Trentatré anni fa, lo Us Open femminile viveva una delle finali più belle di sempre. Sembrava che nessuno potesse scalfire il dominio di Chris Evert e Martina Navratilova. Invece spuntò il talento di Hana Mandlikova, viso da bambina ed eleganza regale. Le batté una dopo l'altra, Chris in semifinale e Martina in finale. Fu uno dei suoi quattro titoli Slam, pochi in assoluto ma tantissimi se relazionati al periodo in cui ha giocato. Nel 1998, da allenatrice della povera Jana Novotna, la guidò a vincere Wimbledon dopo le lacrime degli anni passati. Oggi la Mandlikova è cittadina australiana, ha 56 anni e ha una nuova missione: aiutare sua figlia a diventare una campionessa. La prova junior dello Us Open ha visto in campo Elizabeth “Elli” Mandlik, classe 2001, eliminata negli ottavi dall'ucraina Lopatetskaya. Mamma Hana era a bordocampo, più nervosa rispetto al 1985, quando lo USTA Billie Jean King National Tennis Center aveva ben altro aspetto. L'Arthur Ashe non esisteva, non c'erano tetti retrattili, era tutto a portata di mano. Oggi Hana è quasi irriconoscibile. Pochi spettatori la riconoscono, ancora meno la fermano. Non le pesa, perché oggi è semplicemente la mamma di due giovani promesse. Oltre a Elli, c'è anche il fratello gemello Mark. Soltanto la femmina si è qualificata per lo Us Open junior, mentre il maschio è tornato ad allenarsi in Florida. Come la Navratilova, anche la Mandlikova si è spostata negli Stati Uniti da giovane. Era il 1981 e non ci furono le rivoluzioni e le accuse di “tradimento” di cui era stata oggetto la Navratilova. Dopo essere diventata madre, non ha subito messo una racchetta in mano ai suoi figli. Anzi, li ha portati a sciare in Colorado. “Perché avrei dovuto metterli sotto pressione a 4-5 anni se poi a 20 sarebbero stati saturi? – dice la Mandlikova – sarebbe stato stupido. Vorrei soltanto che amino il gioco per più tempo possibile”.
SOGNO WIMBLEDON
La sua saggezza non è terminata qui: ha insegnato i rudimenti della tecnica a entrambi, poi li ha lasciati a un coach, il rumeno Gabriel Trifu. Tra i due, Mark è il più simile alla madre: tira il rovescio a una mano e adotta spesso il serve and volley. Elli è una ragazza minuta e lo colpisce a due mani, anche se per tutta l'estate ha lavorato alla soluzione in slice. Ricorda la madre nel movimento al servizio. Il suo è un tennis ragionato, complicato, con diverse opzioni. “Sin da quando era piccola si capiva che aveva un buon feeling con la palla, ma era molto piccola. Adesso è cresciuta molto ed è atletica”. Parola di Kathy Rinaldi, capitana di Fed Cup e responsabile del settore tecnico femminile per la USTA. Da bambina, Elli non amava il tennis. Sognava di diventare una sciatrice professionista, ma la strategia delle mamma è stata vincente. Con pazienza, nei momenti giusti, ha mostrato ai figli i video delle sue partite. Ha permesso che toccassero i suoi trofei, molti dei quali sono conservati nella casa di famiglia a Delray Beach. Ben presto, si sono entrambi innamorati del tennis. “Essere un genitore è la cosa più complicata che abbia mai fatto – ha detto la Mandlikova – è molto più difficile che giocare, più difficile che allenare. È un lavoro che impegna 24 ore su 24”. Nel corso dell'estate, Trifu ha portato la Mandlik in Romania a giocare alcuni tornei ITF da 15.000 dollari, in cui ha vinto il suo primo titolo professionistico (in doppio) ed è giunta in semifinale in singolo, gettando le basi per la sua carriera. È ancora presto per capire dove potrà arrivare, anche perché si deve formare sul piano mentale. “A volte mi faccio prendere dall'ansia e non gioco libera”. Per adesso, il futuro di Elli e Mark non è stabilito. Stanno studiando a distanza e hanno ancora un anno prima del diploma. Mark sta prendendo in considerazione la possibilità del college, mentre Elli sembra decisa a diventare professionista. E ha un sogno ben preciso: vincere Wimbledon. “È l'unico torneo che mia madre non ha vinto. Vorrei farlo per lei”.
UNA SCELTA CORAGGIOSA
Il rapporto è sano, nel senso che la Mandlikova non le mette troppa pressione. “Conosce il tennis, ma è come qualsiasi altra mamma. Sa come ci si sente quando sei sotto pressione in campo: altri genitori non lo sanno e di dicono che devi superare certi momenti. Lei, invece, mi dà buoni consigli, mi dice che è normale e devi soltanto combatterli”. La nascita di Mark ed Elizabeth non è stata convenzionale. Divorziata dal suo primo marito, Hana ha messo al mondo il figlio con un amico, frutto di un accordo che prevedeva soltanto il “supporto” in questo senso, ma che non avrebbe avuto alcun ruolo nella loro crescita. Inizialmente li ha cresciuti con Liz Resseguie, una personal trainer che è stata la sua compagna per qualche anno. “La gente potrà dire quello che vuole, ma l'importante è che i bambini siano amati – diceva la Mandlikova durante la gravidanza – non rivelerò mai il nome del padre, perché abbiamo un accordo ben preciso. Non sarebbe giusto. Saremo amici per tutta la vita, anche se non vedrà mai i suoi figli, l'ho detto sin dall'inizio e lui ha accettato. Sapeva che volevo diventare madre e mi ha aiutato. Mi fido totalmente di lui e non ci sanno problemi”. In effetti, è andata proprio così. “Non credo che sia niente di straordinario, molti fanno così ma magari non se ne parla. Siamo nel 21esimo secolo e le donne hanno il diritto di fare le loro scelte”. La sessualità della Mandlikova è stata oggetto di pettegolezzi sin da ragazzina, poi si sposò con il ristoratore australiano Jan Sedlak e rimase incinta a 25 anni, ma le esigenze di tennis professionista la convinsero a rinunciare alla gravidanza, un po' come accadde a Chris Evert con Jimmy Connors (fatto poi rivelato quasi 40 anni dopo). Il desiderio di maternità si è concretizzato nel modo appena descritto, poi la storia con la Resseguie è terminata e oggi la Mandlikova risiede con la nuova compagna, Sydney Billier. Per evitare troppe pressioni ai figli, e in modo che abbiano lo stesso cognome, ha rinunciato alla desinenza “ova” che viene utilizzata per tutte le femmine che provengono dall'ex Cecoslovacchia. Per un po', hanno potuto giocare nell'anonimato. Soltanto i successi sul campo da tennis avrebbero potuto riaccendere i riflettori. È andata proprio così.