Due giovani hanno illuminato la notte dello Us Open. Mentre sull'Arthur Ashe c'erano gli ultra-trentenni Maria Sharapova e Novak Djokovic, le luci del Louis Armstrong si sono accese su Aryna Sabalenka e Alex De Minaur. Ok, l'australiano non è riuscito a battere Marin Cilic, ma ha conquistato una bella fetta di tifosi in una folle notte, terminata alle 2.20, in cui ha mostrato – a quelli che non lo conoscevano – uno spirito combattivo eccezionale. Più in generale, l'ultima sessione serale sul secondo campo di Flushing Meadows ci ha rasserenato, ancora una volta: finita quest'epoca, i personaggi non mancheranno. Per esempio, Aryna Sabalenka. Superando Petra Kvitova (7-5 6-1 lo score) ha sigillato l'ennesima sorpresa su un campo che, come ha detto Caroline Wozniacki, sta diventando una specie di cimitero dei campioni. Non ha paura di niente, la bielorussa. Spinge con entrambi i fondamentali, ha un vivo senso dello spettacolo, sembra trovarsi a suo agio con migliaia di occhi addosso. La meccanica del dritto è più macchinosa, quella del rovescio più naturale, ma a lei non importa: cerca il vincente a ogni costo, non conosce i colpi interlocutori. Se ne è accorta la numero 5 del draw. La Kvitova non è abituata a trovare una giocatrice che tira più forte di lei, e si è visto. Nel secondo set è sparita dal campo, lasciando alla Sabalenka 24 degli ultimi 28 punti. Ma se anche non fosse calata, avrebbe perso. Troppo in forma, troppo “in fiducia” la bielorussa, classe 1998, che ha sigillato la 12esima vittoria nelle ultime 13 partite. L'unica sconfitta è arrivata con Simona Halep, in semifinale a Cincinnati. Può andare lontano, e pochi possono dire di averlo pronosticato, almeno sul breve termine: tra loro c'è Aleksandr Vasilevski, ex capitano della Coppa Davis bielorussa. Lo scorso autunno, quando Aryna faceva il suo ingresso tra le top-100, aveva detto con convinzione che avrebbe potuto raggiungere le top-10 entro un anno. Ci voleva un gran coraggio, o almeno un occhio lungo. Oggi è numero 20, ma non è finita qui: negli ottavi se la vedrà contro Naomi Osaka, peraltro con la motivazione di voler vendicare la sua amica e compagna di Fed Cup Aliaksandra Sasnovich, battuta con un pesante 6-0 6-0 dalla giapponese.
LA FOLLE NOTTE DEL PICCOLO DEMONIO
L'ultimo punto è stato un dritto vincente di Marin Cilic, allo scoccare delle 4 ore, ma Alex De Minaur ha fatto innamorare i coraggiosi che hanno affollato il Louis Armstrong fino a notte fonda. Il “Piccolo Demonio”, come lo avevano definito Bernard Tomic e Nick Kyrgios, ha giocato un match tutto cuore, passione e tecnica contro il numero 7 ATP, vincitore di questo torneo nel 2014. Con una difesa incredibile, fondata su due gambe rapidissime, ha creato spettacolo a suon di passanti, colpi vincenti da posizioni complicate, recuperi improbabili. Il tutto – va detto – aiutato da un Cilic non in giornata al servizio e poco preciso con il dritto. Ma c'era tanto merito di De Minaur nei primi due set, vinti con agio. In netto svantaggio, allo scoccare della mezzanotte, il croato ha mostrato una notevole forza mentale. Registrati i colpi, abbassato il numero degli errori, ha continuato a fare quello che gli riesce meglio, senza incertezze. Per esempio, ha insistito nel servire sul dritto di De Minaur, e a presentarsi spesso a rete. Dai e dai, è arrivato l'inevitabile calo dell'australiano. Continuava a correre, non mollava un singolo game, ma il suo gioco aveva perso intensità. Sembrava essersi spento definitivamente quando sciupava una palla break sul 3-2 nel quinto set, spaccando la racchetta (gesto inusuale per lui). Sotto 2-5 e 0-40, invece, trovava chissà dove nuove energie e dava il là a una clamorosa rimonta. Vinceva un game eterno (con tanto di cinque matchpoint annullati), trovava l'agognato controbreak e si rifugiava sul 5-5. A quel punto, svuotato di energie, non ha saputo mantenere il ritmo di Cilic.
LO SPIRITO DI HEWITT
Nonostante una spinta emotiva tutta a favore dell'avversario (e un pubblico scatenato, desideroso di assistere all'impresa), Cilic non ha fatto una piega e ha mantenuto un atteggiamento sempre positivo, anche dopo aver sbagliato una facilissima volèe sul terzo matchpoint. I campioni fanno così. E alla fine ha meritato di vincere, mostrando gran classe nel ringraziare ugualmente il pubblico che gli aveva tifato contro. Ma sentiremo parlare spesso di De Minaur, perché la volontà vale più o meno come un gran servizio. E lui ne ha da vendere. Si è rifiutato di perdere fino all'ultima palla, mostrando doti difensive che ricordano (davvero, non è una suggestione) quelle del suo mentore Lleyton Hewitt, da cui sembra aver preso l'impressionante spirito combattivo e l'amore per la Coppa Davis, tanto da tatuarsi sul petto il numero 109. Già, perché Alex (mamma spagnola, padre uruguaiano e residenza ad Alicante) è stato il 109esimo tennista a esordire con la maglia gialloverde. Qualità che lo porteranno lontano. Da parte sua, Cilic dovrà fare un buon lavoro per rimettersi in forma in vista dell'ottavo contro David Goffin. Ha una buona chance di arrivare in semifinale, soprattutto dopo l'eliminazione di Zverev.