Ad appena 19 anni, Alex De Minaur ha compreso il valore di un'adeguata preparazione mentale in uno sport come il tennis. Lavora costantemente con uno psicologo: “Lo chiamo prima di ogni match e lo vedo ogni volta che sono a casa”. La gestione delle emozioni e l'aiuto di Lleyton Hewitt lo hanno portato a ridosso dei top-30.

“Gioca ogni palla come se la sua vita dipendesse da quel singolo colpo”.
Tante volte abbiamo accostato questo slogan a un giocatore particolarmente grintoso. Metafora efficace, perfetta se la utilizziamo per Alex De Minaur. Non ha avuto bisogno di dare troppo spettacolo nel match d'esordio alle Next Gen Finals, vista l'evidente differenza con Liam Caruana, ma la lotta furibonda è nel suo DNA. Un po' perché supera a stento il metro e ottanta ed è molto leggero, quindi deve trovare un modo per fronteggiare i giganti. Un po' perché il suo mentore è un giocatore che aveva il colpo migliore nella grinta, non certo nel dritto o nel servizio. Con queste armi, Lleyton Hewitt ha vinto due Slam ed è stato numero 1 del mondo. Da un paio d'anni, lo segue con attenzione perché rivede se stesso nelle movenze di un ragazzo di 19 anni che è già stato soprannominato “Demonio”. Quest'anno è partito al numero 208 ATP, chiude a ridosso dei top-30 ed è la seconda testa di serie a Milano. Tra i suoi sostenitori c'è anche Andy Murray: tempo fa, ha scritto su Twitter che gli sarebbe piaciuto crescere con l'atteggiamento di De Minaur. “Non ci posso credere!” ha detto lui, quando gliel'hanno mostrato. Ma il punto di riferimento continua a essere Hewitt, che è anche il suo capitano in Coppa Davis. “Mi dice sempre di credere in me stesso e di pensare che merito di trovarmi dove sono”. A rafforzare questi messaggi, una viva frequentazione di casa Hewitt durante il periodo di offseason, prima della stagione australiana.

LA DINAMITE NELLE GAMBE
Non è un caso che quest'anno abbia iniziato col botto: semifinale a Brisbane e finale a Sydney. Questi risultati hanno gettato le basi per una stagione di primissimo livello, con la finale all'ATP 500 di Washington e il terzo turno a Wimbledon e Us Open (battuto da Marin Cilic al termine di una partita straordinaria). Il suo tennis rispecchia l'ovvio entusiasmo adolescenziale che filtra dalle sue parole. Ma i suoi match sono anche intrisi di cerebralità, di una forza mentale che gli permette di colmare o addirittura superare l'evidente svantaggio fisico rispetto a parecchi avversari. Il suo soprannome è dovuto all'impressionante rapidità di gambe, che gli consente di arrivare sulle palle più complicate. Curiosamente, è una dote acquisita da poco. “A 15 anni ero ancora piuttosto goffo, avevo i piedi grandi e il mio gioco di gambe non era un granchéha raccontato al Telegraphpoi, non so come, ho sviluppato questa qualità. Non rinuncio a nessun punto e provo a raggiungere ogni singola palla. All'inizio arrivavo soltanto a toccarla, poi ho costruito buoni colpi difensivi. Non avendo molte armi, devo utilizzare la velocità”. Qualcuno si domanda se sia già più veloce di quanto non lo fosse Hewitt: “Ogni tanto ne parliamo… se chiedete a lui dirà di essere più veloce, ma io sono fiducioso e penso di poter fare meglio”. Uno dei suoi vantaggi è la doppia residenza: figlio di un uruguaino e di una spagnola, è nato a Sydney ma ha vissuto in Spagna fino all'età di 13 anni e poi c'è tornato a 16, con il beneplacito di Tennis Australia. D'altra parte non c'è dubbio che i metodi utilizzati in Spagna, almeno negli ultimi 30 anni, siano stati più efficaci di quelli australiani.

ALLENARE LA MENTE
Ad Alicante ha conosciuto uno psicologo che ha profondamente cambiato la sua visione della vita e del tennis. “Dovendo affrontare parecchie situazioni difficili, vi assicuro che parlare con uno psicologo fa una grande differenza. Infatti lo sento molto spesso”. Lo chiama prima di ogni singola partita e lo incontra ogni volta che si trova ad Alicante. Gli serve per gestire emozioni negative, il nervosismo o la sovreccitazione. “La mia mentalità? Cercare di imparare ogni singolo giorno e non commettere gli stessi errori. Il tennis è uno sport difficile e faticoso, dunque è importante essere mentalmente forti. Ma non è una cosa che viene da sé, bisogna lavorarci duramente”. I risultati si vedono: a Washington ha cancellato quattro matchpoint a Rublev salvo poi vincere, mentre allo Us Open ha saputo cancellarne sei a Marin Cilic, mettendo in scena una spettacolare rimonta che non si è concretizzata per un pelo. Il suo desiderio di abbracciare gli aspetti mentali sta facendo la differenza rispetto a Bernard Tomic e Nick Kyrgios, le ultime promesse australiane prima di lui. Tra l'altro, è notizia di questi giorni che Kyrgios ha deciso di rivolgersi a un paio di specialisti. Ma il “Demone” spende soltanto belle parole per i suoi connazionali, a punto da considerarli “amici”. Però, intanto, il numero 1 australiano è lui. E difficilmente mollerà lo scettro. Adesso cercherà di esaltare i milanesi poi si concentrerà per la stagione australiana: la più bella, la più importante. Un tennista di casa non vince a Melbourne dal 1976: non ce l'ha fatta neanche Lleyton Hewitt, stoppato in finale nel 2005. E allora, ogni anno, si riparla dell'avventura di Mark Edmonson e del suo vincere da numero 212 ATP dopo aver fatto il bidello. È una storia ad aggiornare e, in questo momento, il principale indiziato a poterlo fare è il diavoletto che veste Asics. Prada, a lui, non interessa.