Le Next Gen Finals hanno bocciato Taylor Fritz, ma lui ha promosso il format del torneo. A detta sua, tutte le persone con cui ha parlato pensano che questo tennis sia più emozionante. È il primo big a schierarsi apertamente a favore delle novità, mentre Rublev è sempre critico. E ne fa una (interessante) questione di rispetto per gli sforzi dei giocatori.Taylor Fritz ha dovuto dire addio alla possibilità di conquistare le semifinali delle Next Gen ATP Finals, perché, malgrado Alex De Minaur un posto per la giornata di sabato se lo fosse già guadagnato mercoledì, l’australiano ha preferito non fare sconti, chiudendo addirittura il duello in tre set. Tuttavia, mentre le Finals dei giovani hanno bocciato Fritz, Fritz ha promosso loro, risultando l’unico dei big (fra prima e seconda edizione) a schierarsi così apertamente a favore delle novità studiate per il potenziale tennis del futuro. Secondo lo statunitense, accompagnato a Milano da mamma Kathy May (top-10 a fine Anni ’70), “le innovazioni proposte a Milano rendono il tennis più divertente. È uno sport che ha bisogno di provare a diventare più emozionante, per coinvolgere gli appassionati più giovani”. Un’opinione è pur sempre un’opinione, e la sua sembra percorrere esattamente la strada proposta dall’ATP, ma resta da capire se il format può davvero avere una presa maggiore sulla Next Gen di fans, oppure è perfetto solo per far contente le tv, che non si trovano tempi morti e non rischiano di trasmettere partite infinite e noiose. Tuttavia, è quanto Fritz ha aggiunto successivamente che ha lasciato qualche dubbio. “Tutte le persone con cui ho parlato – ha detto il californiano – trovano che con queste regole sia tutto più emozionante”. Difficile sapere a quali interlocutori si riferisca, ma la realtà, onestamente, pare un’altra: il suo amico Tiafoe si è limitato a un “mi piacciono” di facciata, e il solo Liam Caruana si è schierato a favore delle novità, tanto da dire di preferire questo format a quello del tennis tradizionale. Tutti gli altri, invece, non sono parsi così contenti, esprimendo più di una perplessità.
UN TEMA DA CONSIDERARE
Stefanos Tsitsipas ha definito la sua prima volta molto stressante, ripetendo la parola almeno 5 o 6 volte, segno che l’obbligo di fare tutto in fretta gli ha creato più di una preoccupazione, malgrado nelle prime due partite abbia ottenuto altrettante vittorie. Ancora più critico, come già lo scorso anno, Andrey Rublev. A dodici mesi dalla finale del 2017 il moscovita non ha affatto cambiato idea, facendone un discorso diverso (e più interessante) rispetto ai colleghi. Non parla tanto di maggiori possibilità di subire un break, o obbligo a giocare tutti i punti con la stessa identica intensità, quanto di un format quasi irrispettoso nei confronti dei giocatori, perché livellando gli equilibri non premia chi lavora di più, o meglio. “Come ho sempre detto – ha spiegato – non sono un grande fan di queste regole. Trovo che tolgano senso a quello che facciamo: la condizione fisica incide molto meno, e anche in quelle giornate in cui non funziona nulla, mentre l’avversario sta giocando benissimo, si ha comunque la possibilità di vincere la partita. Cosa che invece non è possibile quando si gioca un match reale (testualmente ha detto “real match”, come se addirittura non considerasse tale il format del torneo milanese, ndr). Credo non sia corretto, perché dà la chance di vincere anche a chi normalmente non ci riuscirebbe”. Rublev ha fatto l’esempio del duello Tsitsipas-Munar: doveva essere una partita scontata, invece è stata una battaglia decisa da un paio di punti. Un punto di vista molto interessante: è vero che nel 90% dei casi il giocatore più forte vince comunque, ma perché offrire una possibilità in più a quello meno preparato? O meno in forma? In uno sport in cui allenamento e professionalità sono fondamentali è un punto che andrebbe tenuto in seria considerazione.