Si è tolto l'ultima grande soddisfazione. Nella serata di lunedì, Jurgen Melzer ha fatto esultare il pubblico della Stadthalle di Vienna, uno dei campi più importanti della sua carriera. Ha battuto Milos Raonic e si è garantito (almeno) un altro match. Jurgen frequenta il torneo ATP di Vienna sin da ragazzino, quando sognava di arrivare a giocare sul Centre Court di Wimbledon. Quella del 2018 è la sua diciassettesima partecipazione a questo torneo, vinto in due occasioni (2009 e 2010). Ma è anche il torneo in cui ha giocato la sua prima partita nel circuito, nel 1999, contro Lars Burgsmuller. Da allora sono passati quasi 20 anni. “Mi sono sempre trovato bene a Vienna – dice Melzer – ho vinto due volte, ma il 2010 è stato l'anno in cui ho avuto maggiore pressione: avevo raggiunto le semifinali a Parigi, ero vicino ai top-10 e un paio di settimane prima avevo battuto Nadal a Shanghai. Sono sceso in campo con la pressione di dover vincere, e alla fine ce l'ho fatta. È sempre stato il mio sogno e desidero giocare la mia ultima partita di singolare a Vienna”. Lo ha precisato: singolare. D'altra parte, essendo nato nel 1981, è coetaneo di Roger Federer. E può permettersi di giocare ancora un po', almeno in doppio. Non è stata semplice, la carriera di Melzer. Quando vinse Wimbledon Junior nel 1999, gli austriaci pensavano di aver trovato l'erede di Thomas Muster. Ha impiegato parecchio tempo a scoprirsi “professionista” nel senso più profondo del termine. I risultati sono arrivati, perché è entrato nella ristretta elite di 39 giocatori che sono stati top-10 sia in singolare che in doppio nella storia dell'ATP.
IL PRIMO TITOLO ATP E LA VITTORIA SU DJOKOVIC
Ma lui ha fatto qualcosa in più. “Vero, e ne sono orgoglioso: sono stato top-10 in entrambe le specialità nello stesso momento. Mi è sempre piaciuto giocare in doppio, fare squadra, festeggiare con un amico. Per questo l'ho giocato spesso. Forse a volte ho esagerato, ma ma alla fine ho vinto due Slam (Wimbledon 2010 e Us Open 2011, ndr), quindi non cambierei”. Visto che non aveva una grande agenzia alle spalle, i primi anni di carriera non sono stati semplicissimi: poche wild card, tanti tornei di secondo piano. Nel 2002 è approdato per la prima volta tra i top-100. “Ne sono orgoglioso, ho lavorato duro per arrivarci – racconta – non mi hanno messo nulla su un piatto d'argento”. Perse le prime tre finali ATP, si è tolto di dosso ogni frustrazione nel 2006, quando si è imposto a Bucarest. Curiosamente, andò a quel torneo senza il suo coach di allora, Karl Heinz Wetter. Con lui c'era solo il compagno di doppio Julian Knowle. Una volta raggiunta la finale, Wetter fece il possibile per raggiungerlo, ma ebbe qualche problema con il volo e non ci fu nulla da fare. “Fu una sensazione strana, sapevo di poter fare affidamento solo su me stesso”. Andò benissimo: 6-1 7-5 a Filippo Volandri e addio complessi e paure. L'anno d'oro di Melzer è stato il 2010, quando giocò la bellezza di 130 partite tra singolare e doppio, con 51 successi solo in singolo e un ranking di fine anno tra i top-20. Quell'anno riuscì a superare per la prima volta il terzo turno in uno Slam e finì con l'arrivare addirittura in semifinale al Roland Garros, con tanto di vittoria su Novak Djokovic.
MENTORE DEL FRATELLO
"Quello contro Nole è stato il mio più grande successo in una singola partita. Fu memorabile. Rimontare due set di svantaggio a Djokovic, in uno Slam: non era mai successo prima e non sarebbe successo dopo. Ogni volta che Nole vince i primi due set ma poi perde il terzo, tutti ricordano quella partita come nota statistica”. Nel suo percorso batté anche David Ferrer, prima di trovare il miglior giocatore di sempre sulla terra battuta: Rafael Nadal. “Non lo dimenticherò mai, tra l'altro ho anche avuto setpoint nel terzo set”. Ci sono state delle difficoltà, anche a livello di vita privata. Per esempio, c'è stato il matrimonio con la collega Iveta Benesova, terminato malissimo. E poi gli infortuni. Tuttavia è ancora in pista e ha intenzione di rimanerci, almeno in doppio. “Avrei potuto fare qualcosa di più – prosegue – se io e il mio principale compagno Philipp Petzschner non ci fossimo infortunati, avremmo ottenuto più che due qualificazioni al Masters”. Oltre a giocare, continuerà a seguire il fratello minore Gerald, ottimo tennista, mancino come lui, reduce da due brutti infortuni. “È una sensazione speciale, la possono vivere in pochi – dice – abbiamo vinto anche un Challenger insieme, quando lui aveva 18 anni. Ho provato a dargli il miglior esempio possibile. Quando lui è in campo, lo sento molto”. Questa vocazione gli tornerà utile in futuro, poiché ha deciso di restare nell'ambiente nel tennis. “Vorrei condividere la mia esperienza con giovani promesse, o magari fare il coach. Sarebbe un peccato non utilizzarla”. Ne avrà bisogno mercoledì sera, per mettere in difficoltà un giocatore forte e motivato (si sta giocando l'accesso al Masters) come Kevin Anderson. Comunque vada, sarà un bello scenario per chiudere le carriera. Nella speranza che possa durare ancora qualche giorno.