Cinque anni fa, Guillermo Nunez giocava alla pari con Zverev, Khachanov e Kyrgios. Ma la vocazione per gli studi era altrettanto forte: si è spostato al college e ha capito che i libri d'economia gli si addicevano più della racchetta. Si è laureato, oggi lavora a Wall Strett e di pomeriggio insegna all'Accademia di McEnroe.

Devono pregare che il Canada batta l'Olanda. Soltanto così, per una serie di incastri, il Cile avrà la certezza assoluta di trovarsi nell'ammucchiata selvaggia che sarà il World Group di Coppa Davis 2019. Orfani di Rios, Gonzalez e Massu, i cileni si stringono intorno alle bordate di Nicolas Jarry. Però, se le cose avessero preso una piega diversa, oggi avrebbero una squadra molto più forte. Soltanto cinque anni fa, Guillermo Nunez se la giocava alla pari con i migliori della sua generazione. Al Trofeo Bonfiglio di Milano arrivava in semifinale e se la giocava con Sascha Zverev. La settimana dopo, superava Karen Khachanov al Roland Garros prima di arrendersi a Borna Coric. Come se non bastasse, in doppio aveva superato Nick Kyrgios. Oggi l'ex ragazzo di Maipù è un ex tennista e osserva i suoi coetanei in TV, anche se gli schermi che lo interessano di più sono quelli di Wall Street. Già, perché ha cambiato completamente vita nonostante abbia appena 23 anni. Ogni mattina, mette piede nel tempio degli affari. “Quando vedo i risultati di gente come Zverev e Khachanov, penso che forse avrei potuto essere insieme a loro. Non si può mai dire”. Nunez ha iniziato a giocare all'età di 9 anni: come ogni buon cileno, mischiava tennis e calcio. Ma erano gli anni d'oro del loro tennis: le vittorie di Rios e le medaglie olimpiche di Massu e Gonzalez (quest'ultimo, tra l'altro, ha riconosciuto per la prima volta di aver barato nella semifinale di Pechino contro Blake, quando toccò una palla dell'americano su un punto importante) lo convinsero a scegliere la racchetta, nonostante fosse una promessa delle giovanili della Universidad de Chile. Ma era bravo anche nel tennis: numero 1 del paese in tutte le categorie, nel 2011 ha conquistato il suo primo punto ATP ad appena 16 anni. Due anni dopo, raggiunse il picco: top-10 junior e numero 674 ATP, con tanto di prima vittoria in un torneo Futures e alcuni paragoni – scomodi – con Marcelo Rios. Motivo: è mancino come lui.

ESPERIENZA FORMATIVA
Non ci sono infortuni o improvvise crisi interiori nella scelta di Nunez. Il suo è stato un processo razionale: nel miglior momento della sua vita tennistica, ha deciso di smettere. “Ho sempre saputo che il tennis non sarebbe durato per sempre. Sono stato il più giovane cileno a vincere un torneo professionistico, ma non è un indicatore sufficiente. Bisogna essere onesti: nei tornei Futures, il livello è basso. Non potevo pensare di vivere di tennis soltanto perché ne avevo vinto uno. Sentivo di avere il potenziale per fare cose importanti, ma ho sempre voluto studiare. E sapevo che in Cile non avrei potuto fare entrambe le cose. Per questo, mi sono spostato negli Stati Uniti”. Scelta sempre più popolare per chi vuole aprirsi una porticina anche nel mondo del lavoro. E poi, ci sono tanti esempi di carriere iniziate un po' in ritardo ma decisamente brillanti. Nunez si è trasferito presso la Texas Christian University (TCU), in cui ha potuto combinare tennis e studi in economia. Nei weekend, giocava il campionato NCAA.”Negli Stati Uniti gli atleti sono molto ben visti. Sono importanti per le università, dunque hanno a disposizione tante facilitazioni. Per esempio, se hai qualche difficoltà nello studio, ti viene assegnato un tutor. Quando sei in viaggio, non manca l'assistenza. Se sei a un torneo, hai più giorni di tempo per completare i compiti. E per gli stranieri c'è un tutoraggio speciale anche per l'apprendimento della lingua inglese”. Quando Nunez è sbarcato in Texas, la TCU si trovava in 55esima posizione nella graduatoria NCAA, ma lui e i suoi compagni l'hanno portata rapidamente tra le top-10, con una sortita addirittura in seconda posizione. Ma i successi migliori li ha avuti tra i banchi di scuola, con una laurea che gli ha permesso di entrare nel mondo del lavoro. Rimpianti per non averci provato col tennis? “Zero. Negli Stati Uniti, difficilmente si diventa professionisti a 18 anni. Passare dall'Università è un processo normale: non tutti si laureano, ma almeno vivono l'esperienza. Tra gli altri, ci sono passati Isner, Anderson, Johnson e Sandgren". E certe sfide a livello college sono poi diventate classici di Wimbledon, come accaduto a John Isner e Kevin Anderson.

INTERMEDIAZIONE BANCARIA E MCENROE
E allora, perché Nunez non ci ha neanche provato con il professionismo? “Subito dopo la laurea ti danno un visto di un anno per lavorare, ma lo puoi utilizzare soltanto terminati gli studi. Se non ti laurei, perdi l'opportunità. Io mi sono sempre allenato bene, ma se non sei al 100% non puoi giocare a tennis. E io non ero convinto al 100% di potercela fare. Così ho preso il visto e ho iniziato a lavorare”. È stato bravo e fortunato perché ha trovato un impiego inerente al suo percorso di studi: nonostante fosse esperienza, ha finito addirittura a Wall Street. La possibilità è nata con “Tradition”, società di intermediazione bancaria. “Sarebbe stato folle non approfittare della possibilità”. Lo stipendio è buono, soprattutto considerando la giovane età, e l'orario non è massacrante. Lavora dalle 7.30 alle 15.30, dunque c'è spazio per gli hobby. E il tennis continua ad avere una certa importanza. Ha trovato impiego come coach nell'accademia di John McEnroe, sempre a New York. “Lo faccio perché voglio restare legato a questo mondo e, se posso insegnare ai bambini, sono felice. Non voglio abbandonare lo sport”. Tuttavia, Nunez è convinto della sua scelta. Non ha incertezze, dubbi, ripensamenti. Insiste nel dire che vincere un Challenger a 17 anni non garantisce l'ingresso tra i top-50 ATP. “E se vai all'università non ti precludi niente: l'età media dei top-100 ATP è 28 anni, ma se ti laurei a 22-23 hai tutto il tempo per provarci. Inoltre l'università aiuta: migliori sia tecnicamente che fisicamente. Comunque vada, sarà sempre una buona decisione”. E lui, il mancino che qualcuno aveva paragonato a Marcelo Rios e se la giocava con Sascha Zverev, ha trovato la sua strada. Un esempio dai seguire per i tanti – troppi – giocatori che si trascinano stancamente nei tornei minori fino a 30 anni suonati, con l'unica prospettiva di fare i maestri o i palleggiatori per il resto dei loro giorni. A cifre ben inferiori di chi entra, ogni mattina, a Wall Street in giacca e cravatta.