Deve esserci qualcosa di maledetto, nell'ultima decade di ottobre. Proprio mentre ricorre il decennale della morte di Federico Luzzi, ancora amatissimo dall'ambiente del tennis italiano, arriva la terribile notizia della morte di Todd Reid, 34 anni, ex numero 105 ATP ma soprattutto prodigio junior. Nel 2002 vinse la prova giovanile di Wimbledon e chiuse l'anno al numero 4 ITF, in una top-10 che comprendeva diversi giocatori che poi avrebbero fatto strada. I suoi avversari si chiamavano Richard Gasquet e Marcos Baghdatis. Facevano parte della stessa nidiata anche Steve Darcis, Brian Baker, Brian Dabul e Lamine Ouahab. L'annuncio della scomparsa di Reid è arrivato in queste ore, con la conferma di Tennis Australia, ma la morte risale a qualche giorno fa. A parte i tanti messaggi di cordoglio dai personaggi del tennis australiano, non si conoscono i dettagli e le cause della morte, anche se la stampa aussie sostiene, in modo enigmatico, che non si sarebbe trattato di “circostanze sospette”. L'approccio al tennis professionistico fu positivo: nel 2004 fu addirittura schierato in Coppa Davis dopo aver raggiunto il terzo turno all'Australian Open, in cui arrivò a sfidare Roger Federer dopo aver vinto un Challenger e raggiunto i quarti di finale ad Adelaide e Sydney. La trafila di Reid fu molto particolare: nato a Coogee, località balneare del Nuovo Galles del Sud, ha iniziato a giocare all'età di 4 anni sotto la guida di papà Bob (ex giocatore di squash), poi quando ne aveva 13 si è trasferito negli Stati Uniti, presso la IMG Academy, all'epoca ancora gestita da Nick Bollettieri. La sua brillante carriera junior gli aveva permesso di raccogliere sponsorizzazioni importanti sin dall'adolescenza. Rileggere la vicenda di Reid ragazzino è surreale. All'epoca si parlava di soldi, progetti, business sfrenato attorno a un ragazzino di 13 anni.
BUSINESS SFRENATO
Vent'anni dopo, ci si domanda il senso di tutto questo. Il marketing attorno a lui fu reso possibile da un manager rampante, Peter Colbert, che aveva deciso di renderlo una macchina da soldi. Raccolse sponsorizzazioni per 350.000 dollari, tra cui Qantas (la compagnia di bandiera australiana) e la nota catena di fast food Kentucky Fried Chicken, che puntava a fare concorrenza a McDonald. “Se otterrà risultati, credo che che questa partnership sarà un vantaggio per entrambi – diceva il direttore commerciale di KFC – non sarà una reale esposizione: indosserà il nostro logo sulla sua maglietta. In realtà, vogliamo aiutare un ragazzo che ha bisogno di aiuto”. Lui era un ragazzino un po' ribelle, senza troppa voglia di allenarsi e con la tendenza a fare qualche follia. Una volta lo trovarono sul bancone di un bar, in piena notte, con addosso la sua coperta. Sonnambulismo o giù di lì. "Non ho idea di come ci sia finito" diceva. Le sue frasi erano un po' naif: sperava di servire come Sampras e tirare il rovescio come Agassi e Kafelnikov e raccontava: “Non so quanto io sia bravo, ma è comodo avere tutto gratis… e allora me lo prendo! Se ho un manager va bene, non è qualcosa a cui penso durante al giorno, ma magari capita di farlo prima di andare a dormire”. Secondo Colbert, uno come Reid “nasce ogni 15 anni” e riteneva che potesse diventare numero 1 del mondo. Lui si sarebbe accontentato di un posto tra i top-20. Non è andata esattamente così, anche se è stato un po' sfortunato: di fatto, ha smesso di giocare nel 2005 a causa di una fastidiosa mononucleosi. Ha effettuato alcuni tentativi di rientro nel 2008-2009, poi addirittura nel 2014, ma non si è mai scrostato dai tornei minori. Però poteva raccontare di aver giocato contro un match importante contro Roger Federer, il terzo turno dell'Australian Open 2004. Incassò una bella lezione, ma anche la foto di una stretta di mano da incorniciare e mettere in bella mostra in soggiorno. Oggi, tutto questo, è finito. Da oggi, il paradiso del tennis avrà una stella in più.