23 anni dopo, il Sudafrica torna ad avere un rappresentante alle ATP Finals. Kevin Anderson coronerà a Londra una stagione fantastica e una carriera in cui ha sempre cercato di migliorarsi, giorno dopo giorno, mostrando una grande qualità: non si è mai accontentato e ha continuato a investire su se stesso.

A inizio anno lo aveva detto, con chiarezza. “Il mio obiettivo stagionale è raggiungere le ATP Finals”. Non solo ce l'ha fatta, ma Kevin Anderson si è tolto lo sfizio di arrivare in finale a Wimbledon, con tanto di due match epici: la vittoria su Roger Federer nei quarti e il 26-24 al quinto contro John Isner, in semifinale. Le imprese di Anderson hanno un valore sociale importante per il suo Paese: ha dimostrato che anche l'Africa, storico anello debole del tennis mondiale, può produrre grandi giocatori. A quattro mesi dalle imprese di Wimbledon, Kevin si presenta a Londra per giocare le ATP Finals, primo africano dopo 23 anni. L'ultimo era stato Wayne Ferreira. I recenti successi di Anderson hanno permesso al tennis di tornare sulle pagine dei giornali sudafricani, solitamente fagocitate da rugby, calcio e cricket. Il percorso di Anderson può essere molto istruttivo. Ha dimostrato che il viaggio verso il successo può essere molto lungo. Non tutti possono essere come Ferreira, capace di entrare tra i top-20 in età da college. Da parte sua, Anderson si è spostato da giovane negli Stati Uniti e il college lo ha frequentato per davvero, crescendo in un ambiente molto competitivo, in cui si è creato la corazza giusta per competere nel circuito.

FERREA AUTODISCIPLINA
Un suo vecchio match contro John Isner nel campionato NCAA ha trovato popolarità mainstream lo scorso luglio, ma al di là dell'aneddoto furono anni importanti. Un anno dopo battè Novak Djokovic a Miami, match spartiacque della sua carriera. Il serbo aveva appena vinto l'Australian Open, così Anderson capì che tra i professionisti c'era spazio anche per lui. Ha avuto bisogno di un paio d'anni per stabilizzarsi tra i top-100, poi ha conquistato il primo titolo ATP nel 2011, guarda caso proprio in Sudafrica, a Johannesburg. Il torneo non si gioca più, ma servì per fargli conquistare un vivo rispetto nello spogliatoio ATP. Negli anni, ha avuto la capacità di completare costantemente il suo gioco. Come fosse un puzzle, si è messo a cercare i tasselli mancanti con viva ostinazione. Oggi ha un gran servizio, un dritto che fa male e un rovescio che è diventato un'arma. Ma non è sempre stato così. L'unica cosa che non è mai mancata è stata la disciplina, la voglia di migliorare ogni giorno. E adesso sogna di diventare il tennista più alto a vincere le ATP Finals: dovesse farcela, salirebbe al numero 4 ATP. Soltanto due sudafricani ce l'hanno fatta: Eric Sturgess nel 1949 e Cliff Drysdale nel 1967. Nell'era del computer, nessuno. Alla 02 Arena potrà essere competitivo perché ha migliorato moltissimo la parte atletica. Con grande fatica, ha ottimizzato il gioco di game e la capacità di andare incontro alla palla. Riuscire a muoversi come adesso, dall'altro dei suoi due metri e tre centimetri, è un grande risultato.

L'IMPORTANZA DEGLI INVESTIMENTI
Il suo pregio principale? La lungimiranza. Non ha mai pensato al torneucolo facile, all'obiettivo immediato. Ha sempre investito sul lungo termine. Allenatori, preparatori atletici, fisioterapisti, mental coach… al suo angolo si sono alternati parecchi professionisti, assunti in nome di un obiettivo. E non si è mai fermato: il licenziamento di Neville Godwin lo scorso anno, dopo che lo aveva guidato in finale allo Us Open, sembrava clamoroso. Invece ha avuto ragione lui, scegliendo di accompagnarsi a Brad Stine. Quando vieni da un paese tutto sommato povero, può esserci la forte tentazione di vivere al risparmio, di arraffare più guadagni possibili. Anderson non è mai caduto nella trappola, e ha continuato a investire su se stesso. D'altra parte, non si è mai arreso alle difficoltà. Lo ha dimostrato in mille occasioni e alla fine ha vinto lui. E ha una percezione molto corretta delle cose. Quando ha battuto Isner a Wimbledon, ha accolto la vittoria con una sobrietà encomiabile. In un mondo dello sport in cui gli atleti – specialmente ad alti livelli – possono farsi assorbire dall'esaltazione del sé, lui ha reso l'onore delle armi a Isner, evitando di esultargli in faccia. La comunità degli appassionati ha apprezzato, il Sudafrica si è lentamente innamorato di lui. Prima di allora era pur sempre un emigrato, uno che non giocava volentieri in Coppa Davis. Adesso anche per le strade di Johannesburg la gente parla di lui, vuole conoscere ogni dettaglio della sua carriera. Grazie a Kevin Anderson, il tennis non solo è tornato sulle pagine dei giornali sudafricani. È piombato sulle copertine.