È l'opinione di Brian Vahaly, ex top-70 ATP che ha rivelato la propria omosessualità a dieci anni dal ritiro. “Quando giocavo, avevo paura di perdere gli sponsor”. Dice di aver ricevuto tanti messaggi antipatici, ma è convinto che sia il momento giusto per sdoganare l'omosessualità anche nel tennis maschile. Circa 30 giocatori, compresi alcuni professionisti, lo hanno contattato.

Persi i freni inibitori dovuti a un mix tra paura e riservatezza, Brian Vahaly ha scelto di esporsi in prima persona. Il suo coming out risale alla primavera del 2017 e racconta, tutto sommato, una storia semplice. L'ex giocatore americano (numero 64 ATP nel 2001) ha preso piena coscienza della sua sessualità 1-2 anni dopo il ritiro e ha avviato un percorso, non semplice, che lo ha portato al matrimonio e alla costruzione di una famiglia (sono arrivati due gemelli) con il suo attuale marito. La notizia non fece troppo scalpore, vuoi perché Vahaly non è stato un grande campione, vuoi perché è arrivata tanti anni dopo il ritiro. A un anno e mezzo dal coming out, ha scelto i microfoni di BBC Radio per raccontare quello che è successo dopo, a suo dire la ragione per cui il tennis maschile non ha ancora visto casi di coming out a parte il suo e quello – ancora meno noto – del paraguaiano Francisco Rodriguez. Oggi 39enne, Vahaly ha detto di aver ricevuto moltissimi messaggi “abbastanza cattivi” dopo il suo annuncio. “Per tutta la mia carriera, ho visto e sentito commenti omofobi – ha detto alla trasmissione Sportsworld – il tennis è uno sport molto conservatore. Nei primi giorni dopo l'annuncio, ho ricevuto qualcosa come due o tremila mail piuttosto maligne, e i commenti di persone disgustate da me e dalla mia famiglia”. Il mondo del tennis è rimasto più o meno indifferente, mentre le uniche fonti di solidarietà sono state la comunità LGBT e gli amici. A oggi, nessun giocatore apertamente gay ha giocato nel tabellone principale di uno Slam, almeno nell'Era Open. La situazione è ben diversa nel settore femminile, in cui personaggi molto famosi hanno effettuato coming out durante la loro carriera. Tra loro, vere e proprie icone come Billie Jean King e Martina Navratilova.

LA PAURA DELLE REAZIONI
Secondo Vahaly, il loro successo sul campo ha costretto l'ambiente da accettare la loro sessualità. “Martina e Billie Jean erano in vetta al gioco: per questo hanno potuto creare una cultura. Le altre giocatrici dovevano accettarle perché erano le migliori. Quando hanno effettuato il coming out è stato molto difficile per loro, dunque meritano tante lodi per il loro coraggio. In campo maschile, sarebbe utile se qualche giocatore in vetta possa fare un annuncio del genere”. Se ne parla da anni, ma per adesso non è mai successo. Anche se non esistono dati scientifici, il famoso (e discusso) Rapporto Kinsey parlava di una percentuale del 5-10% sul totale della popolazione. Difficile, dunque, credere che non ci sia neanche un omosessuale tra i top-100 ATP. Lo stesso Vahaly individua un motivo per spiegare questo tabù: a suo dire, c'è il timore di perdere gli sponsor. Dice Vahaly, che oggi è padre di due bambini surrogati: “All'epoca, la gente non avrebbe saputo come reagire. Raggiungere questo livello di distrazione non sarebbe stato vantaggioso – continua – sarebbe stata una variabile spaventosa, non ero preparato ad avere rimpianti per le possibili implicazioni economiche e tennistiche che avrei potuto subire”. Già lo scorso anno, Vahaly si schierò contro le dichiarazioni di Margaret Court. La giocatrice più titolata di sempre, oggi pastore cristiano pentecostale, disse che il tennis è pieno di lesbiche, etichettandole negativamente e spiegando che avrebbe boicottato la compagnia aerea Qantas perché favorevole a matrimoni tra persone dello stesso sesso. Vahaly disse che la Court avrebbe dovuto conoscere una coppia di genitori omosessuali e l'amore che avrebbero dato ai bambini. E aggiunse che oggi farebbe molta fatica a giocare sulla Margaret Court Arena, dove peraltro è sceso in campo nel 2003 prima che venisse intitolata alla Court.

CONTATTO DA UNA TRENTINA DI GIOCATORI
Le minacce di boicottare quel campo per protestare contro le frasi della Court sono rimaste tali, anche se una voce autorevole come Andy Murray ha preso le distanze dalla ex campionessa australiana. “Non vedo perché si debba avere qualche problema con due persone innamorate che si uniscono in matrimonio – ha detto lo scozzese – se sono due uomini, o due donne, va benissimo. Non vedo perché dovrebbe avere importanza. Tutti dovrebbero avere gli stessi diritti”. Secondo Vahaly si tratta di una presa di posizione molto importante. “Se a parlare è una delle persone più ammirate e rispettate dello sport, la sua opinione potrebbe davvero cambiare la mentalità delle persone. Fidatevi: ascoltare le voci delle persone più popolari e dei grandi campioni può fare miracoli. In definitiva, non penso che il tennis sia un ambiente omofobo, ma c'è una grossa fetta di persone che non si sente a proprio agio nel parlare di questo argomento”. Parlando con il Telegraph, ha detto di essere stato avvicinato da alcuni tennisti professionisti e da una trentina di giocatori college e junior: gli hanno rivelato di essere gay ma indecisi sul da farsi e timorosi delle reazioni delle famiglie e dei colleghi. Secondo Vahaly, dichiarare pubblicamente la propria omosessualità è un processo molto personale. “Per questo, il mio scopo è incoraggiare un'apertura mentale e rassicurare gli atleti gay sul fatto che non hanno nulla da temere”. Durante lo Us Open ha tenuto una conferenza a New York per parlare del problema, e ha ottenuto il pubblico sostegno di Kevin Anderson. “Se devo mandare un messaggio ai tennisti gay che mi contattano, secondo me adesso è il momento giusto per fare coming out. Oggi c'è una maggiore accettazione degli atleti gay, alcuni di loro hanno guadagnato molto e quindi la paura di perdere gli sponsor non è più così giustificata. Ma, soprattutto, vorrei rendere più disteso il clima in modo che i giovani non abbiano le distrazione e il senso di segretezza che mi ha accompagnato per tutta la mia carriera”. A suo dire, le cose potrebbero cambiare nei prossimi 10-20 anni. Basterebbe un primo coming out per togliere ogni inibizione agli altri. “Essere definiti dalla propria sessualità è un concetto sbagliato e superato. Bisogna andare oltre”.