Per ragioni di fuso orario, l'ultimo vincitore del 2018 è stato Ugo Humbert. Nel tardo pomeriggio di domenica scorsa, il francese batteva Filippo Baldi e si imponeva ad Andria, poche ore dopo il successo di Elais Ymer a Pune. Vittoria simbolica, dal vago sapore consolatorio in una domenica nera per il tennis francese. Pochi minuti prima, avevano lasciato la Coppa Davis nelle mani della Croazia. Ma se il presente racconta di una top-20 senza francesi, il futuro sembra roseo. Oltre al talentino Corentin Moutet (che ha appena annunciato la partnership con Emmanuel Planque, ex coach di Lucas Pouille), adesso c'è questo ragazzo di 20 anni dalle movenze simili a Guy Forget. Vincendo ad Andria, è salito al numero 84 ATP. Ma è soltanto un punto di passaggio. Il mondo dei tornei Challenger, ormai, gli sta stretto. Ha vinto tre tornei negli ultimi mesi e si è affacciato al pubblico mainstream durante lo Us Open, quando ha giocato una bella partita contro Stan Wawrinka. “Ero ben preparato, ma non mi aspettavo che il campo fosse così grande – scherza Humbert, 70 chili distribuiti su 186 centimetri – nei primi giochi ho fatto fatica, poi però mi è riuscito un rovescio incrociato che lo ha lasciato a tre metri dalla palla. Ho guardato il mio allenatore, ha sorriso, e ho capito di essere al mio posto”. Ha già scavallato l'adolescenza, ma lo sguardo tradisce ancora segni di gioventù. Nonostante le guance arrossate e la voce sottile, Humbert mostra una certa maturità. “Sono riuscito a essere costante, ma senza esagerare. Sono a mio agio con la vita da tennista, mi concentro sul gioco e mi sento più libero”. Prodotto della federazione francese, si allena da qualche tempo presso il Centre National d'Entrainement, sotto la guida di Cedric Raynaud.
FIGLIO DI RISTORATORI
“Quest'anno ha fatto un buon lavoro – dice il coach – tra fine 2017 e inizio anno giocava bene, ma si lasciava andare nei momenti importanti e ha perso troppe partite al terzo set”. In effetti i risultati e l'aneddotica raccontano di una fastidiosa tendenza all'autodistruzione. “Dopo aver perso nelle qualificazioni del Roland Garros ho capito che avrei dovuto lavorare su me stesso. Potevo finire in un buco nero mentre tutto andava bene. Le emozioni prendevano il sopravvento”. Il tutto si tramutava in una tattica sconsiderata: il serve and volley è una strategia affascinante ma molto complicata, soprattutto al giorno d'oggi. Lui ne abusava. “Volevo chiudere il punto in 2-3 colpi, non ho mai amato gli scambi lunghi, ma la mia visione del tennis è cambiata”. Quando ha abbandonato l'INSEP e si è trasferito nell'attuale sede di allenamento, esaltava per la capacità di fare il punto da qualsiasi zona del campo. “Ma gli abbiamo fatto capire che l'identità del tennis moderno non può prescindere da due solidi fondamentali”. Il suo team è piccolo ma ben organizzato: oltre al coach, c'è l preparatore atletico Cyril Brechbuhl e l'ex giocatore Rodolphe Gilbert. Figlio di due noti ristoratori di Metz, ha un forte legame con la famiglia, anche se non lo seguono spesso per i tornei. “Quando torno a casa nel fine settimana mi piace mangiare bene con la famiglia, ma devo stare attento a non abusare di salumi! Sono una persona tranquilla, sia dentro che fuori dal campo, anche se quest'estate ho rotto una racchetta durante un finale. È stata la prima volta, me ne sono pentito subito dopo”. Non poteva essere altrimenti, visto che i genitori gli hanno trasmesso il valore del lavoro, del sacrificio. Suo padre si alzava ogni mattina alle 5 e tornava a casa alle 20. Lui è stato bravo a capire il valore dell'esempio.
GRAZIE PIANOFORTE
Humbert è un prodotto federale al 100%: è andato via di casa quando aveva appena 12: ha trascorso quattro anni fa nel polo periferico di Poitiers, due all'INSEP (Istituto Nazionale dello Sport), poi ha trovato posto nell'esclusivo CNE. “Di tanto in tanto, davo una mano ai miei genitori al ristorante, soprattutto nel periodo di Natale. Ma quando mi hanno chiesto cosa volessi fare nella vita, sono stato chiaro: o tennis, o niente. Non ho mai pensato di rilevare il ristorante: già è difficile gestire me stesso, figurarsi trenta dipendenti… mia sorella è decisamente più portata”. Il periodo dell'adolescenza non è stato semplice, a causa di un fisico un po' fragile. Ci sono stati momenti complicati, nei quali si è rifugiato nella sua più grande passione: la musica. “Quando avevo 12 anni, a Poitiers, mi sono fatto male nella seconda settimana di allenamento. Risultato: non ho toccato la racchetta per un anno e mezzo. Mi sono dedicato a suonare il pianoforte e mi ha aiutato moltissimo. Mi ha permesso di non avere pensieri negativi. Ancora oggi è utile, perché mi serve a pensare a qualcosa di diverso dal tennis. Suono sin da quando avevo 5 anni e ho ancora la mia piccola tastiera”. Ma la musica sarà soltanto la colonna sonora della sua carriera, in cui gli obiettivi – nonostante quel modo di fare un po' flautato – sono molto ambiziosi. “Non ci siamo posti nessun limite – dice Raynaud – Ugo è un grande lavoratore, si mette sempre in discussione. Investe molto sulla carriera e io credo molto in lui. Deve migliorare fisicamente, essere più resistente, più preciso e migliorare la sua qualità complessiva”. Lui dice di essere pronto a lasciare l'anonimato e tuffarsi sotto la luce dei riflettori. Non sarà una transizione semplice, soprattutto in Francia, laddove il tennis è il secondo sport più popolare e hanno fame di talenti e personaggi. Ugo si sta attrezzando: “A dire il vero non ho ancora un agente, ma la notorietà non mi spaventa. È soltanto qualcosa di positivo. Io sto cercando di costruire me stesso e avere la mia identità di gioco. Voglio essere Ugo Humbert”. Chi lo conosce bene sostiene che non sia arroganza, ma la legittima ambizione di un ragazzo che vuole salire molto in alto. Le mezze misure non gli interessano.