni e multe per chi spacca una racchetta, per chi porta il cappellino all'indietro e per chi arriva in ritardo agli allenamenti. Quest'ultimo punto era stato contestato da Juan Carlos Ferrero al principino di Amburgo. Ammesso che fosse vero, state certi che con Lendl non sgarrerà.